- Il caso
- L'annosa questione del riparto delle competenze in materia ambientale
- L'orientamento del giudice delle leggi
Il caso
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Infatti, nel caso specifico, il principale motivo di contestazione dei ricorrenti, nei confronti del Comune, si fondava sulla eccezione di nullità dei provvedimenti di ingiunzione - emanati dal dirigente del Corpo di Polizia Municipale- impugnati per incompetenza assoluta dell'organo che li aveva emessi, essendo unico organo deputato a ciò la Regione, ai sensi dell'art. 135, comma 1, del D.Lgs. n. 152/2006. Il Giudice di primo grado riteneva fondato tale motivo di opposizione, accogliendo con conseguente assorbimento tutti i restanti motivi di contestazione.
L'articolo in questione stabilisce la competenza della Regione o della Provincia autonoma nel cui territorio sia stata commessa la violazione.
Contrariamente al sistema previgente - precisava il Giudice di merito - l'art. 135, comma 1, del Testo Unico dell'Ambiente non ha ribadito la possibilità per le Regioni di delegare, tramite apposito provvedimento normativo, ad altri enti o soggetti giuridici, la competenza ad applicare sanzioni amministrative in materia di inquinamento idrico.
In buona sostanza, l'abrogazione della norma previgente, contenuta nell'art. 56 del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, ha fatto venire meno il fondamento normativo che consentiva alla Regione di delegare ai Comuni l'irrogazione delle sanzioni riguardanti gli scarichi, autorizzati dagli stessi enti o dal gestore del servizio di fognatura. L'art. 135, comma 1, del D.Lgs. 3 aprile 2006 ha, infatti, circoscritto, rispetto al regime previgente, il novero degli enti territoriali che possono procedere all'accertamento ed all'applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie per illeciti amministrativi, in materia di tutela delle acque dall'inquinamento.
L'annosa questione del riparto delle competenze in materia ambientale
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Da questa sentenza, si può trarre lo spunto per una riflessione sull'annosa questione della possibilità per le Regioni di legiferare in materia ambientale, con particolare riguardo all'evoluzione della giurisprudenza costituzionale sul punto.
Il riparto di competenze tra Stato e Regioni è stato sempre un complesso capitolo della giustizia costituzionale, la cui rilevanza è direttamente proporzionale all'aumento di competenze delle autonomie territoriali.
La dottrina e la giurisprudenza che si sono occupate della riforma costituzionale del 2001, hanno messo in luce come il nuovo testo costituzionale abbia aderito ai nuovi processi di multilevel costitutionalism, delineando un sistema interistituzionale, secondo il quale tanto lo Stato quanto gli altri livelli istituzionali siano, in rapporto gli uni con gli altri, elementi costitutivi della Repubblica (così G. Rolla, Relazioni tra ordinamenti e sistema delle fonti. Considerazioni alla luce della legge costituzionale n. 3 del 2001, in Le Regioni, 2002, 324 e ss.). Nel nuovo assetto costituzionale, quindi, il modello di relazioni tra centro e periferia di tipo gerarchico e piramidale è stato sostituito con un sistema di tipo policentrico, nel quale trovano coesistenza una pluralità di ordinamenti giuridici autonomi ed al tempo stesso coordinati e comunicanti (G. Rolla, L'Autonomia dei Comuni e delle Province, Torino, 2001, 162 e ss.).
