"… Non può infatti essere considerato di <> il fatto il cui apprendimento e accertamento comporta per il giudice attività e indagini che per definizione incombono, secondo l'attuale struttura del processo civile, sulla parte interessata a farlo valere: quale, nella specie, è indubbiamente quello relativo all'effettiva esistenza di una certa operazione di fusione tra dati, particolari soggetti bancari e quale pure non può non essere l'individuazione del tempo in cui tale specifica operazione sarebbe avvenuta".
La Corte di legittimità, quindi, ha affermato che la prospettazione della banca "assume un'inesatta nozione di notorietà ex art. 115 comma 2 cod. proc. civ.".
Evidente, quindi, come il suindicato principio di diritto - costituente applicazione dei principi giurisprudenziali enucleati in materia di fatto notorio ad uno specifico settore di attività economica, qual è l'attività bancaria (che da circa vent'anni assiste ad un continuo processo di fusioni ed incorporazioni) - costituisca una bussola di cui dovranno tenere conto gli istituti bancari e finanziari che intendano dimostrare i propri assunti circa l'avvenuta successione, ad una certa data, nei rapporti intrattenuti dal cliente con l'originario istituto bancario, e ciò nell'ipotesi in cui il cliente sia stato poi dichiarato fallito.
Nel caso in esame, invero, la fattispecie posta all'attenzione della Suprema Corte verteva su giudizio di opposizione allo stato passivo ex art. 98 Legge Fallimentare, ove, com'è noto, incombe sul creditore la prova che il credito sia di data certa anteriore alla data della sentenza dichiarativa di fallimento.
Avv. Paolo Calabretta del foro di Catania
Scarica pdf Cass. ordinanza n. 14914/2019• Foto: 123rf.com