di Annamaria Villafrate - Nel momento in cui il datore di lavoro sopprime la pausa pranzo rilasciando ai dipendenti dei buoni pasto da spendere al di fuori dell'orario lavorativo, ma poi pretende di far recuperare loro i 15 minuti destinati alla stessa, anche se di fatto non goduta, egli deve retribuire questo tempo in più come straordinario. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione che con l'ordinanza n. 21325/2019 (sotto allegata) respinge il ricorso della Asl, confermando così la decisione del giudice di seconda istanza.
La vicenda processuale
La Corte d'Appello conferma, come il giudice di primo grado, la domanda proposta da due dipendenti contro la Asl datrice di lavoro, per il riconoscimento del diritto di "vedersi retribuire, con la maggiorazione prevista per il lavoro straordinario, il tempo, pari a 15 minuti, che la ASL, una volta abolita la pausa pranzo e disposta, in sostituzione, l'attribuzione di buoni pasto da spendere presso terzi convenzionati, aveva preteso fosse recuperato senza retribuzione per ogni giorno di effettiva percezione del buono."
Per la Corte territoriale è infondata l'eccezione di nullità sollevata dalla Asl poiché l'azienda datrice non ha "predisposto alcuna turnazione che consentisse ai lavoratori, come previsto dall'accordo integrativo del 13.12.1996, la consumazione del pasto e non avendo, dunque, il personale fruito di effettive pause a ciò finalizzate, non trovava giustificazione alcuna la pretesa della ASL di veder prolungato di 15 minuti l'orario di lavoro da parte dei dipendenti beneficiari dei buoni pasto spendibili solo fuori dell'orario di lavoro."
La Asl soccombente ricorre quindi in Cassazione. Per la datrice infatti la sentenza della corte d'appello è nulla perché ha affermato l'interesse ad agire dei dipendenti in relazione alla retribuzione di prestazioni aggiuntive senza specificare nel concreto le unità temporali in cui sono state rese le prestazioni di lavoro straordinario e lamentando il malgoverno delle norme che regolano l'allegazione delle prove. I dipendenti resistono con controricorso.
Pausa pranzo soppressa retribuita come straordinario, non bastano buoni pasto
La Cassazione con ordinanza n. 21325/2019 rigetta entrambi i motivi di ricorso della Asl perché infondati "dovendosi condividere la qualificazione della domanda degli originari ricorrenti da parte del giudice del merito, alla cui discrezionalità, del resto, la stessa è rimessa, qualificazione per la quale, essendo la domanda degli originari ricorrenti volta al riconoscimento quale imposizione di lavoro straordinario della richiesta della ASL di una prestazione lavorativa di durata ulteriore rispetto a quella ordinaria pari a 15 minuti per ogni giornata in cui veniva corrisposto il buono pasto, trattavasi di una azione di accertamento finalizzata alla verifica del carattere aggiuntivo e dunque straordinario della prestazione protratta per ulteriori 15 minuti, in relazione alla quale risultavano essenziali e, così, sufficienti ai fini dell'assolvimento degli oneri di allegazione e prova l'indicazione delle fonti contrattuali da cui era desumibile l'obbligo della ASL di consentire, durante l'orario di lavoro, la fruizione di una pausa per la consumazione del pasto e la specificazione in fatto della circostanza per cui i dipendenti per ogni giorno di effettiva percezione dei buoni pasto, puntualmente indicato, si sono visti prolungare di 15 minuti l'orario di lavoro."
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Scarica pdf Cassazione ordinanza n. 21325-2019• Foto: 123rf.com