Esistono, però, alcune competenze statali che non sono individuabili in base ad un criterio, ma attraverso l'indicazione di finalità e obbiettivi che devono essere perseguiti dallo Stato. La competenza, vista in chiave teleologica, permette, così, alla materia oggettivamente considerata di abbracciarne diverse. Pertanto, lo Stato è ritenuto competente relativamente a tutti gli oggetti che sono strumentalmente collegati all'interesse statale perseguito, senza che però siano determinabili preventivamente le materie in ordine alle quali tale interesse viene in considerazione. In questo modo, le competenze teleologiche dello Stato consentono di agganciare alla materia base altri oggetti che, in base a criteri oggettivi, sarebbe possibile ricondurre alla competenza regionale (F. Modugno e P. Carnevale, Trasformazioni della Funzione Legislativa vol. IV, Ancora in Tema di Rapporti Stato- Regioni dopo la riforma del Titolo V della Parte Seconda della Costituzione). Tali materie sono, perciò, dette trasversali (G. Falcon, Regolamenti statali e leggi regionali, Riflessioni a margine della sentenza della Corte Costituzionale 376/2000, in Le Istituzioni del Federalismo, 2003), poiché la loro naturale vocazione espansiva le porta ad "intrecciarsi" con materie di legislazione regionale. In tali materie, l'interesse, in vista del quale è attribuita la competenza, non può essere determinato aprioristicamente in una disciplina normativa, ma si apprezza nell'atto stesso in cui viene attuato, con il concreto esercizio della competenza.
Pertanto, diventa possibile, ed anzi fisiologica, la convivenza tra leggi statali e leggi regionali, entrambe autorizzate a regolare le stesse fattispecie nell'esercizio di competenze diverse, poiché al legislatore statale è consentito, attraverso l'espansione della materia base alle materie oggetto di interferenza, di istituire un concorso tra leggi statali e leggi regionali (F. Modugno e P. Carnevale, op. cit). Un esempio di materia trasversale è la "materia tutela dell'ambiente e dell'ecosistema" che autorizza lo Stato a porre una disciplina vincolante anche su oggetti relativi a competenze regionali concorrenti o residuali. Il problema è quello di vedere fino a che punto può spingersi lo Stato nell'emanazione di una disciplina legislativa relativa ad una materia trasversale ed in particolar modo in tema di tutela dell'ambiente che qui interessa. La dottrina sul punto è divisa.
Una parte della dottrina ritiene che le disposizioni sul riparto di competenze tra i diversi livelli di governo, che compongono il pluralistico sistema repubblicano, vadano lette con l'elasticità che si ricava dal principio di leale collaborazione e di sussidiarietà. Ciò porta a concludere che la materia "tutela dell'ambiente" non possa essere affidata, aprioristicamente, allo Stato od alle Regioni, bensì vada attribuita al livello di governo che, nel singolo caso, è più adatto alla cura dell'interesse ambientale (Gabriella Cangelosi, Relazione al quarto seminario leonessiano, 2008). Questo comporta che da una parte, siano affidate allo Stato la tutela e la conservazione dell'ambiente, mediante la fissazione di livelli adeguati e non riducibili di tutela; dall'altra compete alle Regioni, nel rispetto dei livelli di tutela fissati dalla disciplina statale, di esercitare le proprie competenze, dirette essenzialmente a regolare la fruizione dell'ambiente. Una volta che vengano fissati tali livelli di tutela dallo Stato, le Regioni, purché restino nell'ambito dell'esercizio delle proprie competenze, possono pervenire a livelli di tutela più elevati, così incidendo in modo indiretto sulla materia ambientale. Esiste, pertanto, un concorso di competenze, poiché sullo stesso oggetto, l'ambiente, possono concorrere più normative (dello Stato e delle Regioni), perseguendo ognuno le finalità che le sono proprie (P. Maddalena, La Nuova giurisprudenza costituzionale in tema dell'ambiente).
Altra parte della dottrina ritiene, più drasticamente, che deve essere il legislatore statale a valutare quale densità precettiva debba assumere il proprio intervento, non limitandosi necessariamente ad una normativa di principio, poiché il carattere esclusivo della competenza trasversale consente interventi di intensità diversa, di volta in volta adeguati allo scopo che si voglia raggiungere (A. D'Atena, Materie legislative e tipologia delle competenze). In tal modo, si lascia nella disponibilità della fonte statale la definizione della sfera materiale di efficacia della legge regionale. L'intervento della legge statale può, infatti, sospingersi oltre una disciplina di principio, andando a regolare analiticamente e compiutamente la materia soggetta ad interferenza, anche se si tratta di fattispecie che, in astratto, siano riferibili ad una potestà legislativa regionale (F. Modugno e P. Carnevale, op. cit.).
