Avv. Giovanni De Lorenzo - La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 14510/2019, ha cassato la sentenza impugnata emessa dalla Corte d'Appello di Milano, con conseguente rinvio alla medesima Corte in diversa composizione.
La vicenda giudiziaria
Il lavoratore aveva ottenuto l'emissione in suo favore di un decreto ingiuntivo con cui era stato ingiunto alla società datrice di lavoro il pagamento della somma di euro 89.350,00 a titolo di integrazione del TFR a seguito di transazione. Avverso tale decreto ingiuntivo era stata proposta opposizione, accolta dal giudice di primo grado con sentenza poi confermata dalla Corte di Appello di Milano.
In particolare, in merito alla questione della rinuncia al trattamento di fine rapporto del lavoratore in costanza di rapporto di lavoro, la Corte di Appello aveva rigettato la richiesta di declaratoria di nullità della stessa ex art.1418 [1]
c.c. formulata dal lavoratore, ritenendo che, nel caso di specie, ci fosse una sostanziale contestualità fra il momento della rinuncia all'integrazione del TFR (10.1.2008) e la cessazione del rapporto (31.1.2008) e che "il momento della cessazione del rapporto di lavoro va considerato solo quale condizione di esigibilità del credito a titolo di TFR, rammentando che il TFR costituisce un diritto di credito a pagamento differito che matura anno per anno e che è possibile oggetto di accertamento giudiziale, quanto alle modalità di calcolo ed entità, anche prima della risoluzione del rapporto".Il principio di diritto ribadito dalla Cassazione
La Corte di Cassazione, investita della vicenda con ricorso proposto dal lavoratore basato su 2 motivi, ha rilevato, invece, il contrasto della sentenza impugnata con quanto costantemente affermato in materia dalla Suprema Corte ed ha ritenuto radicalmente nulla la rinuncia al TFR.
Nella parte motiva dell'ordinanza, prima dell'enunciazione del principio di diritto, sono stati richiamati precedenti del Giudice di legittimità con cui sono stati specificati alcuni presupposti per la rinuncia: "la rinunzia può avere effetto abdicativo di un diritto in quanto risulti specificamente che la parte l'abbia resa con la chiara e piena consapevolezza di abdicare o transigere su di esso (cfr. Cass. n.18094 del 2015)"; "la stessa rinunzia è ammissibile in riferimento a diritti già maturati e dal contenuto determinato (v. Cass. n.3064 del 2013; Cass. n.12561 del 2006; Cass. n.9747 del 2005)".
Pertanto, la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione, affinché si uniformasse al principio di diritto, più volte affermato dalla Suprema Corte (ad es. Cass. n.23087/2015; conf. a Cass. n.4822/2005), per cui "Il diritto alla liquidazione del trattamento di fine rapporto del lavoratore ancora in servizio è un diritto futuro, la rinuncia effettuata dal lavoratore è radicalmente nulla ai sensi dell'art.1418 c.c., comma 2, e art.1325[2] c.c., per mancanza dell'oggetto, non essendo ancora il diritto entrato nel patrimonio del lavoratore e non essendo sufficiente l'accantonamento delle somme già effettuato".
Nel caso di specie, infine, l'applicazione di questo principio non sarebbe esclusa nemmeno dalla "sostanziale contestualità" fra rinuncia al TFR e cessazione del rapporto di lavoro, poiché quel che basta è che il rapporto di lavoro stesso non sia ancora cessato al momento della rinuncia.
[1] Art.1418 c.c. Cause di nullità del contratto - "Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente. Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'art. 1325, l'illiceità della causa, l'illiceità dei motivi nel caso indicato dall'art. 1345 e la mancanza nell'oggetto dei requisiti stabiliti dall'art. 1346. Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge".
[2] Art.1325 c.c. Indicazione dei requisiti - "I requisiti del contratto sono: 1) l'accordo delle parti; 2) la causa; 3) l'oggetto; 4) la forma, quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità".
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