di Marina Crisafi - La katana è un'arma anche se ha una lama non affilata. E non si può certo considerare un oggetto di arredamento o ad uso scenico. È quanto ha affermato la prima sezione penale della Cassazione (sentenza n. 37375/2019 sotto allegata), confermando il sequestro di una katana giapponese.
La vicenda
Il tribunale del riesame di Roma rigettava l'istanza di riesame del decreto di convalida del sequestro emesso dal gip relativo ad una katana per il reato contravvenzionale di cui all'art. 697 c.p.
Il tribunale riteneva sussistente il fumus del contestato reato, giacchè la katana, tipica spada usata anticamente dai samurai e usata dall'esercito giapponese fino alla seconda guerra mondiale, è "un tipo speciale di spada che, conformemente alla sua naturale destinazione e sebbene nella specie non munita di lame affilate, è diretta all'offesa alla persona". Tant'è che l'indagato l'aveva usata per minacciare un'altra persona.
L'uomo proponeva ricorso per cassazione ritenendo che il collegio del riesame avesse errato nell'inquadrare la katana tra le armi, proprie o improprie, la cui detenzione deve essere denunciata all'autorità, poiché negli stessi decreti di sequestro e di convalida si dava atto che "trattasi di una katana di cm 80 con lama non tagliente e relativo fodero con incisioni giapponesi, da considerare quindi come un oggetto di arredamento o da uso scenico, essendo priva del requisito dell'offensività".
La katana è pericolosa
Per gli Ermellini, però, le tesi sono infondate. Il Tribunale del riesame, infatti, secondo i giudici, "ha correttamente apprezzato il fumus dell'art. 697 cod. pen., ravvisando nell'oggetto in sequestro non un accessorio di arredamento, bensì un'arma vera e propria - a prescindere dalle sue condizioni di efficienza quanto alla lama" tenendo conto che in effetti secondo la sua tipica funzione la stessa è stata brandita dall'indagato in danno di un altro.
Da ciò emerge con evidenza, sostengono quindi dal Palazzaccio, "la caratteristica tipica della katana, concepita come strumento di offesa alla persona e perciò in uso fino a tempi recenti agli ufficiali dell'esercito giapponese".
Da qui l'inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e a tremila euro alla cassa delle ammende.
Scarica pdf sentenza Cass. n. 37375/2019
• Foto: 123rf.com