L'orientamento del giudice delle leggi
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Ma è l'orientamento del Giudice delle leggi che suscita un certo interesse, poiché negli anni si è venuto modificando in relazione alla ripartizione di competenze legislative tra lo Stato e le Regioni sulla materia "tutela dell'ambiente".
E' noto come la materia ambiente non fosse, "ab origine", esplicitata nel testo costituzionale e come sia invece venuta emergendo, quale materia trasversale, grazie all'operato della Corte. Anteriormente alla riforma del Titolo V, la Corte Costituzionale aveva riconosciuto una potestà legislativa alle Regioni, in merito alla materia ambientale, ricostruendo la stessa quale materia trasversale da riconnettersi alle altre materie di competenza regionale. Il Giudice delle leggi aveva affermato, altresì, come tale materia trasversale richiedesse sia un'azione unitaria di matrice statale, sia un'azione differenziata di matrice regionale. Azioni, queste ultime, che devono entrambe trovare concretizzazione in base ad un riparto di competenze tra i diversi livelli territoriali, da attuarsi secondo il flessibile criterio della leale collaborazione. In altri termini, la Corte, anteriormente alla riforma del Titolo V, era pervenuta a riconoscere una competenza legislativa generale dello Stato nella materia ambientale, in nome di una esigenza di uniformità della disciplina. Tale riconosciuta competenza statale si accompagnava, dunque, ad una competenza concorrente delle Regioni, le quali, disciplinando materie connesse all'ambiente, ben potevano incrementare con discipline di tutela "in melius", la tutela imposta dal legislatore statale. Tutto ciò, in nome di una esigenza di differenziazione della disciplina, da riscontrarsi caso per caso alla luce degli specifici interessi connessi con quelli disciplinati in via unitaria dalla disciplina statale (Corte Cost. sent. 151 del 1986; Si veda, altresì, Cristina De Benedetti, L'Ambiente nella giurisprudenza costituzionale dalla leale collaborazione alla sussidiarietà, in Diritto all' Ambiente, 2004). Quindi, nella vigenza del vecchio art. 117 Cost., ossia vigente la non esplicitazione della materia ambiente nel testo costituzionale, la Corte aveva già riconosciuto come spettassero allo Stato quelle determinazioni che rispondevano ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale, senza che con ciò ne risultasse esclusa la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli ambientali.
Nel precedente quadro costituzionale, quindi, l'ambiente non veniva considerato una materia in senso tecnico, ma un valore trasversale che sfuggiva ad una rigida distribuzione di competenza legislativa tra Stato e Regioni, dovendosi, pertanto, riconoscere, in nome del principio di leale collaborazione, la contestuale vigenza sia di una disciplina uniforme di matrice statale, sia una disciplina differenziata di matrice regionale (Cristina De Benedetti, op. cit.).
