di Lucia Izzo - Nell'ambito dell'attività medica e della c.d. responsabilità di equipe, il principio c.d. dell'affidamento consente di perimetrare l'obbligo di diligenza entro limiti compatibili con il carattere personale della responsabilità penale previsto dall'art. 27 della Costituzione.
In forma di tale principio, il titolare di una posizione di garanzia, come tale tenuto giuridicamente ad impedire la verificazione di un evento dannoso, può andare esente da responsabilità quando questo possa ricondursi alla condotta esclusiva di altri, contitolare di una posizione di garanzia, sulla correttezza del cui operato il primo abbia fatto legittimo affidamento.
La vicenda
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Lo ha precisato la Corte di Cassazione, quarta sezione penale, nella sentenza n. 30626/2019 (qui sotto allegata) annullando con rinvio la sentenza di condanna nei confronti di uno dei chirurghi dell'equipe che avevano operato una donna deceduta per una sindrome da disfunzione multiorgano.
Responsabilità medica d'equipe e verifica del nesso causale
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Nell'accogliere il ricorso, la Cassazione ritiene viziato l'iter motivazionale in relazione all'omessa verifica della sussistenza del nesso causale tra la condotta individuale posta in essere dal ricorrente e l'evento, essendo emerso che al sanitario era stata addebitata la responsabilità per un errore riconducibile ad altro medico e non percepibile durante l'intervento in relazione alle manovre di posizionamento dei divaricatori.
Nell'operare la suddetta verifica, spiega la Cassazione, il giudice deve essere particolarmente attento nell'ipotesi di lavoro in equipe e, più in generale, di cooperazione multidisciplinare nell'attività medico-chirurgica, cioè in tutti i casi in cui alla cura del paziente concorrono, con interventi non necessariamente omologabili, sanitari diversi, magari ciascuno con uno specifico compito.
In tali casi, rammentano gli Ermellini (cfr. Cass. n. 7346/2014) l'accertamento del nesso causale rispetto all'evento verificatosi deve essere compiuto con riguardo alla condotta e al ruolo di ciascuno, non potendosi configurare una responsabilità di gruppo in base ad un ragionamento aprioristico.
Ancora, in tema di colpa professionale, per l'affermazione della responsabilità penale del singolo sanitario operante in equipe chirurgica, è necessario non solo accertare la valenza con-causale del suo concreto comportamento attivo o omissivo al verificarsi dell'evento, ma anche la rimproverabilità di tale comportamento sul piano soggettivo secondo i noti criteri elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina in tema di colpa.
Il principio dell'affidamento
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Inoltre (cfr. Cass. n. 27314/2017), in tema di colpa professionale e in caso di intervento chirurgico in "equipe", il principio per cui ogni sanitario è tenuto a vigilare sulla correttezza dell'attività altrui, se del caso ponendo rimedio ad errori che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l'ausilio delle comuni conoscenza scientifiche del professionista medio, non opera in relazione alle fasi dell'intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono distinti.
In tal caso, trova applicazione applicazione il diverso principio dell'affidamento per cui può rispondere dell'errore o dell'omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell'intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l'onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui.
Nell'ambito dell'attività medica, proprio il principio di affidamento consente infatti di confinare l'obbligo di diligenza del singolo sanitario entro limiti compatibili con l'esigenza del carattere personale della responsabilità penale, sancito dall'art. 27 della Costituzione.
Inoltre il riconoscimento della responsabilità per l'eventuale errore altrui non è, conseguentemente, illimitato e richiede la verifica del ruolo effettivo svolto, non essendo consentito ritenere aprioristicamente una responsabilità di gruppo.
La sentenza impugnata ha anche omesso di appurare se e in quale misura la condotta del ricorrente si sia discostata dalle linee guida di settore o dalle buone pratiche clinico-assistenziali. Parola al giudice del rinvio.