"Ciò che accade, accade per amore e ciò che grazie all'amore viene conservato, può essere annullato solo con l'amore. C'è un futuro solo per chi è in sintonia con il passato" (lo psicologo tedesco Bert Hellinger). La vita di coppia comincia per amore e, quando finisce, bisognerebbe continuare a provare amore per la vita in generale lasciando andare l'altro. I veri rapporti umani si rammendano con volontà e si rammentano con voluttà e non con volubilità: così i rapporti di coppia e quelli di famiglia. E a questo servono le cosiddette relazioni d'aiuto, come la consulenza di coppia e la mediazione familiare.
"Ma litigare è un'arte: si impara; non sta scritto da nessuna parte che due che si amano vogliono la stessa cosa nello stesso tempo. E allora occorre equipaggiarsi: ma non per vincere a tutti i costi bensì per ottenere il meglio per tutti. Come si fa? A impararlo occorre… una vita intera!" (Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini, consulenti e formatori). Litigare (che non necessariamente ha un significato negativo come si ricava dall'etimologia, infatti secondo alcuni etimologi la parola "lite" deriva dal greco "lyo", sciogliere, lasciare libero) e saper litigare: anche questo fa parte dell'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale, di cui all'art. 143 comma 2 cod. civ., per migliorare la collaborazione nell'interesse della famiglia. Litigare significa e comporta, comunque, considerare l'altro e non ignorarlo, avere lo sguardo verso lo stesso oggetto o soggetto del contendere, calibrare la comunicazione, rimodulare le regole della stessa. Quello che si cerca di fare professionalmente nella mediazione familiare, nei casi di conflittualità esacerbata, con l'intento di ridare lo stesso codice di comunicazione, di ristabilire la comunicazione, anche se non esiste più la comunione di vita. Quello che era stato preconizzato nell'art. 145 cod. civ. prevedendo l'intervento del giudice "in caso di disaccordo".
Mediazione familiare: porsi in mezzo a due persone in conflitto - legate da matrimonio o altra unione - per fare da "medium" alle loro opposizioni e posizioni, affinché ritrovino il centro della vita e la continuino autonomamente e consapevolmente e non trattino il figlio come mezzo e non lo "lacerino" a metà.
La mediazione familiare (e la mediazione in generale) è una forma di giustizia salomonica e in particolare lo è il criterio del superiore interesse del fanciullo che viene applicato. Nella Bibbia e precisamente nel Primo libro dei Re 3, 16-28 si narra: una volta due donne (due prostitute) si contendevano un bambino e ognuna sosteneva di essere la madre. Salomone ordinò di tagliare in due il bambino e di darne metà a ciascuna donna. Una accettò, mentre la vera madre, commossasi, supplicò che il bambino fosse dato piuttosto all'altra. A quel punto fu chiaro a Salomone che la vera madre era la donna compassionevole e diede a lei il bambino. Così la mediazione familiare cerca di ricondurre le parti alla consapevolezza e alla ragionevolezza e suscitare la "com-passione", la "con-divisione" della stessa sofferenza per la lacerazione familiare.
Gli obiettivi della mediazione familiare rispetto alla conflittualità in corso: minimizzare, mitigare, migliorare, misurare, mirare, ovvero il contrario di mimetizzare, millantare, mitizzare o mistificare la realtà. Si "lavora" sulla conflittualità perché le parti tornino a essere protagoniste, soggetti attivi della loro vita, anche se prenderanno strade diverse. "È essenziale mettere in grado le persone di imparare durante tutta la vita, di prepararsi ad affrontare le sue diverse tappe e di saper fronteggiare le lesioni e le malattie croniche. Ciò deve essere reso possibile a scuola, in famiglia, nei luoghi di lavoro e in tutti gli ambienti organizzativi della comunità. È necessaria un'azione che coinvolga gli organismi educativi, professionali, commerciali e del volontariato, ma anche le stesse istituzioni" (da "Sviluppare le abilità personali" della Carta di Ottawa per la Promozione della Salute, 1986).
Mediazione familiare: si appiana il presente comunicazionale e si pianifica il futuro relazionale; si passa da un'opposizione di conflitti a un'apposizione di confini.