Nel nuovo assetto costituzionale, la madre di tutte le sentenze è stata la n. 407 del 2002, a cui ha fatto eco la n. 222 del 2003, nella quale viene chiarito che la modifica al Titolo Quinto della Costituzione, e la conseguente attribuzione allo Stato della competenza esclusiva in materia di tutela dell'ambiente, non comporta l'impossibilità per le Regioni di intervenire, con una propria legislazione, nella disciplina della materia, dato il carattere trasversale della tutela dell'ambiente e, quindi, la sua idoneità ad abbracciare profili che possono rientrare, di volta in volta, anche in materie di competenza concorrente o esclusiva delle Regioni. La Corte, infatti, individua una serie di materie disciplinate dalle norme regionali in oggetto (tutela della salute, governo del territorio ecc.) che risultano trasversalmente collegate alla materia della tutela ambientale e che rientrano nella competenza concorrente delle Regioni. Tale ricostruzione, secondo una parte della dottrina, permetterebbe alla Corte di evitare le conseguenze paradossali di un'applicazione troppo rigida e letterale dell'art. 117, comma 2, lettera s), Cost., la quale avrebbe comportato la censura di illegittimità costituzionale nei confronti di tutte le norme regionali che hanno finalità di tutela ambientale, laddove la materia in oggetto rappresenta una fra quelle in cui è più fertile l'attività legislativa regionale. Inoltre, l'esclusività della competenza legislativa statale va intesa come limitata a quegli aspetti della normativa di tutela ambientale che richiedono per loro natura un esercizio unitario (Roberto Di Maria, in Osservatorio finanziario regionale, 2012). Nella sentenza 407 del 2002, la Corte ha, pertanto, affermato che non tutti gli ambiti materiali specificati nel secondo comma dell'art. 117 possono, in quanto tali, configurarsi come materie in senso stretto, poiché in alcuni casi si tratta più espressamente di competenze del legislatore statale idonee ad investire una pluralità di materie. La tutela dell'ambiente, quindi, non sembra possa identificarsi come materia in senso tecnico, dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, poiché essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. Lo Stato, così, è deputato a fissare standards di tutela dell'ambiente uniformi su tutto il territorio nazionale, mentre le Regioni sono legittimate a porre in essere interventi, anche normativi, volti a soddisfare ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo Stato (Corte Cost., sent. cit.). Con tale sentenza, si era impostato, all'indomani dell'entrata in vigore del Titolo V della Parte Seconda della Costituzione, un vero e proprio processo di smaterializzazione della materia ambiente: l'ambiente non sarebbe una materia in senso tecnico, ma piuttosto un valore e, in quanto tale, capace di mobilitare le competenze di tutti i soggetti del nuovo sistema multilivello (Rosario Ferrara, in Ambiente, Corte Costituzionale, anno 2009). Nella sentenza n. 96 del 2003, sulla stessa linea, la Corte stabilisce che nel valore costituzionale "Tutela dell'ambiente" sono raccolti ed intrecciati tra loro interessi molteplici che ineriscono a competenze differenziate, distribuite tra enti locali, Regioni e Stato, al quale ultimo spettano soltanto funzioni che richiedano una disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale.
Nel nuovo assetto costituzionale, una sola possibilità sembra, però, offrirsi al Giudice delle leggi, per recuperare la già necessaria flessibilità di cui al principio di leale collaborazione (di cui si è parlato sopra): il fare applicazione dell'altrettanto flessibile principio di sussidiarietà, anche per il riparto della potestà legislativa; in nome di questo principio, risulta costituzionalmente legittimo dare voce sia alle esigenze di uniformità che a quelle di differenziazione (M. Bellocci e P. Passaglia, La Giurisprudenza costituzionale relativa al riparto di competenza tra Stato e Regioni in materia di ambiente e di beni culturali.). Con la sentenza 307 del 2003, infatti, la Corte ha chiarito che il riparto di competenze tra Stato e Regioni è impostato sul criterio della flessibilità. Tale criterio trae fondamento, oltre che dal principio di leale collaborazione, dal principio di sussidiarietà, di cui all'art. 118, il quale è ben applicabile come criterio guida all'interezza dei rapporti tra Stato e Regioni. Ed è in base al principio di sussidiarietà che la fissazione degli standards di tutela ambientale è rimessa allo Stato e che le Regioni possano legiferare in materia ambientale ed incidere sui limiti statali, ovviamente non riducendoli, ma solo innalzando il livello di protezione, in ossequio alle esigenze di differenziazione locali e di maggior tutela richiesta da particolari situazioni territoriali. Il principio di leale collaborazione e quello di sussidiarietà portano a concludere che la tutela dell'ambiente non possa essere a priori affidata allo Stato, od alle Regioni o agli enti locali, bensì vada attribuita alla competenza del livello di governo che nel caso specifico è funzionalmente più adatto alla cura dell'interesse ambientale (Corte Cost. sent. n. 259 del 2004; Cfr. parte della dottrina: Gabriella Cangelosi, op. cit.).
