La violenza economica consiste in condotte idonee ad ostacolare l'indipendenza economica di un congiunto per assumere una posizione di controllo causando un forte senso di soggezione e dipendenza

Avv. Marina Scaglione - La violenza economica, considerata come condotta fortemente lesiva della dignità della persona, costituisce una grave forma di abuso psicologico. Si tratta, infatti, di una vera e propria «strategia di controllo»[1].

Tratti caratteristici e conseguenze dell'abuso

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Il maltrattamento economico si configura ogniqualvolta viene negato al coniuge l'accesso alle informazioni di conti bancari o questi viene estromesso dalle scelte inerenti alla situazione finanziaria ed al bilancio domestico.

Il congiunto che utilizza il denaro e la forza economica come strumento di potere può arrivare ad impedire alla vittima il possesso di un proprio conto corrente o di una carta di credito o, addirittura, a non fornire spiegazioni su documenti di cui si pretende la firma (per esempio cambiali in bianco o altri documenti vincolanti) celandone le motivazioni e i rischi.

Le dinamiche di controllo maniacale dei conti e delle spese conduce ad un vero e proprio isolamento della vittima alla quale, talvolta, si giunge ad impedire persino l'utilizzo del telefono o lo svolgimento di un'attività lavorativa.

Il soggetto che subisce tale forma di abuso si ritrova a dover perennemente dare spiegazioni anche in merito alle più banali spese e a dover chiedere al proprio marito o compagno le risorse economiche necessarie alle esigenze di vita quotidiana.

La casistica testimonia che il soggetto passivo di queste condotte lesive è, nella maggior parte dei casi, la moglie/compagna. Il padre/marito/compagno che detiene il controllo economico del nucleo familiare tende ad assumere un atteggiamento quasi di sufficienza e le erogazioni finanziarie, normali contributi al sostentamento della famiglia, vengono ad assumere i caratteri di mere "concessioni" o, spesso, negate. Ogni aspetto legato alla gestione finanziaria della casa familiare viene monopolizzato dal congiunto in posizione di "superiorità economica".

L'effetto principale di tale condotta è la totale privazione dell'autonomia del congiunto. Una volta raggiunto questo scopo, viene ingenerato nella vittima un forte senso di inferiorità e di inadeguatezza nel far fronte ai propri ed agli altrui bisogni.

Quando ai maltrattamenti fisici del marito/compagno si accompagna violenza economica, le conseguenze della sottile e infida trama di tale prevaricazione e l'oggettiva carenza di mezzi di sostentamento assumono tratti ancora più drammatici in quanto finiscono col divenire ostacoli per la donna vittima di violenza domestica nella strada da percorrere per allontanarsi da contesti familiari violenti. In questi casi, infatti, l'abbandono dell'ambiente violento diventa per la vittima estremamente difficile.

Il timore di non riuscire a provvedere a sé e, soprattutto, alla prole porta in molti casi ad uno stato di immobilità spesso alimentato dalle minacce del partner e dalle denigrazioni circa la capacità di far fronte agli oneri economici nonché dalla concreta carenza di mezzi cagionata dal protratto isolamento. Il soggetto vittima delle condotte lesive si trova in una situazione di notevole disagio psicologico che ha un effetto paralizzante limitando la capacità di autodeterminazione.

Strumenti di tutela in ambito civile: gli ordini di protezione

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Tra gli strumenti che la legge civile pone a tutela delle vittime di violenza domestica rientrano gli ordini di protezione di cui agli artt. 342 bis e 342 ter c.c. introdotti dalla legge n.154 del 2001 ovvero misure cautelari civili tipiche adottate dal giudice, su istanza della vittima, con decreto motivato anche senza il verificarsi di un illecito penale e che hanno la finalità di contrastare la prosecuzione di condotte violente all'interno della famiglia tramite l'allontanamento del soggetto abusante dalla casa familiare.

Il presupposto oggettivo, ai fini dell'applicabilità degli ordini di protezione, è una condotta che generi "grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro convivente".

Per integrità morale s'intende il «patrimonio di valori dei quali il soggetto può essere depositario»[2] e per libertà il valore «esteso a tutti quei profili che consentono al soggetto di autodeterminarsi»[3].

