di Annamaria Villafrate - Con sentenza n. 18887/2019 la Cassazione accoglie il ricorso di un dipendente, licenziato per essersi rifiutato di lavorare nella giornata festiva del primo maggio. Per gli Ermellini le leggi n. 260/ 1949 e n. 54/1977 sono fonti sufficienti a tutelare il diritto del lavoratore a non lavorare in occasione delle festività civili e religiose infrasettimanali. Il datore non può imporre unilateralmente al dipendente di lavorare in queste giornate, occorre sempre un accordo preventivo con lo stesso. Solo i dipendenti di istituzioni sanitarie, pubbliche e private, sono tenuti a lavorare nelle giornate del primo maggio e del 25 aprile, se le esigenze di servizio non consentono il riposo previsto.
La vicenda processuale
Il Giudice di prime cure rigetta la domanda di un dipendente di una S.p.a tesa ad accertare e a dichiarare l'illegittimità, la nullità e l'assenza di una giustificazione valida del licenziamento irrogatogli a mezzo lettera, con condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento di un'indennità commisurata alla retribuzione complessiva di fatto, dal recesso all'effettiva reintegra, alla regolarizzazione assistenziale e previdenziale e al ristoro dei danni fisici e psichici, dato dall'interruzione del rapporto da considerarsi ingiuriosa, persecutoria e vessatoria.
Domanda con cui il dipendente ha richiesto anche il pagamento delle differenze retributive e dei crediti per le mansioni superiori svolte, oltre al lavoro straordinario e alle differenze T.F.R. Il licenziamento
era stato intimato perché il dipendente si era rifiutato di adempiere all'incarico affidatogli in data 1° maggio 2010, consistente nel controllo della sigillatura delle valvole e di assistenza alle operazioni di misurazione di un serbatoio di gasolio da caricare su una nave. La Corte di appello, in riforma della sentenza di prime cure, converte il recesso intimato in licenziamento per giustificato motivo soggettivo e condanna la società datrice a corrispondere al dipendente l'indennità di preavviso a questo spettante in base al contratto collettivo, oltre accessori, compensando le spese di giudizio.La Corte d'Appello rileva, tra le altre cose che, pur essendo corretta la qualificazione d'insubordinazione rilevata in merito alla condotta del dipendente, non essendosi svolto in modo violento e non essendovi stato un grave danno per il datore di lavoro, il licenziamento avrebbe dovuto essere adottato per giustificato motivo soggettivo e con preavviso. Ricorre in Cassazione il dipendente affidandosi a 9 motivi, con il primo dei quali evidenzia la legittimità del rifiuto addotto di prestare attività lavorativa settimanale durante il giorno di riposo previsto dalle leggi n. 260 del 1949, n. 90 del 1954 e n. 54 del 1977.
Il lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro durante le ricorrenze civili
La Cassazione con sentenza n. 18887/2019 accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarando assorbiti gli altri, rinviando alla corte d'appello per statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità. Per gli Ermellini "La legge n. 260 del 1949 (come modificata dalla legge n. 90 del 1954) è completa e autosufficiente nel riconoscere al lavoratore il diritto di astenersi dal prestare la propria attività in determinate festività celebrative di ricorrenze civili e religiose, con esclusione, quindi, di eventuali sue integrazioni analogiche o commistioni con altre discipline."
Come chiarito infatti dalla Cassazione n. 21209/2016 "Il diritto del lavoratore di astenersi dall'attività lavorativa in occasione delle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili è un diritto soggettivo ed è pieno con carattere generale." Il datore non può quindi negare al dipendente tale diritto se non previo accordo con il lavoratore. La rinuncia è quindi soggetta a un preventivo accordo tra le parti o ad accordi sindacali stipulati dalle organizzazioni sindacali a cui il dipendente ha conferito specifico mandato.
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