Ma nell'anno 2006, la Corte Costituzionale cambia completamente orientamento, attraverso una rilettura dell'art. 117, secondo comma, lettera s). Con le sentenze 246 e 398 del 2006, il Giudice delle leggi statuisce che la materia dell'ambiente è di competenza esclusiva dello Stato e gli interventi specifici del legislatore regionale sono ammessi nei soli casi in cui essi, pur intercettando interessi ambientali, risultino espressivi di una competenza propria della Regione. Infatti, trattandosi di materie trasversali, esse enunciano una finalità piuttosto che circoscrivere un dato settore della legislazione e presentano un'intrinseca attitudine ad intrecciarsi con spazi materiali e competenze affidati alle potestà legislative regionali (Franco Ragusa: Nuovo Titolo V della Costituzione). Più avanti, con le sentenze 104 del 2008 e 61 del 2009, la Corte afferma che le Regioni, nell'esercizio delle proprie competenze, non debbano violare i livelli di tutela ambientale posti dallo Stato, ma permette ancora alle Regioni la possibilità, una volta che tali livelli siano stati fissati dallo Stato medesimo, di pervenire a livelli di tutela più elevati, purché le Regioni restino, si ribadisce ancora una volta, nell'ambito delle proprie competenze. Ed è questa l'innovazione: le Regioni possono intervenire nella materia ambientale solo se restano nell'ambito dell'esercizio delle proprie attribuzioni e non in altri casi. Ma vi è di più. Addirittura, con le sentenze 367 e 378 del 2007 e n. 272 del 2009, la Corte Costituzionale chiarisce che non esistono materie trasversali, ma tutte le materie elencate nell'art. 117 hanno valore oggettivo, contengono cioè un oggetto di tutela che può essere il più vario. Talvolta, però, oltre a contenere un oggetto, le disposizioni dell'art. 117 prescrivono anche un fine da perseguire: è quello che avviene quando dette disposizioni usano il termine "tutela", come nella "tutela dell'ambiente". L'ambiente è un bene materiale e la competenza dello Stato in materia di tutela ambientale ha carattere esclusivo e le competenze regionali non possono avere come scopo anche la tutela dell'ambiente. L'attività dello Stato non può essere ridotta alla fissazione di standards minimi di tutela, validi su tutto il territorio nazionale, ma deve prevedere una tutela dell'ambiente adeguata e non riducibile, mentre le Regioni, nell'esercizio delle proprie competenze (salute, governo del territorio ecc.), possono intervenire nella materia ambientale, al fine, però, di meglio esercitare le proprie attribuzioni e non per apprestare una maggiore tutela ambientale, già adeguatamente predisposta dallo Stato (Corte Cost., sent. cit., Paolo Maddalena, La Nuova giurisprudenza costituzionale in tema di tutela dell'ambiente). In questo modo, la Corte Costituzionale ha dato un altro giro di vite alla possibilità per le Regioni di intervenire nella materia ambientale, poiché non solo esse non possono più avere come fine anche la tutela dell'ambiente, ma non possono più neanche porre in essere interventi "in melius".
