di Lucia Izzo - La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto è applicabile a tutti i reati, entro la soglia indicata dalla legge (pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena), quando risulta che l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.
Il giudice dovrà all'uopo valutare le modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo ai sensi dell'articolo 133, primo comma, del codice penale. Quello che viene in considerazione è la caratterizzazione storica del fatto nella sua interezza, mentre non viene precisata una tipologia di reato per la quale non sia possibile la considerazione della modalità della condotta e in cui sia quindi inibita ontologicamente l'applicazione del nuovo istituto.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, quarta sezione penale, nella sentenza n. 23245/2019 (qui sotto allegata) pronunciandosi sul ricorso del Procuratore generale della Corte di appello contro la sentenza che aveva assolto un imputato dal reato di cui all'art. 95 d.P.R. n. 115/02 per particolare tenuità del fatto.
Si rammenta che la norma in questione punisce la falsità o le omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni previste dall'articolo 79, comma 1, lettere b), c) e d).
- Il caso
- Il giudizio sulla tenuità del fatto
- Tenuità del fatto: rileva l'entità del complessivo disvalore della condotta
Il caso
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Il giudice a quo ha ritenuto che, nel caso di specie, l'offesa fosse di particolare tenuità "in ragione delle specifiche modalità della condotta già desumibili dalla prospettazione accusatoria" e ha altresì rilevato la non ricorrenza di alcuna delle condizioni ostative indicate dall'art. 131-bis del codice penale.
Nel contestare la decisione, il Procuratore ricorrente sostiene, invece, che il giudice non debba esclusivamente limitarsi a verificare l'astratta applicabilità dell'istituto avuto riguardo ai limiti edittali di pena e alla non abitualità del reato, ma debba sottoporre a un rigoroso vaglio critico il requisito della tenuità dell'offesa.
In relazione al reato commesso, per le caratteristiche intrinseche e per le finalità cui è destinato, non poteva secondo il ricorrente reputarsi sussistente la fattispecie di cui all'art. 131-bis c.p. in quanto le modalità della condotta e l'entità del danno causato o causabile non consentono di considerare l'offesa "di particolare tenuità".
Il giudizio sulla tenuità del fatto
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Tuttavia, tale ricostruzione viene respinta dagli Ermellini i quali precisano che il legislatore ha limitato il campo d'applicazione dell'anzidetta causa di non punibilità in relazione alla gravità del reato, desunta dalla pena edittale massima, e alla non abitualità del comportamento.
La Suprema Corte chiarisce che, in tale ambito, il fatto particolarmente tenue va individuato alla stregua di caratteri riconducibili a tre categorie di indicatori: le modalità della condotta, l'esiguità del danno o del pericolo, il grado della colpevolezza.
Il giudizio sulla tenuità del fatto comporta, in conseguenza, una valutazione che ha a oggetto le modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo valutate ai sensi dell'art. 133, comma 1, del codice penale. Si richiede, in breve, una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta e non solo di quelle che attengono all'entità dell'aggressione del bene giuridico protetto.
A sostegno di tale assunto, viene richiamata la pronuncia n. 13681/2016 con cui le Sezioni Unite, in una ampia e compiuta illustrazione dell'istituto, hanno tra l'altro affermato che non esiste quindi un'offesa tenue o grave in chiave archetipica, poiché è la concreta manifestazione del reato a segnarne il disvalore. Ciò che conta è, dunque, il riferimento testuale alle modalità della condotta, al comportamento.
Tenuità del fatto: rileva l'entità del complessivo disvalore della condotta
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La nuova normativa, spiega la Cassazione, non si interessa della condotta tipica, bensì ha riguardo alle forme di estrinsecazione del comportamento, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l'entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena.
Appare evidente, dunque, che la novella che ha introdotto la causa di non punibilità intende per l'appunto riferirsi alla connotazione storica della condotta, essendo in questione non la conformità al tipo, bensì l'entità del suo complessivo disvalore.
Essendo allora in considerazione la caratterizzazione storica del fatto nella sua interezza, non si dà tipologia di reato per la quale non sia possibile la considerazione della modalità della condotta; ed in cui sia quindi inibita ontologicamente l'applicazione del nuovo istituto.
L'opinione contraria manifestata dal Procuratore, spiega la Cassazione, è deviata dalla impropria sovrapposizione tra il fatto tipico e il fatto storico, tra l'offesa e la sua entità, e condurrebbe a frustrare le finalità deflative sottese alla novella.
In conformità ai menzionati principi, la motivazione offerta dal Tribunale si dimostra adeguata dando la stessa conto dell'insussistenza: di circostanze idonee a connotare di disvalore la condotta, di un'abitualità nella condotta dell'imputato e delle altre condizioni negative e ostative indicate dall'art. 131-bis, comma 3, del codice penale. Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile.