Avv. Paolo Accoti - E' noto che, ai sensi dell'art. 1102 Cc, ciascun condomino può servirsi della cosa comune, a patto che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti al condominio di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Pertanto, una tale possibilità è concessa fino a quando ciò non impedisca il godimento del medesimo bene da parte degli altri condòmini, conseguentemente, qualora un condomino, proprietario di un locale commerciale esercente l'attività di ristorazione ubicato al piano terra, realizzi sul marciapiede antistante l'anzidetto ristorante un portico stabilmente agganciato alle solette dei balconi soprastanti, al fine di agevolare l'accesso alla clientela, pur non impedendo di fatto il transito degli altri condòmini, viola comunque l'art. 1102 Cc in quanto una siffatta trasformazione si traduce in una annessione del marciapiede nella sfera di disponibilità esclusiva del singolo condomino.
Questo è quanto statuito dalla Corte di Cassazione, II Sez. civile, Presidente dott. L. Orilia, Relatore dott. A. Scarpa, nell'ordinanza n. 13506, depositata in data 20 Maggio 2019.
Il giudizio di merito
Alcuni condòmini citavano in giudizio il condomino proprietario di un locale terraneo adibito a ristorante, al fine di sentirlo condannare alla rimozione di una tettoia con annessi portici ("bricole"), realizzata sul marciapiede comune e posta a servizio dell'attività di ristorazione.
Si costituiva in giudizio il condomino-ristoratore deducendo la regolarità dell'opera in forza di DIA presentata ai competenti uffici comunali e che, comunque, nell'atto di acquisto del locale in questione, l'originario unico proprietario attribuiva alle unità immobiliari poste al piano terra il diritto d'uso esclusivo dei marciapiedi antistanti, anche per l'installazione di tavolini, ombrelloni, arredi o merci, "senza però ostacolare il passaggio pedonale ai condomini del complesso immobiliare".
Che, ad ogni modo, la struttura realizzata non aveva modificato quella pre-esistente, essendosi limitato a sostituire la copertura in pvc, oramai deteriorata, con una tettoia in legno delle medesime dimensioni, in conformità all'uso concesso.
Il Tribunale di Udine prima, e la Corte d'Appello di Trieste poi, ordinavano la rimozione della tettoia in considerazione del fatto che, dalle risultanze istruttorie e, in particolare, dalle deposizioni testimoniali, era emerso che la struttura fissa posta al servizio esclusivo dell'attività commerciale costituiva un impedimento all'accesso degli altri condòmini sul marciapiede e sull'area condominiale.
Il giudizio di legittimità
Propone ricorso per cassazione il condomino soccombente, deducendo, tra l'altro, la violazione dell'art. 1102 e 1362 Cc, in quanto la realizzazione del portico rappresenterebbe un legittimo esercizio dell'uso esclusivo spettante allo stesso.
La Suprema Corte evidenzia da subito come le Corti territoriali abbiano deciso in modo conforme all'orientamento giurisprudenziale a mente del quale "in tema di condominio negli edifici, il disposto dell'art. 1102 c.c., in forza del quale ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un'utilità più intensa o anche semplicemente diversa da quella ricavata eventualmente in concreto dagli altri comproprietari, purché non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso, presuppone pur sempre che l'utilità, che il condomino intenda ricavare dall'uso della parte comune, non sia in contrasto con la specifica destinazione della medesima, dovendosi perciò escludere la liceità della collocazione sopra un marciapiede, da parte di un condomino, di un porticato fisso in legno, stabilmente agganciato alle terrazze, per permettere l'accesso ai clienti della propria attività commerciale di ristorazione„ così immutando la destinazione del marciapiede, avente per sua natura, come funzione tipica, quella di consentire il sicuro transito dei pedoni".
Peraltro, anche la circostanza per cui gli altri partecipanti potrebbero ugualmente transitare appare inconferente, in quanto, come accertato nel caso concreto, "quell'opera si traduce nell'attrazione di una porzione della cosa comune nella sfera di disponibilità esclusiva di un singolo condomino (cfr. Cass. Sez. 2, 07/06/2011, n. 12310).".
Continua la Corte di Cassazione rilevando come è pur vero che, nell'autonomia delle parti, la concessione dell'uso dei marciapiedi antistanti i locali commerciali da parte dell'originario proprietario, consacrata nell'atto di acquisto, rappresenta un "titolo" di natura pertinenziale agli effetti dell'art. 1117 Cc ma, nondimeno, "è tuttavia evidente che la ravvisabilità di un tale titolo di fonte contrattuale, che attribuisca ad uno o a più condomini l'uso esclusivo di un'area esterna al fabbricato, altrimenti idonea a soddisfare le esigenze di accesso all'edificio di tutti i partecipanti, costituisce questione di interpretazione, ovvero di ricostruzione dell'esatta volontà negoziale dei condomini, e presuppone un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito.".
A tal proposito, però, la Corte d'Appello di Trieste ha accertato "come la modifica strutturale operata avesse cagionato un impedimento di fatto all'accesso degli altri condomini sul marciapiede, e quindi anche una violazione delle regole imposte con l'atto di acquisto, che infatti, come espone lo stesso ricorrente, pur attribuendo ai proprietari degli immobili al piano terra il diritto di uso esclusivo del marciapiede, mantenevano comunque il divieto di "ostacolare il passaggio pedonale ai condomini del complesso immobiliare"".
In definitiva, pertanto, il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione.
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