di Valeria Zeppilli - Se è vero che i rapporti giuridici sono disciplinati da norme di legge scritte e dettagliate, è vero anche che la realtà non sempre può essere ricondotta a degli schemi predefiniti.
Di conseguenza, vi sono molteplici ambiti in cui la soluzione di una determinata questione giuridica è lasciata alla valutazione discrezionale del giudice che, tenendo conto del caso concreto, ha dei margini di scelta nell'applicare i principi che regolano il nostro ordinamento.
Indice:
- La valutazione discrezionale del giudice è un'eccezione
- Valutazione discrezionale del giudice: le prove
- Valutazione discrezionale del giudice: la pena
- Valutazione discrezionale del giudice: le clausole generali
- Valutazione discrezionale del giudice: l'equità
La valutazione discrezionale del giudice è un'eccezione
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La valutazione discrezionale del giudice è una questione molto delicata, perché è specchio del grande potere assegnato ai magistrati nel garantire il rispetto della legalità e, in quanto tale, rischia, ove non adeguatamente esercitata, di portare ad abusi o di compromettere la certezza del diritto.
Proprio per tale ragione, la discrezionalità giurisdizionale non è la regola, ma l'eccezione.
La giurisdizione, infatti, è un'attività tipicamente vincolata, che è tendenzialmente disciplinata in ogni aspetto e che, per regola generale, non lascia a chi la esercita ampi margini di scelta.
Valutazione discrezionale del giudice: le prove
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Vediamo quindi quali sono i casi più importanti in cui al giudice, in maniera eccezionale, sono lasciati margini di discrezionalità, a partire dalla valutazione delle prove.
La valutazione delle prove nel processo civile
L'articolo 116 del codice di procedura civile dispone che il giudice è chiamato a valutare le prove raccolte nel corso del processo "secondo il suo prudente apprezzamento", eccezion fatta per le cc.dd. prove legali, la cui efficacia è predeterminata dalla legge (si tratta, in particolare, delle prove documentali, della confessione, del giuramento e della testimonianza).
In materia di prove nel processo civile, la discrezionalità del giudice risiede anche nella possibilità di desumere argomenti di prova dalle risposte che gli danno le parti, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni e dal contegno generale che tengono nel corso del processo.
La valutazione delle prove nel processo penale
Nel processo penale, invece, la valutazione discrezionale delle prove da parte del giudice è sancita dall'articolo 192 c.p.p., che, al primo comma, pone il principio del libero convincimento del giudice, arginandolo, però, con il limite dell'obbligo di motivazione, che impone al giudice di dare conto non soltanto dei risultati acquisiti ma anche dei criteri adottati.
Valutazione discrezionale del giudice: la pena
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Un altro ambito importante nel quale il nostro ordinamento dà al giudice un'ampia discrezionalità valutativa è quello della determinazione della pena da applicare a chi sia giudicato colpevole di un reato.
Il legislatore, infatti, nel disciplinare le diverse ipotesi di delitti e di contravvenzioni determina le relative pene ponendo solo dei limiti, minimi e massimi. Ed è proprio entro tali limiti, e tenendo conto delle eventuali circostanze attenuanti o aggravanti, che il giudice può discrezionalmente valutare la pena che in concreto andrà irrogata.
Tale principio è posto dall'articolo 132 del codice penale, ove si legge che "Nei limiti fissati dalla legge, il giudice applica la pena discrezionalmente".
Applicazione discrezionale della pena: limiti
Tuttavia, il potere discrezionale del giudice di applicare la pena incontra due limiti:
- vanno sempre indicati i motivi che giustificano l'uso del potere discrezionale
- nell'aumentare o diminuire la pena il giudice non può oltrepassare i limiti stabiliti per ciascuna specie di pena, salvo i casi determinati espressamente dalla legge.
Si parla di discrezionalità vincolata.
Valutazione discrezionale del giudice: le clausole generali
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Una delle massime espressioni della valutazione discrezionale del giudice si ha nel caso in cui il legislatore ponga delle clausole generali.
Le clausole generali, infatti, sono delle fattispecie incomplete, che vengono inserite in altre norme affidando all'interprete (e quindi al giudice) il compito di riempirle di contenuti, anche adeguandosi alle vicende concrete e al mutare dei tempi.
Ad esempio, sono clausole generali la buona fede, la giusta causa, il buon costume, la diligenza del buon padre di famiglia e così via.
Valutazione discrezionale del giudice: l'equità
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Infine, possiamo citare l'equità.
Si tratta di un criterio di giudizio in forza del quale il giudice deve giungere alla sua decisione non applicando una norma astratta di diritto sostanziale ma attingendo alla sua coscienza e tenendo conto di alcune peculiarità che la decisione secondo diritto non potrebbe salvaguardare. Si parla anche di giudizio ex aequo et bono.
Il ricorso all'equità è di norma possibile se è il legislatore ad ammetterlo oppure quando le parti attribuiscono concordemente al giudice il potere di farvi ricorso e la controversia non ha a oggetto diritti indisponibili.
Quando ci si riferisce all'equità come criterio di giudizio, si suole parlare di equità sostitutiva.
Essa va tenuta distinta dall'equità cd. integrativa che è, ad esempio, quella che, ai sensi dell'articolo 1226 del codice civile, consente di liquidare il danno che non può essere provato nel suo preciso ammontare.
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