di Annamaria Villafrate - Non ha diritto all'assegno di divorzio la ex moglie argentina, di 35 anni, laureata, che è rimasta sposata per dieci anni e che non ha contribuito ad accrescere il patrimonio della famiglia. Non è credibile che i colloqui di lavoro siano saltati per colpa dei problemi con la lingua, dopo diversi anni che risiede in Italia. Non provato infine che la decisione di lasciare il lavoro sia stata condivisa dal marito. Questa la decisione presa dal Tribunale di Treviso nella sentenza 08.01.2019 (sotto allegata), dopo aver fornito una motivazione articolata e complessa, in cui ha dato risalto alla SU della Cassazione del 2018, che senza negare la natura composita dell'assegno di divorzio, compresa quella assistenziale, ha tuttavia negato che il solo divario economico esistente tra i coniugi rappresenti la ragione unica e fondante per il riconoscimento dell'assegno divorzile.
La vicenda processuale
Ricorre in Tribunale un marito, per chiedere lo scioglimento del matrimonio e il rigetto della richiesta della moglie dell'assegno di divorzio. Parte resistente si oppone, chiedendo la corresponsione di un assegno divorzile di 1900 euro al mese o nella maggiore o minore somma ritenuta di giustizia.
Il ricorrente esponeva di aver contratto matrimonio in Venezuela e di aver optato per il regime di separazione dei beni. Nell'udienza presidenziale veniva disposta la corresponsione dell'assegno mensile di 1500 euro a favore della moglie. L'uomo rappresentava di essere dipendente presso un'azienda italiana in Argentina e di percepire uno stipendio di 4600 euro mensili. Spesato interamente dall'azienda datrice, era proprietario di un immobile in Italia, per il quale pagava 1000 euro al mese di mutuo. Riferiva che la moglie era laureata in commercio estero ed era residente in Italia.
La stessa si era dimessa dall'azienda presso cui lavorava e da un'altra attività procuratale dal marito. Queste le ragioni per le quali il marito non intendeva corrispondere alcun assegno divorzile.Nella comparsa la donna riferiva di essere venuta in Italia per il marito, lasciando carriera e famiglia e di essersi dimessa dal lavoro, per scelta condivisa dal coniuge. Costui le avrebbe infatti chiesto di seguirlo nei suoi spostamenti, rassicurandola del fatto che l'avrebbe mantenuta lui. Giunta in Italia la donna non riusciva a reperire un nuovo lavoro a causa della lingua, nonostante la frequentazione di un corso di italiano. Ragioni che la stessa poneva a fondamento della richiesta di un assegno di divorzio di 1900 euro.
Il divario economico non è sufficiente per riconoscere l'assegno di divorzio
Il Giudice istruttore a cui era stata assegnata la causa , mandava la causa al PM e si riservava di riferire al Collegio, concedendo i termini di cui all'art 190 c.p.c. Dopo un attento esame dei fatti e delle prove prodotte il Tribunale riteneva fondata la domanda del ricorrente per diverse ragioni.
Prima di tutto, l'evoluzione giurisprudenziale degli ultimi due anni ha condotto, a causa dei contrasti insorti sulla natura dell'assegno di divorzio, alla pronuncia a Sezioni Unite n. 18287/2018, che ha definito l'art 5 comma 6 della legge sul divorzio n. 898/1970 "norma autosufficiente, non essendo necessario ricercare i criteri per valutare l'adeguatezza dei mezzi all'esterno di essa (…). Di conseguenza i criteri indicati nella norma devono essere tenuti in considerazione dal Giudice in posizione equi-ordinata. In relazione alla natura giuridica dell'assegno divorzile, la Suprema Corte, superando la tesi della funzione eminentemente assistenziale posta dalle Sezioni Unite del 1990 a fondamento del loro pensiero, ha specificato che allo stesso - deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa."
In secondo luogo occorre considerare il criterio comparatistico adottato dalla Cassazione, che guardando alla legislazione francese e tedesca, ritiene che la regola generale da adottare sia quella "dell'autosufficienza di ciascun coniuge al termine del rapporto matrimoniale e della limitazione dell'assegno a un periodo circoscritto …)." Insomma, assegno divorzile si, ma giusto per il tempo necessario a consentire al coniuge meno abbiente una vita dignitosa fino all'instaurazione di una nuova condizione lavorativa. Il tutto senza dimenticare la funzione assistenziale che la Corte riconduce all'art. 29 della Costituzione.
Alla luce della SU del 2018 si ritiene quindi che il giudice, nel valutare il riconoscimento del diritto all'assegno di mantenimento deve prima di tutto appurare la sussistenza di un divario economico delle parti. Poi occorre sondare le ragioni di tale divario, ritenuto che, se tale differenza è frutto anche dei sacrifici del richiedente, allora l'assegno sarà riconosciuto. Viceversa, se nessuno dei coniugi si è sacrificato, non sono nati figli, il matrimonio è stato di breve durata e non ci sono state rinunce professionali per far crescere la famiglia, allora non ci sarà spazio alcuno per l'assegno.
Considerato tuttavia l'assegno di divorzio ha natura composita, esso dovrà essere riconosciuto, proprio in virtù della sua funzione assistenziale, se uno dei coniugi, per età, salute, condizioni personali, non sia in grado di procurarsi da solo i mezzi per vivere. L'assegno però in questo caso avrà un importo meramente "alimentare". Senza dimenticare il criterio della durata del matrimonio. Solo tenendo conto di tutti questi elementi l'istituto è in grado di adattarsi alle situazioni più svariate, da quelle più risalenti nel tempo in cui la donna si occupava esclusivamente della famiglia sacrificando ogni sua ambizione lavorativa, a quelle più recenti in cui anche la moglie è impegnata nella costruzione di una sua carriera professionale.
Fatte queste doverose premesse, applicando i principi sancito dalla Cassazione SU del 2018 alla moglie non è dovuto alla richiedente alcun assegno di divorzio in quanto:
- la richiedente ha 35 anni ed è laureata, anche se la momento non ha un impiego;
- nel 2018 ha percepito 15.000 euro a titolo di assegno di mantenimento da parte del marito;
- risiede in Italia, ma non fornisce documentazione da cui risulti l'ammontare del canone sostenuto per la locazione;
- il matrimonio è durato 10 anni e dallo stesso non sono nati figli;
- non vi è prova del fatto che la scelta di lasciare il lavoro sia stata condivisa anche dall'ex marito;
- la donna ha un'età che le consente di reinserirsi nel mondo del lavoro;
- non è credibile che dal 2014 la stessa sia stata scartata dai colloqui di lavoro per problemi di lingua;
- non risulta che la stessa si sia sacrificata in modo apprezzabile o abbia contribuito alla formazione o all'aumento del patrimonio del ricorrente.
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