Si tratta di una concezione atipica di abuso familiare non circoscritto, quindi, in una precisa e unica definizione. Il legislatore pone l'accento sull'effetto pregiudizievole, considerando comportamento rientrante nelle ipotesi di abuso familiare episodi di violenza di vario genere, sia fisica, psicologica ed economica in grado di generare gli effetti delineati dalla norma.

Dal punto di vista soggettivo degna di nota appare l'estensione degli ordini di protezione non solo a favore del coniuge ma di «ogni altro componente del nucleo familiare», sancita dall'art. 5 della L. 154/2001[4]. Alla luce dei contenuti del citato articolo, i soggetti coinvolti, sia dalla parte attiva che passiva dell'illecito, sono i coniugi, i conviventi, minori e anziani e tutti i soggetti appartenenti al medesimo nucleo familiare. Ai fini dell'applicabilità dell'istituto rileva, quindi, la sola convivenza senza la necessità che questa sia fondata sul vincolo matrimoniale.

Con l'ordine di protezione il giudice può adottare a carico del soggetto che pone in essere la condotta pregiudizievole delle misure accessorie quali l'obbligo del pagamento con periodicità di una somma di denaro a favore delle persone conviventi se a causa dell'allontanamento risultino prive di mezzi di sussistenza, l'intervento dei servizi sociali o di associazioni di sostegno alle vittime di dinamiche familiari violente.

Il giudice fissa le modalità e i tempi di versamento dell'assegno e ha facoltà di ordinare che il pagamento sia corrisposto direttamente dal datore di lavoro dell'obbligato, detraendo la somma dalla retribuzione.

I provvedimenti oggetto dell'art. 342 bis c.c. hanno una portata temporalmente limitata ad un anno. È possibile una proroga del termine su istanza di parte e solo per gravi motivi. L'eventuale obbligo di pagamento imposto dal giudice può, al termine della misura, essere sostituito, prima della cessazione di efficacia del decreto, da un nuovo provvedimento relativo all'affidamento e al mantenimento.

Il rimedio degli ordini di protezione non si applica quando la condotta pregiudizievole viene attuata dal coniuge che ha avanzato o nei confronti del quale è stata proposta domanda di separazione personale o di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio sempre che nel relativo procedimento si sia svolta l'udienza di comparizione dei coniugi davanti al presidente del tribunale.

Profili penali e Convenzione di Istanbul

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Ad oggi il legislatore non ha cristallizzato la violenza economica in una specifica norma incriminatrice. Tale forma di violenza è stata citata per la prima volta nell'articolo 3 del decreto 93/2013 convertito dalla legge 119/2013 recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, con riferimento all'istituto dell'ammonimento.

All'interno della coppia la violenza economica si manifesta come peculiare forma di violenza di genere e vede, quindi, più frequentemente la donna nelle qualità di soggetto passivo.

Il predetto vuoto legislativo si pone in netto contrasto con la Convenzione di Istanbul che all'art. 3 definisce la violenza nei confronti delle donne come "una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata" e la violenza domestica come "tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima".

La Convenzione di Istanbul pone, inoltre, a carico degli Stati firmatari l'obbligo di adottare misure legislative e non, idonee a prevenire e contrastare le condotte dei responsabili e risarcire le vittime per le violenze subite.

In particolare, l'art. 12 della Convenzione prevede il dovere di "adottare le misure necessarie per promuovere i cambiamenti nei comportamenti socio-culturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull'idea dell'inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini".

La fattispecie della violenza economica pur non avendo una collocazione codicistica autonoma può, a determinate condizioni, essere inquadrata nel delitto di maltrattamenti in famiglia di cui all'art. 572 c.p[5]. ogniqualvolta si realizzino contegni prepotenti e vessatori di natura abituale tali da cagionare uno stato di continua sofferenza, mortificazione e offesa alla dignità della vittima.

L'autore dell'anzidetta condotta agisce con la volontà di assoggettare il proprio congiunto ad un'abituale condizione di soggezione psicologica e di avvilimento.