Nella mediazione familiare "pacificare le relazioni familiari" (Fulvio Scaparro) equivale a "panificare le relazioni familiari", perché il mediatore, da terzo, mette insieme gli ingredienti, inforna ma il risultato non è garantito perché dipende da altri fattori. Il mediatore aiuta le parti a passare dal "manipolare" (emozioni, situazioni, relazioni) al "manovrare". Come la mediazione fa parte dello statuto ontologico della persona, così la mediazione familiare fa parte dello statuto ontologico della famiglia e il mediatore familiare fa da "notaio".
Di estremo interesse il documento dell'AFCC (Association of Family and Conciliation Courts), "Guidelines for parenting coordinator" (approvato a fine 2018 dopo due anni di puntuale lavoro di revisione della precedente edizione del 2005), "Linee guida per il coordinatore dei genitori", dedicate ad una figura professionale che opera stabilmente da anni presso i tribunali per la famiglia statunitensi, ad accompagnare i figli e i genitori a seguito della separazione e del divorzio, anche nel lungo periodo. Profilo professionale e percorsi che sarebbero molto utili anche per il nostro Paese (pur nelle oggettive differenze tra i due ordinamenti giuridici e giudiziari), dove questo accompagnamento è molto più complesso da progettare e realizzare, dopo le fasi di gestione immediata della separazione (la parenting coordination è ben distinta dagli interventi di mediazione familiare). La mediazione familiare ha per oggetto la conflittualità che si estende alla famiglia e mira alla progettualità, mentre la parenting coordination riguarda più da vicino la genitorialità.
La mediazione familiare ha come obiettivo quello di dare un aspetto nuovo alle vicende familiari, un assetto nuovo alle dinamiche, un orizzonte nuovo alle relazioni, un alfabeto nuovo alla comunicazione, in altre parole "pacificare le relazioni familiari". Etimologicamente "pacificare" è "fare pace", espressione che evoca i litigi tra bambini in cui interviene un adulto o anche il fare pace con se stessi, quello che avviene nella stanza della mediazione e nella stanza del proprio io (da dove scaturiscono ogni conflitto e ogni concordia). Quel "pacificare" che richiama l'edificare e qualsiasi processo costruttivo e vivo come le relazioni familiari che, per questo, vanno aiutate quando lacerate. "Pace", in latino "pax" (da cui "patto"), in ebraico "shalom" (che deriva da una radice che significa "differenza"), e in entrambe le lingue antiche vi è un riferimento a "unione": pace non significa assenza di conflitti ma ha una profondità e un'immensità di accezioni, tra cui "mettere insieme le differenze".
Danilo Dolci, in un suo scritto del 1973, descriveva la maieutica come "necessità di sviluppare in ciascuno la capacità di scoprire, di creare, di promuovere necessari conflitti". Così la mediazione familiare è un'arte maieutica che educa al conflitto, conduce alla necessaria conflittualità familiare indipendentemente da quelle che potranno essere le scelte della coppia coniugale o more uxorio.
La mediazione familiare è ancora confusa con altre professioni oppure la si evita andando subito dagli avvocati "con tutta la rabbia dentro e addosso".
L'AFCC, Association of Family and Conciliation Courts, nell'ottobre 2019, ha pubblicato "Family Mediation 2.0 - Integrating Online Capacities" ("Mediazione Familiare 2.0 - Integrare le potenzialità online"). Interessante questo breve atto (solo sette pagine) in cui è evidenziata la crescente attenzione presente in diversi contesti nazionali (Stati Uniti, Canada, Olanda) verso le potenzialità digitali per sostenere e promuovere la mediazione familiare, fino a offrire alcune indicazioni di metodo e deontologiche in caso di utilizzo di colloqui di mediazione svolti non faccia a faccia, ma con il "filtro" di uno schermo e di collegamento web. Apprezzabile questa pubblicazione perché dà nuovo impulso alla cultura della mediazione e alla pratica della mediazione familiare ma, al tempo stesso, possono venir meno alcune peculiarità della mediazione familiare e, in particolare, della stanza della mediazione, quali l'equidistanza del mediatore, il "contatto umano", il confronto diretto - a cominciare dallo sguardo - tra le parti in conflitto, quegli stessi "odori e umori personali" che hanno causato l'interruzione della comunicazione e la conflittualità tra i coniugi o partner: le parti coinvolte nella mediazione non devono "acconsentire" ma devono almeno tornare a "sentirsi".