di Lucia Izzo - Qualora durante la carcerazione si manifesti una grave malattia di tipo psichiatrico, il giudice potrà disporre che il detenuto venga curato fuori dal carcere. In sostanza, sarà possibile concedere al detenuto, anche quando la pena residua sia superiore a quattro anni, la misura alternativa della detenzione domiciliare "umanitaria", o "in deroga", così come già accade per le gravi malattie di tipo fisico.
- La decisione della Consulta
- Antigone: "sentenza importantissima per diritto alla salute dei detenuti"
- Infermità psichica: gravi carenze normative
- Detenuti: curabile fuori dal carcere la grave malattia mentale
- La valutazione del giudice
La decisione della Consulta
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Lo ha precisato la Corte Costituzionale (Presidente Lattanzi, Redattore Cartabia) nella sentenza n. 99/2019 (qui sotto allegata), risolvendo un dubbio di costituzionalità sollevato dalla Corte Cassazione.
La Consulta ha così dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 47-ter, comma 1-ter, della legge 354/1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevede che, nell'ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta, il tribunale di sorveglianza possa disporre l'applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui al comma 1 del medesimo art. 47-ter.
Antigone: "sentenza importantissima per diritto alla salute dei detenuti"
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"La sentenza depositata oggi della Corte Costituzionale è importantissima per il diritto alla salute dei detenuti. Finalmente la malattia psichica viene considerata alla stessa stregua della malattia fisica, nel caso in questione ai fini della concessione della detenzione domiciliare", ha commentato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, associazione "per i diritti e le garanzie nel sistema penale".
"Con questa sentenza - sottolinea Gonnella - la Corte rimedia alle timidezze e alle paure del legislatore che aveva avuto l'occasione in sede di riforma dell'ordinamento penitenziario di introdurre questo principio sacrosanto, ma non lo aveva fatto ignorando la scienza ma anche la pratica medica. Una sorta di rimozione del problema del disagio psichico che finalmente viene superata. Ci auguriamo che da questa pronuncia si riproponga al centro dell'agenda politica l'equiparazione totale tra malattia fisica e psichica e dunque anche l'incompatibilità di quest'ultima con lo stato di detenzione arrivando, quando questa si presenta, a prevedere la sospensione o il differimento delle pena".
Infermità psichica: gravi carenze normative
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I giudici della Corte Costituzionale evidenziano come l'attuale tessuto normativo presenti "serie carenze che gravano, tra l'altro, proprio sulla condizione dei detenuti affetti da infermità psichica sopravvenuta", i quali non hanno accesso né alle REMS (residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza) né ad altre misure alternative al carcere, qualora abbiano un residuo di pena superiore a quattro anni.
La malattia psichica, si legge a chiare lettere nel provvedimento, è fonte di sofferenze non meno della malattia fisica e viene rammentato come il diritto fondamentale alla salute ex art. 32 Cost., di cui ogni persona è titolare, deve intendersi come comprensivo non solo della salute fisica, ma anche di quella psichica, alla quale l'ordinamento è tenuto ad apprestare un identico grado di tutela, anche con adeguati mezzi per garantirne l'effettività.
Tra l'altro, si sottolinea come soprattutto le patologie psichiche possono aggravarsi e acutizzarsi proprio per la reclusione: "la sofferenza che la condizione carceraria inevitabilmente impone di per sé a tutti i detenuti si acuisce e si amplifica nei confronti delle persone malate, sì da determinare, nei casi estremi, una vera e propria incompatibilità tra carcere e disturbo mentale".
Detenuti: curabile fuori dal carcere la grave malattia mentale
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I giudici della Consulta sposano la soluzione proposta dalla Cassazione, ovvero quella di applicare anche per le malattie psichiche la misura alternativa della detenzione domiciliare "umanitaria", o "in deroga" (cfr. art. 47-ter, comma 1-ter, dell'Ordinamento penitenziario), in grado di soddisfare tutti gli interessi e i valori in gioco.
La detenzione domiciliare si ritiene uno strumento capace di offrire sollievo ai malati più gravi, per i quali la permanenza in carcere provoca un tale livello di sofferenza da ferire il senso di umanità; al tempo stesso, essa può essere configurata in modo variabile, con un dosaggio ponderato delle limitazioni, degli obblighi e delle autorizzazioni secondo le esigenze del caso.
In sostanza, grazie a un'attenta individuazione del luogo di detenzione, potranno perseguirsi finalità terapeutiche e di protezione, senza trascurare le esigenze dei suoi familiari e assicurando, al tempo stesso, la sicurezza della collettività.
La varietà dei quadri clinici e delle condizioni sociali e familiari dei detenuti affetti da malattie psichiche, spiega la Corte Costituzionale, esige da parte del giudice un'attenta valutazione caso per caso e momento per momento della singola situazione.
La valutazione del giudice
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Il magistrato dovrà verificare, anche in base alle strutture e ai servizi di cura offerti all'interno del carcere, alle esigenze di salvaguardia degli altri detenuti e di tutto il personale che opera negli istituti penitenziari, se il condannato affetto da grave malattia psichica sia in condizioni di rimanere in carcere o debba essere destinato a un luogo esterno (abitazione o luoghi pubblici di cura, assistenza o accoglienza), con modalità che garantiscano la salute, fermo restando le esigenze della sicurezza pubblica.
Tale valutazione dovrà tener conto di vari elementi: il quadro clinico del detenuto, la sua pericolosità, le sue condizioni sociali e familiari, le strutture e i servizi di cura offerti dal carcere, le esigenze di tutela degli altri detenuti e di tutto il personale che opera nell'istituto penitenziario, la necessità di salvaguardare la sicurezza collettiva.
La decisione della Consulta non manca, infine di rammentare che "incombe sul legislatore il dovere di portare a termine nel modo migliore la già avviata riforma dell'ordinamento penitenziario nell'ambito della salute mentale, con la previsione di apposite strutture interne ed esterne al carcere".
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