Come effettuare il recupero crediti a seguito di difesa di ufficio nel processo penale. Il primo passo è la lettera di sollecito pagamento, il passo finale è l'istanza di liquidazione al giudice

di Simone Sambucci - Fondamentale nel processo penale è, come sappiamo, il ruolo del difensore, ovvero di colui che cura gli interessi sostanziali del proprio assistito, svolgendo funzioni di rappresentanza (ovvero sostituendosi all'assistito nell'esercizio di diritti e facoltà) e di assistenza (ossia fornendo un supporto qualificato di natura tecnico-giuridica).

La difesa tecnica

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Riveste un ruolo di preminente importanza nell'ambito del processo penale quella che normalmente viene indicata come "difesa tecnica" dell'imputato

e delle altre parti private, al punto che è il legislatore stesso a preoccuparsi di garantirne l'esercizio a pena di nullità degli atti compiuti. L'art. 178, lett. c) c.p.p. prevede infatti che: "È sempre prescritta a pena di nullità l'osservanza delle disposizioni concernenti: [...] l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato e delle altre parti private nonché la citazione in giudizio della persona offesa dal reato e del querelante". Il difensore può essere scelto dalla persona titolare dell'interesse sostanziale coinvolto nel procedimento penale, sulla base di un rapporto strettamente fiduciario con esso, ed in tale caso si parlerà di una "nomina di fiducia"; così come è anche possibile che il titolare di tale interesse non abbia un difensore di fiducia cui fare riferimento. In tale ultimo caso però, non potendo l'imputato o la parte privata in questione, rimanerne priva, sarà l'autorità giudiziaria a provvedere in tale senso, nominando ex art. 97 I comma, c.p.p., un difensore d'ufficio, il quale assumerà nei confronti dell'assistito i ruoli di rappresentanza e assistenza in generale propri della figura del difensore.

Il rapporto con l'assistito

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Ciò che cambia tra la difesa di fiducia e la difesa di ufficio è principalmente il rapporto con l'assistito: nel primo caso infatti il rapporto è solitamente stretto, improntato sulla fiducia verso l'abilità professionale dell'avvocato che si è nominato, con periodici colloqui al fine di discutere dell'andamento del processo e di tenere aggiornato il cliente degli sviluppi dello stesso e della possibilità di buon esito del giudizio; mentre nel secondo caso è possibile che vi sia un rapporto di fatto nullo tra l'avvocato e l'assistito e ciò perché generalmente l'assistito non conosce personalmente il difensore.

E' ovvio che, appresa la notizia che in sua difesa è stato nominato dall'autorità giudiziaria un difensore di ufficio, l'assistito potrebbe avere la premura di contattare l'avvocato nominato per instaurare con lui un rapporto, ma ciò non sempre avviene. Se ciò, tuttavia, potrebbe non costituire un problema per il difensore ai fini dell'elaborazione della linea difensiva da seguire, potrebbe esserlo per ciò che riguarda il pagamento degli onorari dovuti. Sebbene, infatti, come è facile immaginare, sia (solitamente) più agevole contattare il proprio cliente per chiedere il pagamento dell'onorario in caso di una "difesa di fiducia", talvolta potrebbe essere davvero difficile entrare in contatto con il cliente quando si sia svolta la propria attività a seguito di una nomina d'ufficio (ciò perché, ad esempio, il cliente non ha mai preso contatti con l'avvocato nominato d'ufficio, né si è mai interessato agli sviluppi del processo, e via dicendo). Ma nemmeno in tale ultimo caso è, ovviamente, il caso di disperare, in quanto una delle caratteristiche fondamentali della difesa di ufficio è che essa è sempre "retribuita", sia percorrendo le ordinarie procedure civili di recupero credito, sia (in caso di esito negativo delle prime) con le modalità previste dalle norme in materia di gratuito patrocinio, ossia ponendo le spese legali dovute a carico dello Stato.

Il recupero del credito

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Per provvedere al recupero dei crediti dovuti a seguito di un processo penale, nei confronti del cliente con cui non si abbia un rapporto diretto, è necessario compiere i seguenti passaggi:

a) lettera di sollecito pagamento: la prima cosa da farsi è inviare al cliente una lettera in cui, oltre a informarlo che lo si è assistito in un determinato procedimento penale, dandogli notizia ovviamente anche dell'esisto processuale, lo si invita a prendere contatti con noi al fine di concordare il pagamento dei compensi maturati per l'attività professionale svolta. Al termine della lettera lo si avverte altresì che, qualora egli non dovesse prendere contatti con lo Studio legale scrivente entro e non oltre i quindici giorni dall'invio della lettera, si seguiranno le vie di legge per la tutela dei nostri interessi;

b) decreto di liquidazione del COA: dopo aver inviato la lettera raccomandata al cliente, si dovrà provvedere a chiedere copia del fascicolo del processo in cancelleria. I documenti importanti di cui chiedere copia sono soprattutto i verbali di udienza (soltanto, però, delle udienze in cui compariamo come presenti in prima persona), la sentenza, e il certificato di residenza del nostro assistito (qualora tale documento sia presente nel fascicolo). Importante è anche avere copia del frontespizio del fascicolo in cui compaiono chiaramente i numeri di R.G. Trib., di R.G.N.R., nonché le generalità dell'imputato con il capo di imputazione (per una perfetta identificazione del fascicolo). Avute le copie del fascicolo si prepara l'istanza al COA del Foro presso cui si è svolto il processo, indicando sinteticamente le attività svolte nelle varie udienze, con l'indicazione anche del totale degli onorari maturati in base al Protocollo d'Intesa in vigore in quel singolo tribunale (all'istanza al COA vanno allegate le copie del fascicolo fatte in cancelleria per dare prova dell'effettiva attività svolta, nonché dell'esito processuale). Analizzata la nostra istanza, il COA, se tutto è in regola, emetterà un decreto di liquidazione, con cui liquiderà il compenso che abbiamo indicato nella nostra istanza. Tale passaggio è importantissimo in quanto avere un decreto di liquidazione del COA significa automaticamente essere in possesso di un titolo attestante il nostro credito, sulla base del quale procedere poi con il decreto ingiuntivo;

