L'associazione donne giuriste d'Italia (ADGI) plaude all'introduzione del reato di revenge porn nella legge su Codice Rosso. Ma per la presidente Flick "senza risorse è aria fritta"

di Redazione - "L'introduzione del reato di revenge porn nella legge cosiddetta Codice Rosso ha il merito di colmare un vuoto normativo importante, perché permette di perseguire e punire chi diffonde video e fotografie con contenuti sessualmente espliciti, indipendentemente dalla portata diffamatoria. Il testo, tuttavia, non risolve il problema della diffusione in rete, perché quando interviene il processo penale, a

distanza di tempo, il danno è fatto e può essere irreversibile". Ad affermarlo in una nota, l'avvocato Caterina Flick, presidente della sezione di Roma della ADGI (Associazione Donne Giuriste Italia), commentando l'ok definitivo di ieri al Senato sulla legge Codice Rosso.

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Il reato di revenge porn

La nuova legge si ricorda ha introdotto anche nel nostro paese il reato di revenge porn che punisce, con la reclusione da uno a sei anni e la multa fino a 15mila euro, chiunque realizza e diffonde immagini o video privati, sessualmente espliciti, senza il consenso del soggetto rappresentato al fine di danneggiarlo a scopo di vendetta o rivalsa personale. La nuova fattispecie punisce anche chi condivide le immagini online e prevede delle aggravanti nel caso in cui a macchiarsi del reato è il coniuge, anche separato o divorziato o una persona legata (anche in passato) da relazione affettiva alla vittima.

Adgi: Flick, servono strumenti concreti e risorse

Per dare attuazione alla nuova legge, tuttavia,"è necessario avere strumenti che permettano la rimozione

immediata dal web dei contenuti pubblicati, senza le limitazioni oggi esistenti che, ad esempio, impongono di procedere con rogatoria internazionale quando occorre avere informazioni da provider esteri" osserva la presidente Adgi Roma.

"Si tratta di iniziative importanti, a cui le amministrazioni dovranno ora dare attuazione con le risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili. In pratica iniziative che rischiano di restare solo buone intenzioni. Pensiamo, ad esempio, alla mancanza di risorse destinate alla formazione degli operatori e al recupero dei condannati. Senza questo e senza concrete possibilità di incidere sui tempi di trattazione dei processi, l'inasprimento delle pene è aria fritta", conclude la Flick.


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