Il criterio regolatore è stato scolpito nella sentenza n. 7037 del 9 luglio 2019, pubblicata il 15.10.2019.
Il fatto
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Vediamo dunque, sia pur sinteticamente, in occasione di quale fattispecie tale principio è stato giustamente evocato ed applicato dal Supremo Collegio di Giudici amministrativi.
Si tratta di una vicenda nella quale il militare si trova ad affrontare la sanzione della perdita del grado per rimozione, quale esito di un provvedimento disciplinare basato sull'avvenuta assunzione di una sostanza stupefacente e sulla mancata comunicazione del fatto al proprio Comando.
C'è da dire che, sin dalle prime battute del procedimento, il dipendente aveva sempre contestato l'incolpazione, assumendo che la positività allo stupefacente era in realtà da ricollegarsi all'assunzione di farmaci antidolorifici nei giorni precedenti ad un sinistro stradale (in occasione del quale era stata appunto scoperta la positività) o anche al momento del primo soccorso.
La causa di primo grado
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La prima sentenza ritiene fondata la censura di violazione del principio di proporzionalità, in quanto l'Amministrazione non aveva tenuto conto della natura episodica dell'assunzione della sostanza stupefacente e della particolare situazione del ricorrente che, a seguito del sinistro stradale, era stato giudicato già inidoneo al servizio e aveva presentato domanda per il transito ai ruoli civili, con cessazione quindi delle peculiari funzioni nel servizio nel Corpo della Guardia di Finanza.
La causa di secondo grado
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Avviato il secondo grado della causa amministrativa, il Consiglio di Stato respinge l'appello presentato dall'Amministrazione.
Le sanzioni disciplinari, dice il Consesso Supremo, sono commisurate al tipo di mancanza commessa e alla gravità della stessa: nel determinare la specie ed eventualmente la durata della sanzione sono inoltre considerati i precedenti di servizio disciplinari, il grado, l'età, l'anzianità di servizio del militare che ha mancato. Vanno punite con maggior rigore le infrazioni intenzionali, commesse in presenza di altri militari, in concorso con altri militari, ricorrenti con carattere di recidiva.
Ovviamente, è risaputo che le valutazioni dell'Amministrazione in materia di sanzioni disciplinari sono connotate da ampia discrezionalità.
Questo è chiaro e non viene messo in dubbio.
Tuttavia, sia pur nell'ottica di un ristretto e residuale sindacato che la Legge pone nelle mani del Giudice di fronte a questi temi, i Magistrati ravvisano una manifesta illogicità della sanzione, dal momento che l'episodio che ha coinvolto il militare risulta rimasto isolato (ammettendo pure che sia stata raggiunta veramente la prova della effettiva assunzione volontaria della sostanza stupefacente, sempre contestata dall'appellato nel corso del procedimento disciplinare e, tra l'altro, non risulta esercitata l'azione penale per il reato di cui all'art. 187 del Codice della Strada).
Inoltre, l'unicità dell'episodio doveva essere valutata tenendo anche conto che, al momento dell'adozione del provvedimento sanzionatorio, era stata già accertata la inidoneità al servizio militare dalla Commissione medica ospedaliera.
La richiesta di transito ai ruoli civili attenuava, infatti, quelle esigenze di assoluto rigore che giustificano la grave sanzione della perdita del grado per i militari in servizio.
Se è vero che la Legge vuole evitare che il transito ai ruoli civili costituisca un commodus discessus (una facile via d'uscita) per evitare il rigore dell'Ordinamento militare, ciò non toglie che il principio di proporzionalità comporti una valutazione caso per caso in concreto dei comportamenti disciplinarmente rilevanti, anche alla luce della inidoneità al servizio militare già accertata.
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