- Gli interventi di edilizia residenziale convenzionata
- Il procedimento
- La giurisprudenza della Cassazione
- Il caso affrontato dal tribunale di Roma
- La decisione
Gli interventi di edilizia residenziale convenzionata
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Gli interventi di "edilizia residenziale convenzionata", sono quelli posti in essere, previa stipulazione di una convenzione con il Comune, con la quale, a fronte di concessioni da parte dell'Amministrazione (assegnazione delle aree su cui edificare) vengono assunti obblighi inerenti l'urbanizzazione del comparto e l'edificazione di alloggi di edilizia economico popolare e dalla quale, inoltre, discendono vincoli incidenti sulla successiva circolazione degli alloggi realizzati.
La convenzione di attuazione di un Piano di Edilizia Economico Popolare, si pone nell'ambito del più ampio procedimento di edilizia residenziale pubblica tracciato dalla legge 22 ottobre 1971 n. 865; questa convenzione è disciplinata dall'art. 35 suddetta L. 865/1971 ("la convenzione P.E.E.P.").
Il procedimento
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In particolare, detto procedimento si articola in tre fasi:
- acquisizione dell'area al patrimonio indisponibile del Comune;
- disposizione dell'area (in proprietà o in diritto di superficie) a favore del soggetto attuatore dell'intervento edilizio, stipula della convenzione comportante il trasferimento della proprietà
o la costituzione del diritto di superficie e contenente la disciplina (termini, modalità, caratteristiche, garanzie) dell'intervento edilizio ed urbanistico;- gestione dell'alloggio da parte dell'assegnatario/acquirente con vincoli e limitazioni alla libera disponibilità.
Il contenuto della convenzione è quello prescritto dall'art. 35 c. 8 e c. 13 legge 865/1971; pertanto la convenzione deve prevedere tra l'altro:
- l'obbligo a praticare prezzi di cessione e canoni di locazione concordati sulla base di parametri da riportare in convenzione;
- la determinazione dei prezzi di cessione degli alloggi sulla base del costo dell'area, della costruzione, delle opere di urbanizzazione, delle spese di progettazione e degli oneri di preammortamento e di finanziamento;
- la determinazione dei canoni di locazione in percentuale del valore desunto dai prezzi fissati per la cessione degli alloggi.
La giurisprudenza della Cassazione
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Sulla base di tale quadro legislativo, la Suprema Corte di Cassazione, con più sentenze ha affermato che "Qualora il proprietario di un immobile costruito da una cooperativa edilizia in regime di edilizia residenziale convenzionata, sulla base di una convenzione con il comune, abbia stipulato un contratto per la cessione dell'immobile ad un prezzo superiore a quello massimo indicato nella convenzione, il predetto prezzo può essere adeguato, ex art. 1339 c.c., a quello stabilito nella convenzione stessa" ed ancora "siffatta interpretazione della clausola contrattuale è in linea con le finalità sociali della normativa diretta ad agevolare a livello collettivo, l'accesso alla proprietà della casa d'abitazione, finalità che sarebbe vanificata ove fosse consentito agli acquirenti successivi dell'immobile di venderlo a prezzi superiori, ponendo così in essere inammissibili speculazioni" (Cass. n. 3018/2010).
Inoltre "il vincolo del prezzo previsto dall'art. 35 1.865/1971 non è stato soppresso automaticamente a seguito della caduta del divieto di alienare, previsto dall'art. 23 1.179/1992, ed anzi in assenza di convenzione ad hoc (da redigere in forma pubblica e soggetta a trascrizione) segue il bene nei successivi passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con naturale efficacia indefinita…. La clausola negoziale contenente un prezzo difforme rispetto a quello vincolato è dunque affetta da nullità parziale ed è sostituita di diritto, ex artt. 1419 comma 2 e 1339 c.c., con il prezzo massimo determinato in forza della Convenzione (cfr. Cass. SS.UU. n. 18135/2015; Cass. n. 21/2017; Cass. n. 28949/2017).
Il senso è chiaro: la funzione sociale di un alloggio costruito su aree espropriate per pubblica utilità, non può esaurirsi al momento della prima assegnazione.