Affinché il contegno del soggetto attivo assuma i caratteri del reato di cui sopra è necessario che, come evidenziato dalla Suprema Corte di Cassazione Penale nella sentenza n. 43960/2015, si pongano in essere " comportamenti vessatori suscettibili di provocare un vero e proprio stato di prostrazione psico-fisica della persona offesa, mentre le scelte economiche ed organizzative in seno alla famiglia, per quanto non pienamente condivise da entrambi i coniugi, non possono di per sé integrare gli estremi dei maltrattamenti, salvo non sia provato che esse costituiscano frutto di comprovati atti di violenza fisica o di prevaricazione psicologica".

I giudici di legittimità in una successiva pronuncia hanno ribadito la possibile riconducibilità dell'abuso economico alla fattispecie di maltrattamenti in famiglia, precisando che "la privazione di disponibilità economiche costituisce solo una delle numerose modalità di maltrattamento poste in essere dall'imputato" in quanto il marito della persona offesa "aveva tolto alla moglie la procura sul conto corrente e l'uso del bancomat, lasciandole soltanto una carta per la spesa nel supermercato, con un limitato plafond; il bancomat le era stato poi successivamente riconsegnato per poi esserle nuovamente tolto" (Cass. Pen., n.18937/2016).

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione Penale hanno dato ulteriore forza al principio della riconducibilità dei maltrattamenti economici al reato di cui all'art. 572 c.p. con la sentenza n.10959/2016. Nell'anzidetta pronuncia, con riferimento ad un nuovo concetto di violenza alla persona ai fini dell'applicabilità dell'art. 408, comma 3 bis c.p.p., la Suprema Corte ha sottolineato che "l'espressione delitti commessi con violenza alla persona, adoperata dal legislatore in sede di conversione del d.l. n.93 del 2013, rinvia ad una fattispecie molto più ampia rispetto a quella del reato di maltrattamenti in famiglia originariamente previsto, e deve pertanto essere intesa in senso estensivo, comprensiva di tutte le violenze di genere e quindi anche di quella che non si estrinsechi in atti di violenza fisica ma riguardi anche la violenza psicologica, emotiva o che si realizzi soltanto con le minacce" e che, avuto riguardo di quanto sancito dalle direttive europee[6], la violenza all'interno delle relazioni familiari è "quella commessa da una persona che è l'attuale o l'ex partner della vittima ovvero da un altro membro della sua famiglia, a prescindere se l'autore del reato conviva o abbia convissuto con la vittima. Questo tipo di violenza potrebbe includere la violenza fisica, sessuale, psicologica o economica e provocare un danno fisico mentale o emotivo, o perdite economiche".

Dall'analisi prospettata, dunque, è innegabile che la violenza economica - per quanto fenomeno ancora in parte sommerso in quanto non caratterizzato da tratti di abusi estrinsechi ed evidenti - costituisca, però, una delle molteplici modalità attraverso le quali il subdolo attacco alla dignità e all'equilibrio psichico ed esistenziale della persona può manifestarsi. I rapporti familiari e di coppia possono trasformarsi in vere e proprie trappole costituite da un groviglio di possessività, narcisismo e prepotenza del soggetto che gode di una maggior forza economica a danno della partner con conseguente involuzione e annientamento dell'io per la vittima. La complessità e la frequenza del fenomeno renderebbe auspicabile un intervento normativo ad hoc in conformità al quadro di iniziative concepito a livello europeo per la lotta alla violenza contro le donne ed alla violenza domestica.


[1] Cfr. F.M. ZANASI, Violenza in famiglia e stalking, dalle indagini difensive agli ordini di protezione, Milano, 2006, p. 21

[2] Cfr. LAURA CARRERA, Violenza domestica e ordini di protezione contro gli abusi familiari, in Fam. e dir., n.4/2004, p. 388

[3] IBID.

[4] «Le norme di cui alla presente legge si applicano, in quanto compatibili, anche nel caso in cui la condotta pregiudizievole sia stata tenuta da altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente, ovvero nei confronti di altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente. In tal caso l'istanza è proposta dal componente del nucleo familiare in danno del quale è tenuta la condotta pregiudizievole.»

[5] "Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da due a sei anni. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni"

[6] Direttiva 2012/29/UE, cui è stata data attuazione con il d.lgs. 15 dicembre 2015 n. 212, entrato in vigore il 20 gennaio 2016


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