di Valeria Zeppilli - La condotta antisindacale è il comportamento tenuto dal datore di lavoro con il fine di impedire o limitare la libertà sindacale e l'attività sindacale in tutte le loro estrinsecazioni, anche ostacolando l'esercizio del diritto di sciopero.
Lo statuto dei lavoratori, all'articolo 28, prevede un procedimento speciale per la repressione della condotta antisindacale, rendendo così più efficace la difesa dell'esercizio dei diritti sindacali.
- Repressione della condotta antisindacale: legittimazione attiva
- Repressione della condotta antisindacale: la fase sommaria
- Repressione della condotta antisindacale: il rito del lavoro
- Condanna penale del datore di lavoro
- La condotta antisindacale
- Esempi di condotta antisindacale
Repressione della condotta antisindacale: legittimazione attiva
[Torna su]
La procedura prevista per la repressione della condotta antisindacale si caratterizza, innanzitutto, per il soggetto attivo, ovverosia per il soggetto legittimato ad avviare la stessa denunciando il comportamento del datore di lavoro limitativo della libertà sindacale.
L'articolo 28 dello statuto dei lavoratori, infatti, dà non al singolo lavoratore, ma agli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse il potere di rivolgersi al giudice, con ricorso, per denunciare il comportamento del datore di lavoro diretto a impedire o limitare l'esercizio della libertà e dell'attività sindacale e del diritto di sciopero.
A tale proposito, la Cassazione ha chiarito che "ciò che rileva ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 28 è la diffusione del sindacato sul territorio nazionale, a tal fine essendo necessario e sufficiente lo svolgimento di un'effettiva azione sindacale non su tutto, ma su gran parte di esso, senza che in proposito sia indispensabile che l'associazione faccia parte di una confederazione né che sia maggiormente rappresentativa" (Cass. n. 6322/2018).
Repressione della condotta antisindacale: la fase sommaria
[Torna su]
Con la denuncia del sindacato, si apre quindi la prima fase del procedimento previsto per la repressione della condotta antisindacale.
Essa si basa su accertamenti sommari, fatti dal giudice dopo aver convocato le parti interessate. La convocazione deve avvenire nei due giorni successivi alla denuncia. È evidente l'obiettivo di garantire la massima celerità.
Al termine di questa fase, il giudice, se ritiene sussistente la condotta antisindacale, ordina al datore di lavoro la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti che ne sono derivati. Tale ordine è contenuto in un decreto motivato e immediatamente esecutivo.
Repressione della condotta antisindacale: il rito del lavoro
[Torna su]
Tale decreto, in ogni caso, può essere impugnato dalle parti con opposizione presentata al tribunale osservando le disposizioni previste per il rito del lavoro dagli articoli 413 e seguenti del codice civile.
L'opposizione deve essere proposta nel termine massimo di 15 giorni dalla comunicazione del decreto alle parti e, nel corso del giudizio che con essa si apre e fino all'emanazione della sentenza che lo definisce, non è possibile revocare l'efficacia esecutiva del decreto opposto.
Condanna penale del datore di lavoro
[Torna su]
L'efficacia di tale decreto, nonostante lo stesso sia emesso all'esito di un accertamento sommario dei fatti, è piena, a dimostrazione dell'intento del legislatore di giungere alla repressione della condotta antisindacale in maniera sì celere ma anche effettiva.
A riprova di ciò c'è la previsione espressa dell'articolo 28 in forza della quale, nel caso in cui il datore di lavoro non ottemperi al predetto decreto, a tale inottemperanza consegue la condanna per il reato di cui all'articolo 650 del codice penale che punisce l'inosservanza dei poteri dell'autorità.
La pena prevista è quella dell'arresto fino a tre mesi o dell'ammenda fino a duecentosei euro.
La condotta antisindacale
[Torna su]
Dopo aver analizzato la procedura prevista dallo statuto dei lavoratori per la repressione della condotta antisindacale, è opportuno soffermarsi un po' di più su cosa debba in effetti intendersi per condotta antisindacale.
L'articolo 28, infatti, si limita a parlare di un comportamento diretto "ad impedire o limitare l'esercizio della libertà o dell'attività sindacale nonché del diritto di sciopero" e, quindi, definisce i beni tutelati ma non, concretamente, le condotte idonee a comprometterli. Si tratta, pertanto, di una fattispecie a struttura aperta, connessa all'impossibilità di determinare a priori tutte le possibili condotte antisindacali.
In ogni caso, non tutti i comportamenti posti in essere dal datore di lavoro e antagonistici rispetto a quelli del sindacato sono antisindacali. Bisogna infatti considerare che in alcuni casi si rientra nel normale conflitto tra le parti.
Esempi di condotta antisindacale
[Torna su]
Per comprendere meglio, può essere utile fare alcuni esempi di comportamenti antisindacali, ricavati da alcune sentenze.
Ad esempio, è antisindacale il comportamento del datore di lavoro che modifica l'articolazione dell'orario di lavoro senza procedere alla concertazione imposta dal CCNL di riferimento (Tribunale di Milano, 25 gennaio 2008) o il rifiuto di concedere i permessi sindacali previsti dallo statuto dei lavoratori (Tribunale di Milano 27 gennaio 2002).
Ancora: è antisindacale il rifiuto immotivato del datore di lavoro di procedere alla trattenuta dei contributi sindacali sullo stipendio e di versarli all'associazione indicata dal lavoratore (Cass. n. 1353/2016).