Per gli Ermellini le videoriprese del pubblico transito non sono di per sé illegittime se utilizzate per difendere beni primari (es. sicurezza e proprietà) e se i sistemi sono regolarmente segnalati

di Lucia Izzo - Il sistema di videosorveglianza che riprende il pubblico transito non può ritenersi di per sè illegittimo qualora sia utilizzato per difendere beni primari, come la sicurezza o la proprietà privata, e le telecamere siano regolarmente segnalate.

Non può dunque ritenersi integrato il reato di violenza privata ex art. 610 c.p. poiché le libertà individuali vanno bilanciate con le esigenze di sicurezza sociale. Invece, se il proprietario delle telecamere rappresenta l'intenzione (peraltro attuata) di sporgere denuncia in relazione ai fatti illeciti emergenti dalle videoriprese, potrebbero al più ritenersi integrati i singoli reati di minaccia, di molestia, di ingiuria.

Trattasi, infatti, di un uso strumentale o molesto delle immagini catturate dalle telecamere di videosorveglianza, attuato successivamente a tale azione e, dunque, estraneo allo schema legale della fattispecie di violenza privata.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 20527/2019 (qui sotto allegata) annullando, per insussistenza del fatto, la sentenza che aveva condannato due persone per il reato di violenza privata.


Il caso

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La condotta era consistita nell'installare, sul muro perimetrale delle rispettive abitazioni, telecamere a snodo telecomandabile per ripresa visiva e sonora, orientate su zone e aree aperte al pubblico transito, "costringendo" gli abitanti della zona, e in particolare le costituite parti civili, a tollerare di essere costantemente osservati e controllati nell'espletamento delle loro attività lavorative e nei loro movimenti.


Controlli che venivano poi puntualmente riferiti e utilizzati per rimarcare la commissione di presunti illeciti (schiamazzi, parcheggio delle auto fuori dalle aree di sosta consentite, deiezioni animali abbandonante dinanzi al cancello delle abitazioni, e così via) che sarebbero stati perseguiti mediante esposti e denunce effettivamente poi inoltrati alle competenti autorità competenti.

Il reato di violenza privata

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In Cassazione, tuttavia, si ritiene che la condotta non integri il reato di violenza privata il quale tutela la libertà psichica dell'individuo. In particolare, la fattispecie criminosa ha carattere generico e sussidiario rispetto ad altre figure in cui la violenza alle persone è elemento costitutivo del reato, sicchè, esso reprime genericamente fatti di coercizione non espressamente considerati da altre norme di legge.


Per consolidato orientamento di legittimità, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la libertà di autodeterminazione e di azione della persona offesa (cfr., ex multis, Cass. n. 11522/2009) o che si risolve nella coartazione della libertà fisica o psichica del soggetto passivo che viene così indotto, contro la sua volontà, a fare, tollerare od omettere qualche cosa, indipendentemente dall'esercizio su di lui di un vero e proprio costringimento fisico (cfr. Cass. 39941/2002).


Quindi, nel fatto tipico della norma incriminatrice non possono farsi rientrare tutti i comportamenti pure astrattamente condizionati da una condotta altrui, ma solo quelli che siano concretamente offensivi del bene giuridico protetto che, come visto, è la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo, e tanto nel rispetto del principio di offensività, quale criterio interpretativo idoneo a escludere la tipicità dei fatti che risultino in concreto inoffensivi.

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Riprendere il pubblico in transito non risulta in sé illecito

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Nel caso di specie, la condotta contestata concerne, non l'acquisizione di immagini relative alla condotta tenuta da cittadini sulla pubblica via, ma il condizionamento esercitato su alcune persone (in particolare sulle costituite parti civili) dagli imputati, mediante la istallazione e l'utilizzo di immagini tratte dai filmati registrati dalle telecamere.

Tale condotta, secondo i giudici, non è configurabile come violenza privata e neppure è idonea a indurre la descritta coartazione negli abitanti della zona. In primis, si legge in sentenza, l'installazione di sistemi di videosorveglianza con riprese del pubblico transito non costituisce in sé un'attività illecita, né lo sono le concrete modalità di attuazione della condotta descritta in imputazione.

Neppure è ravvisabile, nel prospettato cambiamento di abitudini che si sarebbe registrato da parte di alcuni abitanti, l'offesa al bene giuridico protetto dalla norma di cui all'art. 610 c.p.., trattandosi di condizionamenti minimi indotti dalle condotte de quibus, tali da non potersi considerare espressivi di una significativa costrizione della libertà di autodeterminazione.

Liceità dell'installazione di sistemi di videosorveglianza

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La Cassazione si sofferma, inoltre, sulla necessità che il valore fondamentale della libertà individuale sia bilanciato con altri, come quello della sicurezza. In materia di riprese tramite strumenti di videosorveglianza, inoltre, è previsto che chiunque installi tale sistema debba provvedere a segnalarne la presenza, facendo in modo che qualunque soggetto si avvicini all'area interessata dalle riprese sia avvisato della presenza di telecamere già prima di entrare nel loro raggio di azione.


La segnalazione deve essere effettuata tramite appositi cartelli, collocati a ridosso dell'area interessata, e in modo tale che risultino chiaramente visibili: se, per un verso, l'avvertimento della presenza del sistema di videosorveglianza può costituire un condizionamento della libertà di movimento del cittadino, d'altro canto, consente a quest'ultimo di determinarsi "cognita causa", selezionando i comportamenti consequenziali da tenere. Nel caso di specie risultano rispettate le necessarie precauzioni e gli avvertimenti.

La pronuncia della Corte EDU

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Nel sottolineare tale "delicato equilibrio di compromesso tra libertà individuali ed esigenze di sicurezza sociale", la Cassazione richiama anche una recente pronuncia della Corte Edu (causa C-212/13): i giudici europei hanno precisato che la videosorveglianza che si estende allo spazio pubblico, quella cioè installata dal privato e diretta al di fuori della sua sfera privata, non appare come un'attività esclusivamente personale o domestica.


Tuttavia, ciò, che in astratto è illegittimo, può essere considerato lecito se, secondo il giudice nazionale, nel caso concreto, vi sia un legittimo interesse del responsabile del trattamento alla protezione dei propri beni come la salute, la vita propria o della sua famiglia, la proprietà privata. La Corte ha precisato che, ricorrendo tali condizioni, è sufficiente l'informazione alle persone della presenza del predetto sistema.


Alla luce di quanto emerge dalla ricostruzione fattuale consegnata dalla sentenza impugnata, non può ragionevolmente escludersi che il sistema di videoripresa attuato dagli imputati fosse finalizzato proprio alla protezione degli indicati beni primari della sicurezza, della vita e della proprietà privata, essendo stata, peraltro, rispettata la prescrizione della preventiva informativa al pubblico.


La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste con conseguente revoca anche delle statuizioni civili. Al più, le condotte dei ricorrenti che hanno "minacciato" e poi sporto denuncia per i fatti illeciti emergenti dalle videoriprese possono integrare i singoli reati di minaccia, di molestia, di ingiuria, ma non quello di violenza privata.

Scarica pdf Cassazione sentenza n. 20527/2019

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