di Gabriella Lax -Il silenzio-assenso sulle richieste di autorizzazione all'installazione d'impianti audiovisivi sui posti di lavoro non vale. Occorre sempre l'emanazione di un provvedimento espresso di accoglimento o rigetto dell'istanza. La possibilità di installare telecamere in ufficio, in fabbrica o su qualsiasi altro posto di lavoro, sta diventando una consuetudine che serve a dare maggiore sicurezza agli stessi lavoratori di un dato luogo.
Telecamere in ufficio serve un provvedimento espresso
Ma quali sono le regole che permettono l'installazione di telecamere sul posto di lavoro? Nell'interpello n. 3/2019, il ministero del Lavoro e delle politiche sociali esprime il proprio parere sulla configurabilità del silenzio-assenso nelle richieste di autorizzazione all'installazione delle telecamere. In sintesi, secondo il parere del ministero, non c'è silenzio-assenso sulle richieste di autorizzazione all'installazione d'impianti audiovisivi sui posti di lavoro. Occorre sempre l'emanazione di un provvedimento espresso, per via della diseguaglianza di posizione tra imprenditore e lavoratori.
Intanto, il terzo comma dell'art.4 della legge 300 del 1970 stabilisce, «l'utilizzabilità delle informazioni raccolte per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto delle previsioni del decreto legislativo n. 196 del 2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali)». Le disposizioni contenute nell'articolo 4 sono volte a contemperare le esigenze datoriali con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore sul luogo di lavoro. Si vuole evitare che l'attività lavorativa «risulti impropriamente e ingiustificatamente caratterizzata da un controllo continuo e anelastico, tale da eliminare ogni profilo di autonomia e riservatezza nello svolgimento della prestazione di lavoro». Serve un accordo tra la parte datoriale e le rappresentanze sindacali la possibilità di impiego degli impianti e degli altri strumenti che consentano anche il controllo dell'attività dei lavoratori.
In mancanza di accordo, l'installazione è subordinata all'autorizzazione dell'Ispettorato del lavoro. Ancora il Garante per la protezione dei dati personali è intervenuto sul tema per regolare, con provvedimenti e linee guida, il caso particolare, in considerazione della stretta interazione tra l'articolo 4 della legge n. 300 e la normativa in materia di protezione dei dati personali, spesso richiamata anche nei provvedimenti di autorizzazione dell'Ispettorato del lavoro, con i quali sono stabilite le prescrizioni di utilizzo degli impianti e degli altri strumenti di controllo.Con la nota del 16 aprile 2012 (prot. n. 7162) l'allora Direzione Generale per l'attività ispettiva del ministero aveva fornito istruzioni operative in relazione al rilascio delle autorizzazioni previste dall'articolo 4 della legge n. 300 del 1970, sottolineando «la necessità di considerare i presupposti legittimanti la richiesta di installazione di impianti di controllo, ovvero l'effettiva sussistenza delle esigenze organizzative e produttive» ed ancora «il necessario rispetto del Codice per la privacy, nonché dei successivi provvedimenti del Garante, in particolare delle prescrizioni del Provvedimento generale sulla videosorveglianza dell'8 aprile 2010, nel quale, tra l'altro, si afferma l'esclusione dell'applicazione del principio del silenzio-assenso in questo caso specifico». E ancora, l'Ispettorato nazionale del lavoro ha richiesto alle proprie strutture territoriali la necessità della stretta connessione teleologica che deve intercorrere tra la richiesta di installazione e l'esigenza manifestata. Dunque, «la formulazione dell'articolo 4, primo comma, della legge n. 300 del 1970 non consente la possibilità di installazione ed utilizzo degli impianti di controllo in assenza di un atto espresso di autorizzazione, sia esso di carattere negoziale (l'accordo sindacale) o amministrativo (il provvedimento)». Si tratta di una interpretazione condivisa anche dalla giurisprudenza, che afferma "la diseguaglianza di fatto e quindi l'indiscutibile e maggiore forza economico-sociale dell'imprenditore, rispetto a quella del lavoratore, dà conto della ragione per la quale la procedura codeterminativa sia da ritenersi inderogabile, potendo alternativamente essere sostituita dall'autorizzazione della direzione territoriale del lavoro", in continuità con un orientamento interpretativo consolidato in materia (cfr. Cass. pen. n. 51897/2016; Cass. civ. n. 1490/1986). Da qui non risulta configurabile l'istituto del silenzio-assenso, occorrendo l'emanazione di un provvedimento espresso di accoglimento o rigetto dell'istanza relativa.
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