E', però, con la sentenza 214 del 2008, che viene affrontato il nocciolo della questione sulla possibilità per le Regioni di intervenire in materia ambientale. Si è, infatti, ulteriormente stabilito che il perseguimento di finalità di tutela ambientale da parte del legislatore regionale può ammettersi solo ove esso sia (soltanto) un effetto indiretto e marginale della disciplina adottata dalla Regione nell'esercizio di una propria legittima competenza e che non si ponga in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che hanno ad oggetto la protezione dell'ambiente. In quest'ottica, la disciplina ambientale che scaturisce dall'esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, costituisce un limite alla disciplina che le Regioni e le Province Autonome dettano in altre materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun modo derogare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato (neanche in "melius"): spetta, infatti, alla disciplina statale tener conto degli altri interessi costituzionalmente rilevanti contrapposti alla tutela ambientale. In tali casi, una eventuale diversa disciplina regionale, anche più rigorosa in tema di tutela dell'ambiente, rischierebbe di sacrificare in maniera eccessiva e sproporzionata gli altri interessi confliggenti con quello ambientale, considerati dalla legge statale nel fissare i cosiddetti valori soglia di protezione (sent. cit.; M. Bellocci, P. Passaglia). Di nuovo con la sentenza 145 del 2013, la Corte afferma che gli interventi del legislatore regionale sono ammessi nei soli casi in cui essi, pur intercettando interessi ambientali, risultino espressivi di una competenza propria della Regione e sempre che non compromettano un punto di equilibrio tra esigenze contrapposte (tutela ambientale ed interessi confliggenti), espressamente individuato dalla legge statale. Seppure possano essere presenti ambiti di spettanza regionale, deve ritenersi prevalente il titolo di legittimazione statale ed il legislatore regionale non può ridurre lo standard di tutela fissato dal legislatore statale. La Corte ora esclude il riconoscimento di una competenza diretta della Regione in materia ambientale, dal momento che le finalità di protezione dell'ambiente, comunque perseguite dal legislatore regionale, sarebbero solo un effetto mediato e riflesso, collegato all'esercizio di proprie attribuzioni (Michela Michetti, L'Ambiente in due recenti sentenze della Corte Costituzionale). Ciò è quanto emerge dal quadro costituzionale, dal momento che, in più di un'occasione, la Corte ha ribadito che il perseguimento di finalità di tutela ambientale, da parte del legislatore regionale, può ammettersi solo ove esso sia un effetto indiretto e marginale della disciplina adottata dalla Regione nell'esercizio di una propria legittima disciplina (si veda, tra le altre, la sentenza citata, 214 del 2008).
La circostanza per cui le Regioni non possono perseguire finalità ambientali è il segno di una riqualificazione giuridica della stessa competenza ambientale. Infatti, il carattere trasversale della materia (negato ora dalla Corte Costituzionale) - che, in passato, era servita a schiudere spazi di operatività alle Regioni- assume un significato diverso, che sul piano applicativo si traduce in un presupposto di esclusione degli interventi regionali, piuttosto che di condivisione. Attraverso la teoria del punto di equilibrio, la Corte nega alle Regioni la possibilità di intervenire con discipline più rigorose nella materia ambientale, laddove la legge statale, attraverso il bilanciamento tra opposte esigenze, funge da limite insuperabile. Spetta, infatti, alla disciplina statale tener conto degli altri interessi costituzionalmente rilevanti contrapposti alla tutela dell'ambiente (Corte Cost. 246 del 2006; Michela Michetti, op. cit. Secondo l'autrice, non si può sottacere come il ricorso alla c.d. teoria del punto di equilibrio costituisca l'ennesimo tentativo di erosione delle competenze regionali). In questo modo, si affida esclusivamente al legislatore statale il potere di determinare l'ampiezza delle competenze regionali, sulla base di un supposto contemperamento operato ex ante ed in astratto (Michela Michetti, op. cit.).
Quanto fin qui esposto porta a ritenere che il Giudice delle Leggi è pervenuto al definitivo superamento dell'indirizzo giurisprudenziale avviato dalla madre di tutte le sentenze, ossia dalla decisione n. 407 del 2002, sopra citata. Infatti, non è la materia ambiente, in quanto tale, ad essere frammentata e disarticolata, fino a farle assumere il carattere di mero valore, ma è piuttosto grazie a fondamentali materie di competenza concorrente fra Stato e Regioni (salute, governo del territorio ecc., oggettivamente implicate e connesse con le politiche pubbliche di protezione dell'ambiente), che le potestà legislative regionali manifestano una rilevante capacità diffusiva (Rosario Ferrara, in Ambiente, Corte Costituzionale, anno 2009). Il Giudice della costituzionalità delle leggi afferma ora il principio per cui l'ambiente è un bene sempre e comunque materiale, oggettivamente materiale e lo Stato è tenuto ad assicurare standards minimi di tutela. I suddetti standards e livelli di protezione devono comportare una cura adeguata e non riducibile dell'ambiente (P. Maddalena, La tutela dell'ambiente, in Giornale di diritto amministrativo n. 3/2010, 307 e ss.).
