Depositate la sentenza della Corte Costituzionale. Per il giudice delle leggi, la presunzione di pericolosità non ha carattere assoluto e può essere superata dall'acquisizione di elementi che escludano collegamenti con la criminalità

di Lucia Izzo - È illegittimo l'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354. Il detenuto per un reato di associazione mafiosa e/o di contesto mafioso ex art. 416-bis c.p. potrà dunque vedersi concedere un permesso premio anche in assenza di collaborazione collaborazione con la giustizia.

Pur restando a suo carico una sorta di presunzione di pericolosità, questa non ha carattere assoluto, in quanto potrà essere superata qualora il magistrato di sorveglianza abbia acquisito elementi tali da escludere che il detenuto abbia ancora collegamenti con con la criminalità organizzata o che vi sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti. Sono questi i principi cui è giunta la Corte Costituzionale nella sentenza n. 253/2019 (sotto allegata), depositata ieri dopo l'annuncio fatto tramite comunicato stampa nei giorni scorsi.


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Ergastolo ostativo: la sentenza

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La Corte Costituzionale, pronunciandosi sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di Cassazione e dal Tribunale di Sorveglianza di Perugia in relazione alla disciplina di cui all'art. 4-bis, comma 1, della legge n. 354/1975 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), ha affermato che la presunzione di pericolosità sociale del detenuto che non collabora non sarà certo superabile in virtù della sola regolare condotta carceraria (c.d. buona condotta) o della mera partecipazione al percorso rieducativo, e nemmeno in ragione di una soltanto dichiarata dissociazione, ma richiederà l'acquisizione di ben altri, congrui e specifici, elementi capaci di dimostrare il venir meno del vincolo imposto dal sodalizio criminale.

E alla stessa conclusione deve giungersi anche con riguardo ai detenuti per i reati contemplati nell'art. 4-bis, comma 1, ord. pen., diversi da quelli di cui all'art. 416-bis c.p. e da quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste.

La concessione dei permessi premio

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In particolare, si è discusso della parte in cui tale norma esclude che il condannato all'ergastolo, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416-bis c.p., ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia, possa essere ammesso alla fruizione di un permesso premio.


E ciò anche qualora siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l'attualità della partecipazione all'associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata.


La Consulta è giunta a dichiarare incostituzionale tale norma stante il contrasto con i principi di ragionevolezza e della funzione rieducativa della pena (ex artt. 3 e 27 della Costituzione), estendendola a tutti i reati compresi nel primo comma dell'articolo 4 bis, oltre a quelli di associazione mafiosa e di "contesto mafioso", anche puniti con pena diversa dall'ergastolo.


Va precisato che la sentenza ha sottratto la concessione del solo permesso premio (e non degli altri benefici) al circuito "ostativo" previsto dall'articolo 4 bis per i detenuti che non collaborano con la giustizia.

Le questioni di legittimità

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I giudici hanno precisato che le questioni di legittimità costituzionale sollevate non riguardano la legittimità costituzionale della disciplina relativa al cosiddetto ergastolo ostativo, sulla cui compatibilità con la CEDU si è, di recente, soffermata la Corte europea dei diritti dell'uomo (sentenza 13 giugno 2019, Viola contro Italia).


Questo perché, nel caso di specie, le ordinanze di rimessione non hanno censurato, oltre all'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit., anche l'art. 2, secondo comma, del D.L. n. 152/1991 che non consente di concedere la liberazione condizionale al condannato all'ergastolo che non collabora con la giustizia e che abbia già scontato 26 anni effettivi di carcere.


Le questioni di legittimità costituzionale esaminate attengono, invece, non alla condizione di chi ha subito una condanna a una determinata pena, bensì a quella di colui che ha subito condanna (all'ergastolo, in entrambi i giudizi a quibus) per reati cosiddetti ostativi, in specie i delitti di associazione di tipo mafioso ai sensi dell'art. 416-bis c.p., e quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo, ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste.

Persistenza dei rapporti con la criminalità

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Prima della dichiarazione di incostituzionalità, la disposizione censurata faceva derivare dalla mancata collaborazione con la giustizia dopo la condanna per certi delitti una presunzione assoluta di persistenza di rapporti con la criminalità organizzata, superabile solo dalla collaborazione stessa.


