di Paolo Garrone - Come noto, l'art. 492 bis c.p.c. consente al creditore di accedere "ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nell'anagrafe tributaria, compreso l'archivio dei rapporti finanziari, e in quelle degli enti previdenziali, per l'acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l'individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti".
- Come funziona la procedura ex art. 492 c.p.c.
- Inefficacia del precetto per decorrenza del termine di 90 giorni
- Inefficacia precetto d'ufficio: dubbi di carattere processuale
Come funziona la procedura ex art. 492 c.p.c.
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Il creditore, munito di titolo esecutivo e di atto di precetto, deve predisporre un'istanza, rivolta al presidente del Tribunale, per richiedere l'autorizzazione ad accedere alle informazioni di cui al secondo comma dell'art. 492 bis c.p.c.
L'istanza deve essere depositata telematicamente, avanti al Tribunale del circondario ove il debitore risiede. Una volta concessa l'autorizzazione, il creditore può formulare la richiesta di accesso ai dati del debitore direttamente all'Agenzia delle Entrate, tramite comunicazione P.E.C., allegando le copie conformi all'originale del titolo esecutivo, dell'atto di precetto e del decreto di autorizzazione emesso dal Tribunale.
L'Agenzia delle Entrate, una volta terminate le operazioni, invia un avviso al creditore, chiedendogli il versamento, mediante F24, di un importo a titolo di tributo speciale per le attività di ricerca. Versato il tributo, l'Agenzia delle Entrate provvederà, infine, all'invio dei risultati al creditore.
Inefficacia del precetto per decorrenza del termine di 90 giorni
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Alcuni Tribunali hanno rigettato delle istanze ex art. 492 bis c.p.c. in quanto alcuni avvocati vi allegavano degli atti di precetto ormai inefficaci per decorrenza del termine di 90 giorni di cui all'art. 481 c.p.c., richiedendo pertanto la preventiva notifica di un atto di precetto in rinnovazione, oltre all'attesa del termine dilatorio di 10 giorni per consentire al debitore lo spontaneo adempimento all'intimazione di pagamento.
La soluzione proposta, tuttavia, non pare condivisibile.
Preliminarmente, occorre osservare come la (ri)notifica dell'atto di precetto, nella forma di atto di precetto in rinnovazione, si traduca, in genere, in un mero aggravio di costi a carico del creditore, il quale, tendenzialmente, non ne ricava mai un adempimento da parte del debitore. Infatti, se il debitore non ha adempiuto spontaneamente al primo precetto, è ben difficile che adempia ad eventuali atti di precetto successivi.
Inefficacia precetto d'ufficio: dubbi di carattere processuale
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Ma il rilievo d'ufficio dell'inefficacia del precetto pone anche dei dubbi di carattere processuale.
Ed infatti, l'inefficacia ex art. 481 c.p.c. dell'atto di precetto non potrebbe comunque esser rilevata d'ufficio dal Tribunale, in quanto l'unico strumento, a tal fine predisposto dall'ordinamento, è l'opposizione agli atti esecutivi, ossia, nell'eventualità in cui l'esponente procedesse ad esecuzione in virtù di un atto di precetto inefficace, l'opposizione di cui agli artt. 617 e segg. c.p.c. A tal proposito, ex multis, si veda Cass. Civ, sent. n. 3997 del 1992, secondo la quale "L'inefficacia, o la mancanza, del precetto è causa di un vizio dell'atto di esecuzione successivo per difformità dal suo schema legale che è rilevabile non d'ufficio bensì solo mediante l'opposizione agli atti esecutivi da proporsi contro il primo atto dell'esecuzione".
In altri termini, essendo il procedimento ex art. 492 bis c.p.c., di per sé, inaudita altera parte, il Tribunale non potrebbe mai rilevare l'inefficacia del precetto, e pertanto dovrebbe sempre concedere il decreto di autorizzazione. È una conclusione peraltro in linea con l'interesse dell'ordinamento a non aggravare eccessivamente il creditore, imponendogli notifiche ed atti la cui utilità è quanto meno discutibile.
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