c) certificato DAP: appena ottenuto il decreto del COA si dovrà attendere l'esito della consegna della lettera di sollecito pagamento da noi inviata. Se la consegna non è avvenuta perché il soggetto sia risultato "trasferito", "sconosciuto", "irreperibile", si dovrà chiedere per mezzo PEC al Comune in cui il soggetto risulta residente un certificato di residenza aggiornato e, ricevuta risposta, inviare nuovamente la lettera di sollecito pagamento al nuovo indirizzo indicatoci dall'Anagrafe. Potrebbe, però, capitare che il Comune, nel nuovo certificato, confermi lo stesso indirizzo di residenza cui noi abbiamo indirizzato la nostra prima lettera. In quest'ultimo caso si dovrà procedere alla richiesta di un certificato DAP all'Amministrazione Penitenziaria, in modo da verificare se il soggetto sia ristretto in un istituto penitenziario (nel qual caso la lettera andrebbe inviata all'indirizzo di quell'istituto penitenziario);

d) ricorso per decreto ingiuntivo: ottenuto il decreto di liquidazione del COA, se il cliente non ha provveduto a prendere contatti con noi, potremmo procedere alla stesura del ricorso con cui si chiede al giudice di ingiungere al cliente il pagamento della somma dovuta (ricorso per decreto ingiuntivo) ed attestata dal controllo del COA. Depositato il ricorso in cancelleria ed ottenuto il decreto ingiuntivo del giudice si ha, a questo punto, un titolo da notificare al debitore;

e) atto di precetto: una volta ottenuto il decreto ingiuntivo del giudice ed una volta notificatolo al debitore, si chiederà l'apposizione della formula esecutiva sul proprio decreto, e si provvederà a redigere l'atto di precetto. A questo punto si dovrà notificare l'atto di precetto al proprio cliente, allegandovi anche il decreto ingiuntivo già notificato. Con l'atto di precetto si intima espressamente al debitore di adempiere l'obbligo risultante dal titolo esecutivo (cioè dal decreto ingiuntivo) entro un termine non minore di dieci giorni, con l'avvertimento che, se non dovesse adempiere, si procederà ad esecuzione forzata;

f) pignoramento: trascorso il termine dei dieci giorni fissati nell'atto di precetto per l'adempimento spontaneo del debitore senza che, tuttavia, questi abbia adempiuto all'obbligo risultante dal titolo esecutivo, dovremo provvedere all'atto pignoramento, con il quale si aprirà l'espropriazione forzata. L'atto di pignoramento viene compiuto dall'ufficiale giudiziario su istanza del creditore, previa esibizione del titolo esecutivo e del precetto ritualmente notificati. In sostanza con l'atto di pignoramento, l'ufficiale giudiziario si presenta fisicamente dal debitore e gli ingiunge di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito indicato i beni che si assoggettano all'espropriazione e i frutti di essi. A questo punto possono verificarsi tre situazioni:

- l'ufficiale giudiziario, recatosi nell'indirizzo indicato, non trova il debitore;

- l'ufficiale giudiziario, recatosi nell'indirizzo indicato, si accorge che il debitore non ha nulla che possa essere espropriato;

- l'ufficiale giudiziario, recatosi nell'indirizzo indicato, trova il debitore e rinviene anche dei beni da espropriare.

Nei primi due casi l'ufficiale giudiziario redigerà un verbale di pignoramento negativo e il difensore potrà, finalmente, depositare istanza di liquidazione al giudice che ha seguito il processo nel suo svolgimento.

Nel terzo caso si procederà invece alla vendita dei beni espropriati mediante la quale si ricaverà la somma di denaro spettante al difensore per gli onorari maturati;

g) istanza di liquidazione al giudice: è un'istanza che deve essere presentata al giudice che ha trattato il processo quando la procedura di recupero crediti professionali si sia conclusa con un verbale di pignoramento negativo e non abbia, quindi, dato esito positivo. L'avvocato con tale istanza dovrà dare prova, attraverso la relativa documentazione allegata, di aver esperito tutta la procedura esecutiva volta alla riscossione dell'onorario. Il giudice, accertato che il difensore abbia inutilmente esperito la suddetta procedura esecutiva volta alla riscossione del credito, e accertato che ricorrano i presupposti previsti dal D.P.R. 115/2002, emetterà relativo decreto di liquidazione. La Corte di Cassazione, in proposito, precisa anche che debbono rientrare nella liquidazione operata dal giudice anche i costi relativi al procedimento di riscossione degli onorari, affermando precisamente: "[…] poiché l'esperimento del procedimento monitorio costituisce un passaggio obbligato per poter chiedere la liquidazione dei compensi ai sensi del combinato disposto del cit. D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 116, i relativi costi, comprensivi di spese, diritti ed onorari, non debbono rimanere a carico del professionista, ma debbono rientrare nell'ambito di quelli che l'erario è tenuto a rimborsare a seguito del decreto di pagamento emesso dall'autorità giudiziaria".

Con il decreto di liquidazione del giudice si chiude l'iter di recupero crediti da parte del difensore.


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