di Lucia Izzo - Qualora l'abuso edilizio sia accertato molti anni dopo la realizzazione e si traduca in una modifica di lieve entità, tale da non pregiudicare l'interesse pubblico tutelato, è possibile annullare il provvedimento di rimessione in pristino dello stato dei luoghi da parte del'amministrazione in quanto viene a mancare proprio l'esistenza di un abuso rilevante, tale da giustificare l'irrogazione della sanzione edilizia.
Il diritto all'abitazione prevale anche qualora l'amministrazione abbia ingenerato nel cittadino un legittimo affidamento circa la regolarità dei lavori, di cui era stata informata dell'inizio molti anni prima senza aver nulla da eccepire al cittadino.
Lo ha chiarito il T.A.R. Reggio Calabria nella sentenza n. 513/2019 (qui sotto allegata) pronunciandosi sul ricorso di una donna contro un'ingiunzione di demolizione e di sgombero dei lavori abusivi con ripristino dello stato dei luoghi.
- Il caso
- Ordine di demolizione e tutela dell'affidamento del privato
- Abuso edilizio e incolpevole affidamento del privato
- Modifiche di lieve entità e sanzione edilizia
Il caso
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In particolare, il Comune si era scagliato contro un manufatto definitivo abusivo. Tuttavia, la ricorrente evidenziava come, nell'unità immobiliare in questione, erano state effettuate in passato delle ristrutturazioni interne di cui il Comune era stato portato a conoscenza.
Ciononostante, nulla era stato contestato rispetto al manufatto oggetto del contenzioso, e ciò aveva ingenerato nel privato un legittimo affidamento sulla regolarità edilizia dell'opera. Secondo il Comune, invece, la mera inerzia dell'Amministrazione nell'esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non sarebbe stata idonea a far divenire legittimo ciò che era sin dall'origine illegittimo.
Ordine di demolizione e tutela dell'affidamento del privato
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Circa il rapporto tra ordine di demolizione e tutela di affidamento del privato, il T.A.R. richiama la sentenza
n. 9/2017 dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, secondo cui il decorso anche di un lungo tempo non è idoneo a far perdere il potere dell'amministrazione di provvedere in quanto, se così fosse, si realizzerebbe una sorta di sanatoria "extra ordinem", non potendo la distanza temporale tra l'abuso e la sua repressione giustificare la formazione di un legittimo affidamento.Tuttavia, si fa presente come di recente la giurisprudenza amministrativa abbia apportato significative precisazioni sul tema, attualizzando la portata interpretativa della sentenza dell'Adunanza Plenaria. In una vicenda simile a quella di cui è causa, il Consiglio di Stato (sent. n. 3372/2018) ha precisato che "La risalenza nel tempo dell'abuso contestato, l'affidamento ingeneratosi in conseguenza del rilascio del titolo edilizio del locale (...), integrano, complessivamente considerati, altrettanti parametri oggettivi di riferimento da valutare (...) prima d'adottare la misura ripristinatoria ovvero da dover indurre il Comune a fornire adeguata motivazione sull'interesse pubblico attuale al ripristino dello stato dei luoghi".
Nel caso di specie, la stessa Amministrazione resistente ha avuto o poteva avere certamente contezza della natura abusiva del vano cucina costruito dalla donna, in contestazione fin dal 1991, epoca in cui lo stesso Comune resistente ne ha permesso la ristrutturazione attraverso la ridistribuzione degli spazi disponibili.
In quell'occasione, come puntualmente evidenziato dalla difesa della ricorrente, l'Amministrazione comunale non aveva obiettato né sulla regolarità dei lavori da eseguire né tanto meno sul carattere abusivo o meno del vano ripostiglio all'interno del quale essi furono realizzati né sulla sua destinazione d'uso rimasta peraltro immutata.
Abuso edilizio e incolpevole affidamento del privato
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Tanto premesso, il Collegio ritiene sussistere un incolpevole affidamento del privato positivamente, ancorchè eccezionalmente, caratterizzato dalla piena conoscenza dello stato dei luoghi da parte della P.A. e dall'implicita attività di controllo dalla stessa effettuato in merito alla regolarità edilizia ed urbanistica del manufatto in questione.
Decorso un notevole lasso di tempo dalla commissione dell'abuso edilizio, si ritiene che l'Amministrazione sia tenuta a specificare la sussistenza dell'interesse pubblico all'eliminazione dell'opera realizzata o, addirittura, a indicare le ragioni della sua prolungata inerzia, atteso che si sarebbe ingenerato un affidamento in capo al privato, solo in caso di situazioni assolutamente eccezionali nelle quali risulti evidente la sproporzione tra il sacrificio imposto al privato e l'interesse pubblico al ripristino della legalità violata (cfr. TAR Napoli n.2972/2018).
Il Comune, per superare le smagliature della contraddittoria azione amministrativa posta in essere, avrebbe dovuto dunque ricorrere ad una adeguata motivazione su quello che era il concreto ed attuale l'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi, comparandolo con l'interesse oppositivo del privato a conservare l'integrità dell'assetto edilizio minacciato.
Modifiche di lieve entità e sanzione edilizia
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Sotto questo profilo-evidenzia il Collegio ciò di cui si va discorrendo è un manufatto di modeste dimensioni ricadente in un cortile di proprietà esclusiva della ricorrente, intercluso alla pubblica via e destinato a vano cucina.
In casi analoghi, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto illegittimo il provvedimento con il quale un Comune ha ordinato la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, in relazione a un abuso edilizio (accertato 54 anni dopo la realizzazione) che si era tradotto in una modifica di lieve entità, con sostanziale assenza di un pregiudizio all'interesse pubblico urbanistico. In mancanza di "offensività" per l'interesse pubblico tutelato, manca proprio l'esistenza di un abuso rilevante, tale da giustificare l'irrogazione della sanzione edilizia" (cfr. Cons. St. sez. VI 28.5.18 n. 2237).
In conclusione, secondo il T.A.R., l'Amministrazione resistente, prima di riadottare una nuova ed eventuale misura demolitoria, dovrà necessariamente rivalutare il tempo trascorso, l'attività di controllo già implicitamente posta in essere quasi trent'anni fa e la preminenza dell'interesse pubblico in relazione all'entità e alla destinazione dell'opera da demolire. L'atto impugnato viene dunque annullato.
Del resto, anche la giurisprudenza della Corte europea, intervenendo sulla compatibilità dell'ordine di demolizione con la CEDU, non ha mancato di sottolineare che il giudice nazionale deve sempre verificare se l'Amministrazione abbia esercitato i propri poteri valutando "caso per caso" se l'esecuzione dell'ordine possa incidere, in violazione del principio di proporzionalità, sul diritto all'abitazione, richiedendo in tal caso un obbligo particolare di motivazione (cfr. Corte EDU, 21 aprile 2016, n. 46577/15).
Scarica pdf T.A.R. Reggio Calabria, sent. n. 513/2019• Foto: 123rf.com