di Lucia Izzo - Nulla di fatto per l'ergastolo ostativo, la disciplina italiana lede la dignità umana e deve essere modificata. La Grande Chambre della Corte Europea dei diritti dell'uomo, con un ultimo affondo, ha confermato quanto già stabilito dalla sentenza (sotto allegata) resa il 13 giugno 2019 nel caso "Marcello Viola c. Italia", dichiarando inammissibile il ricorso del Governo italiano contro tale pronuncia.
Ergastolo ostativo e Cedu
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Diviene, dunque, definitivo il dictum secondo cui l'ergastolo ostativo previsto all'art. 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario risulta incompatibile con l'art. 3 CEDU: i giudici avevano rimarcato che la dignità umana, situata al centro del sistema creato dalla Convenzione, impedisce di privare una persona della sua libertà, senza operare al tempo stesso per il suo reinserimento e senza fornirgli una possibilità di riguadagnare un giorno questa libertà.
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Chiedendo l'intervento della Grande Camera, l'Italia ha difeso la legittimità dell'ergastolo ostativo, inflitto a soggetti particolarmente pericolosi e che si sono macchiati di delitti particolarmente gravi (mafia, terrorismo, pedopornografia e altri), sulla cui conformità al dettato costituzionale si è espressa anche la Corte Costituzionale e che ad oggi costituisce un caposaldo nella lotta contro il crimine organizzato.
Ciononostante, la Corte EDU, senza neppure entrare nel merito della vicenda, ha respinto l'istanza italiana e bocciato il trattamento penitenziario differenziato nei confronti di tali soggetti rispetto ad altri comunque condannati all'ergastolo a cui viene, invece, concesso di accedere ad alcuni benefici
La vicenda
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Il caso su cui si è pronunciata la Corte è quello di Marcello Viola, condannato all'ergastolo per una serie di reati tra cui associazione a delinquere di stampo mafioso, sequestro di persona e omicidio. In carcere dal 1991 e dopo diversi anni al 41-bis, Viola è stato un detenuto dal comportamento penitenziario impeccabile.
Per questo, fuori dal regime di carcere duro, aveva richiesto di accedere a un permesso premio e alla liberazione condizionale, ma le sue domande erano state respinte proprio in virtù della disciplina dell'ergastolo ostativo, non avendo Viola mai voluto collaborare con i magistrati per paura di possibili ritorsioni.
Ma in mancanza di collaborazione con gli inquirenti scatta questa forma di ergastolo che "osta" al conseguimento di tutta una serie di benefici penitenziari e misure alternative alla detenzione definita anche attraverso l'espressione "fine pena mai".
In particolare, la CEDU ha bocciato l'automatismo italiano che ricollega alla scelta del condannato di non collaborare con le autorità la continua adesione ai valori criminali, il permanere della pericolosità sociale oppure un legame ancora in corso con l'organizzazione criminale. E secondo la Corte tale conclusione appare in contrasto con i principi della Carta secondo cui nessuno può essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti.
La riforma dell'ergastolo
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La Corte EDU ha dunque invitato l'Italia ad attuare una riforma del regime della reclusione dell'ergastolo che garantisca la possibilità di riesame della pena affinché l'autorità possa verificare se, nel corso dell'esecuzione della pena, vi sia stata una evoluzione del detenuto e una sua progressione nel percorso di cambiamento, al punto che nessun motivo legittimo di ordine penologico giustifichi più la detenzione.
Inoltre, si legge nel provvedimento, la riforma dovrà garantire la possibilità per il condannato di beneficiare del diritto di sapere cosa deve fare perché la sua liberazione sia possibile e quali siano le condizioni applicabili.
La giurisprudenza italiana si è espressa molte volte in materia di ergastolo ostativo, soffermandosi sulla sua compatibilità con l'articolo 27 comma 3 della Costituzione. Per la Consulta (sent. 135/2003), "subordinando l'ammissione alla liberazione condizionale alla collaborazione con la giustizia, che è rimessa alla scelta del condannato, (la disciplina) non preclude in modo assoluto e definitivo l'accesso al beneficio, e non si pone, quindi, in contrasto con il principio rieducativo enunciato dall'articolo 27, terzo comma, della Costituzione".
Tuttavia, sullo stesso tema è attesa la decisione da parte della Corte Costituzionale fissata al prossimo 22 ottobre ed è ben possibile che la pronuncia della CEDU influenzi notevolmente le conclusioni della Consulta.
Le reazioni
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Una decisione epocale quella della Corte di Strasburgo, che non ha mancato di suscitare diverse reazioni. Si è evidenziato come altri 12 ergastolani, al parti di Marcello Viola, abbiano fatto ricorso alla CEDU e molti altri, a seguito della sentenza, sono pronti ad agire per chiedere una valutazione della propria vicenda.
"Non condividiamo nella maniera più assoluta questa decisione della Cedu, ne prendiamo atto e faremo valere in tutte le sedi le ragioni del governo italiano e di una scelta che lo Stato ha fatto tanti anni fa: una persona può accedere ai benefici a condizione che collabori con la giustizia" ha commentato il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede.
Per Matteo Salvini è "l'ennesima follia della Corte dei diritti umani", mentre per Piero Grasso "la decisione di non accogliere il ricorso dell'Italia è figlia di una scarsa conoscenza del modello mafioso italiano". Secondo l'ex presidente del Senato "questa legge, dura ma non incostituzionale, pone i mafiosi davanti a un bivio: essere fedeli a Cosa nostra e pagarne le conseguenze o collaborare con lo Stato e iniziare il processo di ravvedimento e rieducazione previsto dalla Costituzione. Senza di questo non si può concedere alcun beneficio".
Per Luigi Di Maio, ministro degli affari Esteri e leader M5S, "se vai a braccetto con la mafia, se distruggi la vita di intere famiglie e persone innocenti, ti fai il carcere secondo certe regole. Nessun beneficio penitenziario, nessuna libertà condizionata. Paghi, punto. Qui piangiamo ancora i nostri eroi, le nostre vittime, e ora dovremmo pensare a tutelare i diritti dei loro carnefici? Il M5S non condivide in alcun modo la decisione presa dalla Corte".
Diversa l'opinione di Giandomenico Caiazza, presidente dell'Unione delle Camere penali, secondo cui "l'ergastolo ostativo è palesemente incostituzionale e in evidente contrasto con il principio della finalità rieducativa della pena. Si tratta di abbattere il principio che non si possa accedere ad alcune misure, ma non è che abolendo l'ostatività automaticamente il mafioso avrebbe il permesso. È sempre il tribunale di sorveglianza chiamato a valutare se ci sono le condizioni per concedere la misura".
Anche il Partito radicale avverte "I diritti umani non sono negoziabili. Chiunque vuole l'Italia fuori dal sistema della loro tutela vuole riportare il Pese al medioevo, alla barbarie".
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