di Annamaria Villafrate - Non si può ribaltare una sentenza di assoluzione, senza rinnovare l'istruttoria se a impugnare la sentenza è il Pubblico Ministero. Occorre quindi annullare la sentenza e rinviare alla Corte d'Appello per appurare se la madre deve essere condannata per il reato previsto dal comma 2 dell'art 388, ovvero per elusione di un provvedimento del giudice emesso in sede di separazione e per non tenere una condotta collaborativa al fine di riavvicinare i figli al padre e migliorare tali rapporti. A sancirlo la Cassazione nella sentenza n. 601/2020 (sotto allegata).
- 1. Condannata perché non favorisce il rapporto padre-figli
- 2. L'impugnazione della sentenza di condanna
- 3. Nuovo giudizio d'appello per valutare la condotta della madre
Condannata perché non favorisce il rapporto padre-figli
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Una madre viene assolta in primo grado, ma condannata in appello per il reato di cui all'art 388 comma 2 c.p che prevede la pena della reclusione fino a tre anni o la multa
da euro centotre a euro milletrentadue nei confronti di chi "elude l'ordine di protezione previsto dall'articolo 342 ter del codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ovvero ancora l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, ovvero amministrativo o contabile, che concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito."Alla donna viene contestato il mancato rispetto del provvedimento del Tribunale che ha riconosciuto al coniuge separato di vedere i figli.
L'impugnazione della sentenza di condanna
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Per l'imputata la sentenza d'appello che le contesta il reato di cui all'art 388 comma 2 cp erra nel considerare il reato commesso come un permanente, ritenendo che la condotta della donna non è mai cessata, perché prende erroneamente come riferimento tutto il periodo al quale si riferisce l'imputazione e non una parte di esso. La ricorrente precisa infatti che nel corso delle indagini preliminari l'accusa per il reato di cui all'art. 572 cp è venuta meno per archiviazione del procedimento, per cui tali condotte non potevano essere esaminate in sede d'appello. La querela nei suoi confronti per il reato di cui all'art 388 comma 2 cp è stata presentata 3 mesi prima per cui il giudice poteva prendere in esame soli i fatti decorrenti dal 5 giugno al 5 settembre.
La corte inoltre ha errato nel valutare i risultati della consulenza d'ufficio, ritenendo, come dichiarato dalla dottoressa incaricata, che una collaborazione parziale equivalga a una non collaborazione. Conclusioni che contraddicono quanto rilevato dalla consulente, la quale ha riferite dei rapporti conflittuali tra padre e figli e ha altresì ribadito gli innumerevoli tentativi della madre per riavvicinare i figli al padre. La condotta ostativa alla realizzazione delle prescrizioni del giudice pertanto non è ravvisabile nel caso di specie.
Assenza di dolo allo scopo di sottrarsi all'adempimento degli obblighi civili.
Errata valutazione della CTU predisposta in sede civile dei rapporti intercorrenti tra padre e figli, considerato che la dottoressa incaricata ha rilevato i sentimenti che i figli nutrivano nei confronti del padre. La figlia infatti ha definito il padre "cattivissimo", il figlio invece ha dichiarato di non voler vedere il padre perché ne ha paura.
La ricorrente rileva inoltre che il suo tentativo di mediare tra figli e padre non può essere equiparata a una elusione del provvedimento, da qui l'assenza dell'elemento soggettivo del reato contestato.
Errata infine la valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e dai testi. Il primo non è stato in gradi di riferire un solo episodio da cui emerge la volontà dell'imputata di ostacolare il rapporto del padre con i figli e i testi si sono limitati a riferire episodi di cui sono venuti a conoscenza per come raccontati dal padre.
Nuovo giudizio d'appello per valutare la condotta della madre
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La Cassazione ritiene fondato il ricorso, per questo annulla la sentenza e rinvia ad altra sezione della Corte d'Appello per un nuovo giudizio, ma lo fa in base a un profilo che rileva d'ufficio.
Gli Ermellini chiariscono infatti che la Corte d'Appello avrebbe ribaltato la sentenza assolutoria di primo grado, senza rispettare quanto previsto dall'art. 603 comma 3bis c.p.p che ha disposto la regola della rinnovazione dell'attività istruttoria in caso di appello proposta dal Pubblico Ministero. Rinnovazione istruttoria che in ogni caso doveva essere effettuata anche in assenza di specifica richiesta del Pm, ascoltando nuovamente i testimoni e la parte civile.
Questo perché, come precisato dalla SU Mannino: "la sentenza che riformi totalmente, in senso assolutorio come di condanna, la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato."
Nel valutare la condotta elusiva dell'imputata infine la corte d'Appello dovrà rispettare il principio di diritto secondo il quale "l'elusione dell'esecuzione di un provvedimento del giudice civile che riguardi l'affidamento di minori può concretarsi in qualunque comportamento, anche omissivo, da cui derivi la frustrazione delle legittime pretese altrui."
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