Bisogna, però, precisare che La Corte Costituzionale non rinnega il modello di Stato regionale consolidatesi dal 2001 ad oggi, ma rifiuta l'affermazione per cui la materia ambiente non sarebbe una materia in senso tecnico e ciò rappresenta il limite posto dalla stessa Corte nei confronti di un eccessivo relativismo nell'enunciazione delle linee di confine tra competenze statali e regionali (F. Benelli, Due nuove pronunce della Corte Costituzionale in tema di tutela dell'ambiente e di materie trasversali). Bisogna, però, tener presente che nelle ipotesi di interferenze normative che scaturiscono dall'esercizio di una potestà legislativa trasversale, l'intreccio degli interessi fa venir meno l'univocità dell'attribuzione della competenza, con la duplice conseguenza, sul piano legislativo, di aprire la concorrenza tra fonti statali e fonti regionali e sul piano politico amministrativo, di obbligare i diversi soggetti coinvolti a collaborare lealmente. La misura di tali interferenze, ovverosia, la linea di confine tra le due attribuzioni, è individuata dalla stessa legislazione statale, cui spetta la determinazione del punto di equilibrio tra interessi costituzionali che, in nessun caso, può essere alterato dalla legislazione regionale. Difatti, il punto di equilibrio individuato dalla legge dello Stato costituisce un principio fondamentale che limita le scelte legislative delle Regioni (R. Bin, Alla ricerca della materia perduta, in Le Regioni, 2008). Ma come si traduce tutto ciò sul piano applicativo? Quando la rigida distribuzione delle competenze legislative non è in grado di dare risposta alla complessa trama di interessi nazionali e regionali, la conseguenza più prevedibile è che le linee di demarcazione delle attribuzioni dei due enti subiscano continue incursioni. Il rischio è che siano avvalorate interpretazioni troppo estensive delle materie di competenza statale o, dalla parte opposta, troppo esorbitanti di quelle regionali, sforzando oltre misura i contenitori normativi pensati dal riformatore costituzionale a danno dello stesso principio di rigidità costituzionale (R. Bin, Problemi legislativi ed interpretativi, 311). Sul piano tecnico-giuridico, la scelta della Corte di far definire alla legge dello Stato il punto di equilibrio, ossia il contemperamento degli interessi in gioco attinenti a sfere di competenza diverse (statali e regionali) è condivisibile, poiché la lettera dell'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione è chiara nello stabilire l'esclusività della competenza statale in tema di tutela ambientale. Quindi, è il secondo orientamento della Corte Costituzionale quello da prediligere, in quanto spetta alla legge dello Stato tracciare la linea di confine tra competenze regionali (aventi come effetto solo indiretto e riflesso la tutela ambientale) e competenze statali. Solo la legge dello Stato può, in materia di tutela dell'ambiente, effettuare un bilanciamento tra interessi costituzionali tutti meritevoli di tutela. Il problema è che, nell'effettuare siffatto bilanciamento, la legge dello Stato rischia di varcare le soglie della competenza regionale in materie interferenti con la tutela dell'ambiente (ad es., come già detto, la salute ed il governo del territorio). A questo punto, il problema non è più solo tecnico-giuridico, ma politico, poiché va ad incidere su quella che è l'autonomia delle Regioni in materie di propria competenza interferenti con la materia ambientale e, nelle quali, esse debbono rispettare gli standard di tutela ambientale fissati dalla legge dello Stato. Si teme, quindi, di assistere ad un arretramento dell'autonomia regionale, con il legislatore statale ed il Governo che si infiltrano nelle fessure del sistema costituzionale di distribuzione delle competenze e, dal canto suo, la Corte Costituzionale che deve cercare di ridisegnare un quadro credibile dei rapporti senza disporre di materiali adeguati (R. Bin, op.cit.).
Sara Fabiani
martasara.fabiani@gmail.com