Solo la collaborazione avrebbe dunque concesso ai condannati per una serie di delitti l'accesso ai benefici previsti dall'ordinamento penitenziario. Pertanto, la richiesta del detenuto non collaborante di ottenere i benefici previsti dall'Ordinamento penitenziario (nella fattispecie, il permesso premio) non avrebbe potuto mai essere valutata in concreto dal magistrato di sorveglianza, ma sarebbe dovuta essere dichiarata inammissibile.


Per la Consulta, non è la presunzione in sé stessa a risultare costituzionalmente illegittima. Non è infatti irragionevole presumere che il condannato che non collabora mantenga vivi i legami con l'organizzazione criminale di originaria appartenenza, purché si preveda che tale presunzione sia relativa e non già assoluta e quindi possa essere vinta da prova contraria.

Presunzione non assoluta, ma relativa

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Una disciplina improntata al carattere relativo della presunzione, infatti, si mantiene entro i limiti di una scelta legislativa costituzionalmente compatibile con gli obbiettivi di prevenzione speciale e con gli imperativi di risocializzazione insiti nella pena. Ciò non avviene, invece, in presenza di una disciplina che assegna carattere assoluto alla presunzione di attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata


In primis, perché all'assolutezza della presunzione sono sottese esigenze investigative, di politica criminale e di sicurezza collettiva che incidono sull'ordinario svolgersi dell'esecuzione della pena, con conseguenze afflittive ulteriori a carico del detenuto non collaborante.


In un secondo senso, tale assolutezza impedisce di valutare il percorso carcerario del condannato, in contrasto con la funzione rieducativa della pena, intesa come recupero del reo alla vita sociale, ai sensi dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione.


Infine, l'assolutezza della presunzione si basa su una generalizzazione, che può essere invece contraddetta, a determinate e rigorose condizioni, dalla formulazione di allegazioni contrarie che ne smentiscono il presupposto, e che devono poter essere oggetto di specifica e individualizzante valutazione da parte della magistratura di sorveglianza.

La valutazione del magistrato di sorveglianza

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La consulta, pur soffermandosi sulle specifiche connotazioni criminologiche dell'appartenenza a una associazione di stampo mafioso, evidenzia come il decorso del tempo dell'esecuzione della pena esiga una valutazione in concreto, che consideri l'evoluzione della personalità del detenuto.


Si tratta di una valutazione individualizzata e attualizzata che dovrà estendersi al contesto esterno al carcere. Occorrerà che siano stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.


Un regime probatorio rafforzato che dovrà estendersi all'acquisizione di elementi che escludono non solo la permanenza di collegamenti con la criminalità organizzata, ma altresì il pericolo di un loro ripristino, tenuto conto delle concrete circostanze personali e ambientali.


Di entrambi tali elementi (esclusione sia dell'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e del pericolo di un loro rispristino), graverà sullo stesso condannato che richiede il beneficio l'onere di fare specifica allegazione.


Il magistrato di sorveglianza compirà queste valutazioni non da solo, ma sulla base sia delle relazioni dell'Autorità penitenziaria sia delle dettagliate informazioni acquisite dal competente Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica.

Estensione ad altri reati

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La Consulta ha altresì chiarito le motivazioni alla base dell'estensione della dichiarazione di illegittimità costituzionale tutti i reati compresi nell'elenco contenuto nel primo comma dell'articolo 4 bis.

In virtù di varie scelte di politica criminale, non sempre tra loro coordinate, accomunate da finalità di prevenzione generale e da una volontà di inasprimento del trattamento penitenziario, in risposta ai diversi fenomeni criminali di volta in volta emergenti, l'art. 4-bis ordin. penit. ha progressivamente allargato i propri confini, finendo per contenere, attualmente, una disciplina speciale relativa, ormai, a un complesso, eterogeneo e stratificato elenco di reati, anche non necessariamente associativi.

Qualora la dichiarazione di illegittimità costituzionale non venisse estesa a tutti questi reati, ne deriverebbe una paradossale disparità di trattamento in danno dei detenuti per i quali possono essere del tutto privi di giustificazione sia il requisito della collaborazione con la giustizia sia la dimostrazione dell'assenza di legami con un inesistente sodalizio criminale di originaria appartenenza.

In definitiva, non estendere l'intervento compiuto con la presente sentenza a tutti i reati previsti dal primo comma dell'articolo 4 bis dell'Ordinamento penitenziario (al di là, quindi, di quelli di associazione mafiosa e di "contesto mafioso") finirebbe per compromettere la stessa coerenza intrinseca dell'intera disciplina di risulta.

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