Concedere una sorta di patente speculativa in capo al primo acquirente/assegnatario di un alloggio di edilizia residenziale pubblica, costruito su aree espropriate, non può essere considerato un interesse pubblico.
Pertanto il prezzo vincolato corrisponde alla "funzione sociale", quale strumento per garantire il diritto alla casa, facilitando l'acquisizione della casa a prezzi contenuti ai ceti meno abbienti e non certo per consentire forme di speculazione.
Tale quadro giuridico, chiaro e coerente, è tuttavia da rivedere a seguito del Decreto Legge 119/2018 convertito in Legge n. 136/2018.
Il caso affrontato dal tribunale di Roma
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Affrontando l'argomento in materia locatizia, occorre effettivamente analizzare la ratio della predetta legge.
Abbiamo detto che il vincolo impedisce la vendita e la locazione a prezzo libero di mercato, obbligando i proprietari a praticare prezzi di vendita e canoni di locazione non superiori a quelli convenzionati.
In caso contrario il contratto diventa parzialmente nullo, cioè non vale per la parte in sovrapprezzo che può essere legittimamente richiesta.
Nel caso affrontato dal Tribunale, la ricorrente (conduttrice) chiedeva in sostanza la restituzione dei canoni di locazione pagati in eccesso, provando che la resistente era proprietaria superficiaria dell'appartamento locato; l'immobile era stato costruito su area gravata da diritto di superficie concesso dal Comune di Roma ad una Spa, costruttrice del complesso immobiliare, nell'ambito di programma di edilizia economico popolare ex art. 35, legge n. 865/1971, giusta convenzione, ed il canone di locazione era stato determinato in modo illegittimo.
Forte della novella, la proprietaria aveva infatti dedotto l'improcedibilità della domanda, a seguito della domanda di affrancazione, come statuito in casi simili in altre sentenze dal Tribunale di Roma.
In effetti, la nuova legge, attraverso l'art. 25-undicies ha modificato i commi 49-bis e inserito il 49-quater dell'art. 31 L. 448/1998, stabilendo che: "I vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative e loro pertinenze nonché del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui all'articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni, per la cessione del diritto di proprietà, stipulate precedentemente alla data di entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 179, ovvero per la cessione del diritto di superficie, possono essere rimossi, dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, con atto pubblico o scrittura privata autenticata, stipulati a richiesta delle persone fisiche che vi abbiano interesse, anche se non più titolari di diritti reali sul bene immobile...".
Tale legge pertanto offre la possibilità di effettuare la rimozione di questi vincoli anche da persone non più titolari di diritti reali sull'immobile, versando il relativo corrispettivo.
Si tratta appunto di una chiara apertura a risolvere situazioni pregresse e definire contenziosi aperti.
Infatti (comma 49-quater) "in pendenza della rimozione dei vincoli di cui ai commi 49-bis e 49-ter, il contratto di trasferimento dell'immobile non produce effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato. L'eventuale pretesa di rimborso della predetta differenza, a qualunque titolo richiesto, si estingue con la rimozione dei vincoli secondo le modalità' di cui ai commi 49-bis e 49-ter".
La decisione
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Il Tribunale di Roma con la sentenza del 19.07.2019, ha correttamente evidenziato che la predetta normativa intervenuta è "al dichiarato fine di agevolare il trasferimento dei diritti immobiliari".
Precisa però il Tribunale che "appare di chiara evidenza che la disciplina dettata per il caso di pendenza dei vincoli si riferisce unicamente ed espressamente alla sola ipotesi di trasferimento e non anche di godimento o locazione".
Specifica altresì il Tribunale che "non può farsi riferimento né al criterio analogico, né che sussiste un vuoto normativo, essendo espresso il solo riferimento ai contratti di trasferimento".
Pertanto il Tribunale, dopo aver accertato, determinato e sostituito il canone di locazione nel rispetto della convenzione, ha condannato la proprietaria alla restituzione dei canoni pagati in eccesso.
Avv. Franco GALLO Foro di Roma
Patrocinante in Cassazione
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