Dott. Carlo Casini - L'istituto della compensatio lucri cum damno risale nella sua genesi fin dai tempi del diritto romano e veniva applicato quando il vantaggio di natura patrimoniale ed il danno provenivano dallo stesso evento.
- Compensatio lucri cum damno: disciplina generale
- I contrasti
- Giudizi contabili: compensatio lucri cum damno
- Conclusioni
Compensatio lucri cum damno: disciplina generale
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Modernamente l'ambito di maggior sviluppo dell'istituto è sicuramente rintracciabile nel diritto privato, dove opera in sede sia di responsabilità contrattuale che extracontrattuale.
Nel primo caso summenzionato la disposizione concerne la compensatio è l'art. 1223 c.c. rubricato - Risarcimento del danno - il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere cosi' la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta", mentre nell'ambito del secondo genus di responsabilità si annovera l'art. 2056 c.c. secondo cui "il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227. Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso".
I contrasti
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Pur conoscendo espresso riconoscimento nel diritto positivo, l'istituto ha ricevuto notevoli contributi interpretativi dalla giurisprudenza degli Ermellini.
Il contrasto interpretativo odierno di maggior importanza e interesse in relazione all'istituto dedotto in esame è rappresentato dalla questione dell'applicabilità o meno dell'istituto quando il danneggiato, oltre al risarcimento, consegua anche un'indennità, premio o indennizzo, in conseguenza del fatto illecito.
I Giudici della giurisdizione per lungo tempo hanno sostenuto, in tali casi, prevalentemente l'indirizzo dell'inapplicabilità dell'istituto in esame. Non mancano pronunce di contrario avviso, inoltre, attualmente pende innanzi alle Sezione Unite un quesito concernente la questione, trasmesso con ordinanza n. 15534/2017 della III Sezione della Suprema Corte di Cassazione.
Giudizi contabili: compensatio lucri cum damno
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La norma che annovera la compensatio lucri cum damno per i giudizi contabili è l'art. 1bis della legge 14 gennaio 1994 n.20, secondo cui "Nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall'amministrazione di appartenenza, o da altra amministrazione, o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità".
Tale norma è stata censurata per la troppa indeterminatezza del suo ambito applicativo e dei parametri di riferimento. L'infelice formulazione non consente all'interprete di delimitare con buona certezza i perimetri relativi al modo di computo dei vantaggi (potenzialmente illimitati), svincolati da qualsivoglia parametro qualitativo e quantitativo.
Pertanto, lo scrivente, data l'incertezza normativa tenterà di tracciare un confine della disciplina così come disegnato dalla dottrina e soprattutto dalla giurisprudenza contabile.
L'onere di dimostrare l'utilitas grava sul convenuto che la invochi in giudizio (escludendo, pertanto, una tale affermazione di natura pretoria il funzionamento ex officio iudicis dell'istituto, salvo allegazione di prova documentale da parte dell'attore).
Dogmaticamente bisogna considerare la compensatio come un fatto di natura modificativa o parzialmente estintiva del diritto fatto valere in giudizio.
Il giudice deve accertare l'effettività del vantaggio, l'identità causale tra il fatto produttivo del danno e quello produttivo dell'utilitas e la corrispondenza di quest'ultima ai fini istituzionali della P.A. lesa.
La compensatio lucri cum damno opera solo quando danno e vantaggio sono conseguenze immediate e dirette dello stesso fatto.
E' da condividere quel principio di inapplicabilità dell'istituto sostenuto dalla maggioranza delle sentenze della giurisprudenza contabile in ambito di conferimenti diretti di incarico come la consulenza.
In tali casi, sembra più che ragionevole ritenere l'inapplicabilità dell'istituto alla luce del mancato esperimento delle procedure previste da leggi quali ad esempio il D.Lgs. 165/2001. L'illegittimità anzidetta, è valutabile come in re ipsa nell'atto di conferimento non ottemperante del rispetto delle norme di legge: "L'apparato amministrativo è per sua natura autosufficiente e idoneo all'assolvimento dei compiti dei quali è intestatario, non potendo spogliarsene se non ridefinendo le competenze ad esso attribuite; pertanto, non possono apprezzarsi prestazioni rese contra legem, per definizione prive di vantaggi per l'Amministrazione"(Sez. III App. n. 233/2016; Sez. Abruzzo n. 67/2016).
Parimenti, la maggioranza della Dottrina non ritiene applicabile l'istituto della compensatio anche in caso di difetto delle specifiche condizioni richieste per l'assolvimento di determinate funzioni nell'ambito della P.A., come appositi titoli di studio o un determinato numero di anni di esperienza.
In tali casi, l'utilitas non può affermarsi alla luce della violazione di norme imperative.
Conclusioni
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Pur riconoscendo e apprezzando il contributo interpretativo offerto dalla giurisprudenza contabile e di legittimità, tutti i problemi interpretativi di natura contabile circa la compensatio nascono dall'infelice e contorta formulazione della legge summenzionata. Un intervento del legislatore al fine di dare coerenza e organicità alla disciplina è fortemente auspicabile.
In sede di giustizia ordinaria, essendo oramai pacifico il riconoscimento dell'istituto come principio generale dell'ordinamento giuridico, è il Giudice della giurisdizione nella sua più autorevole composizione a Sezioni Riunite l'organo deputato secondo la legge del nostro ordinamento a dirimere e dettare la soluzione ad ogni quesito di carattere interpretativo.
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