di Lucia Izzo - Va escluso il carattere offensivo della condotta di colui che, in lite con il vicino per ragioni di confine, fa cadere la recinzione in ferro e lancia una scala nel giardino altrui colpendo la telecamera che, tuttavia, non si rompe, ma ne viene cambiata solo l'angolatura.
Si deve escludere la sussistenza del reato di cui all'art. 392 c.p. non tanto per l'assenza di danneggiamenti, quanto per il fatto che la si possa agevolmente ripristinare lo stato dei luoghi, mettendo tutto a posto in poco tempo.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, nella sentenza n. 35876/2019 (qui sotto allegata) pronunciandosi sul ricorso di un uomo condannato per il reato di cui all'art. 392 c.p. per essersi fatto ragione da sé pur potendo ricorrere al giudice, con violenza sulle cose.
Il caso
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Dopo un'iniziale assoluzione in prime cure, la Corte d'Appello ribalta la pronuncia ritenendo integrati gli estremi del reato contestato e affermando la responsabilità dell'imputato ai soli effetti civili, in difetto di una impugnazione della sentenza da parte del pubblico ministero.
Sia in primo che in secondo grado le modalità della violenza erano state descritte facendo riferimento a una serie di azioni, consistite nell'aver spinto a terra un cancello in ferro posizionato in loco in modo precario, nell'aver spostato di una scala lanciata nel terreno confinante e nell'aver modificato l'angolo di ripresa di una videocamera di sorveglianza, poi subito riposizionata dalle persone offese.
In Cassazione, il ricorrente sottolinea come non vi fosse stato alcun danneggiamento, poiché la recinzione era precaria e cadendo a terra, essendo in ferro, non aveva subito alcun danno, mentre la telecamera era stata soltanto spostata.
La violenza sulle cose
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Da un lato, evidenziano gli Ermellini, è corretta l'affermazione di principio secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 392 c.p.), sussiste il requisito della violenza sulla cosa nella condotta dell'agente che, pur non arrecando danni materiali, si manifesti come esercizio di un preteso diritto sulla cosa modificandone arbitrariamente la destinazione,
Tuttavia, rimarca la Cassazione, non può prescindersi dalla valutazione della concreta incidenza che il mutamento della destinazione della cosa abbia avuto sull'interesse della persona offesa a salvaguardare il mantenimento inalterato dello stato dei luoghi.
La diversa decisione in appello, dunque, è stata conseguenza unicamente del differente apprezzamento circa la modifica dello status quo ante, ritenuto dal secondo giudice sufficiente ad integrare la violenza, nonostante le cose spostate non avessero riportato danni materiali.
L'incidenza concreta sullo stato dei luoghi
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Ciononostante, spiega la Suprema Corte, la sentenza impugnata ha omesso ogni valutazione sulla incidenza concreta di dette azioni sullo stato dei luoghi e sulla effettiva concreta offensività di dette condotte, che era stata invece correttamente operata dal giudice di primo grado nel senso di escluderne la sussistenza.
In particolare, anziché soffermarsi sull'assenza dei danneggiamenti (aspetto questo irrilevante), il primo giudice ha evidenziato l'agevole attività di ripristino, realizzabile in pochi istanti, trattandosi soltanto dello spostamento episodico di tre oggetti, di facile rimozione e di altrettanto ancora più facile, quasi istantanea, ricollocazione nello status quo ante.
In conclusione, perché attinga la soglia del penalmente rilevante, l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose deve pur sempre comportare un intervento modificativo dello stato dei luoghi che sia apprezzabile come concretamente idoneo a ostacolare l'esercizio del diritto altrui che si intende arbitrariamente comprimere.
A tanto conduce sia il principio di offensività, sia l'esigenza di confinare nel "giuridicamente indifferente" i comportamenti costituenti violazioni di regole deontologiche, etiche o sociali, inidonei pur tuttavia a rappresentare un reale elemento di turbamento per la controparte. La sentenza impugnata va dunque annullata con rinvio perché il fatto non sussiste.
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