di Lucia Izzo - Nei contratti di locazione, sia a uso abitativo che a uso commerciale, si dibatte spesso delle vicende che ineriscono il canone. Molti conduttori sono preoccupati che questo possa subire rideterminazioni nel tempo, in particolare in corso di rapporto.
Ecco, nel dettaglio, cosa dice la legge sulla quantificazione originaria del canone di locazione, pattuita al momento della stipula del contratto, e le eventuali modifiche effettuate in un momento successivo la predetta stipula.
- 1. Contratti locazione abitativa
- 2. Immobili per uso diverso da quello abitativo
- 3. Legge sull'equo canone: nullità ex art. 79
- 4. Canone a scaletta: quando è legittimo?
Contratti locazione abitativa
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Per quanto riguarda i contratti di locazione di immobili a uso abitativo, l'aumento in itinere deciso unilateralmente dal proprietario non sembra essere consentito. In tali contratti, il canone viene di solito liberamente determinato dalle parti (c.d. canone libero) oppure stabilito da convenzioni territoriali (c.d. canone convenzionato).
Per approfondimenti: È possibile l'aumento unilaterale del canone di locazione?
Nel corso della vigenza del contratto di locazione si ritiene che il locatore non possa pretendere dal conduttore il pagamento di un canone di importo maggiore rispetto a quello pattuito, neppure con il suo assenso. L'unica eccezione è quella correlata agli aggiornamenti calcolati in base alla variazione dell'indice Istat (se nei contratti è presente un'apposita clausola in tal senso).
Canone libero
la legge n. 431/1998 stabilisce che i contraenti possano stipulare contratti di locazione di durata non inferiore a quattro anni, decorsi i quali i contratti sono rinnovati per un periodo di quattro anni (c.d. 4+4).
Solo alla seconda scadenza del contratto, precisa l'art. 1 della legge sull'equo canone, ciascuna delle parti ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto, comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all'altra parte almeno sei mesi prima della scadenza, in mancanza della quale il contratto si intenderà rinnovato tacitamente alle medesime condizioni.
In sostanza, dalla lettura della norma appare evidente come solo a partire dalla seconda scadenza si rende possibile per il locatore modificare le condizioni contrattuali, dunque anche l'importo del canone. In mancanza di risposta alla raccomandata o di un accordo, il contratto si intenderà scaduto alla data di cessazione della locazione.
Canone concordato
Le parti possono anche stipulare contratti di locazione a canone c.d. convenzionato, ovvero in base a quanto stabilito in appositi accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative, che provvedono alla definizione di contratti-tipo.
Tali contratti non possono avere durata inferiore ai tre anni, ad eccezione di quelli di cui all'articolo 5 (quelli c.d. di durata transitoria), e alla prima scadenza del contratto, ove le parti non concordino sul rinnovo del medesimo, il contratto è prorogato di diritto per due anni (3+2) fatta salva la facoltà di disdetta da parte del locatore in taluni casi.
Alla scadenza del periodo di proroga biennale, chiarisce la norma, ciascuna delle parti avrà diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all'altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. In mancanza della comunicazione il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni.
Anche in tal caso, dunque, le modifiche del canone a discrezione del proprietario non sono consentite prima della seconda scadenza, ovvero al momento del rinnovo obbligatorio alle stesse condizioni.
Immobili per uso diverso da quello abitativo
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Nei contratti a uso diverso da quello abitativo si rintraccia spesso la prassi di stabilire un canone ridotto per i primi anni del rapporto locatizio, per venire incontro alle esigenze del conduttore e ai costi che deve sopportare quando inizia un'attività, spese e spesso anche lavori da effettuare nell'immobile a sue spese. Da qui le richiesta di una modulazione del canone crescente negli anni, noto come canone a scaletta, differenziato nel tempo.
In materia di locazione di immobili urbani adibiti a uso diverso da quello di abitazione, l'art. 32 della Legge sull'equo canone (L. n. 392/1978) chiarisce che le parti possono convenire che il canone di locazione sia aggiornato annualmente su richiesta del locatore per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta in base agli accertamenti dell'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati.
Invece, l'art. 79 della stessa legge ritiene nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della medesima legge sull'equo canone.
Cosa dice la giurisprudenza?
Sul punto la giurisprudenza è intervenuta spesso a dettare importanti chiarimenti. Nella recente sentenza n. 34148/2019, la Cassazione ha ribadito che, in tema di locazione di immobili adibiti a uso diverso da abitazione, ogni pattuizione avente a oggetto non già l'aggiornamento del corrispettivo, ma veri e propri aumenti del canone deve ritenersi nulla ex art. 79, comma 1, della stessa legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello previsto dalla norma, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunziare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti.
Il diritto del conduttore a non erogare somme eccedenti il canone legalmente dovuto (corrispondente a quello pattuito, maggiorato degli aumenti c.d. Istat, se previsti) sorge nel momento della conclusione del contratto, persiste durante l'intero corso del rapporto e può essere fatto valere, in virtù di espressa disposizione di legge, dopo la riconsegna dell'immobile, entro il termine di decadenza di sei mesi.
Legge sull'equo canone: nullità ex art. 79
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L'art. 79 della L. n. 392/1978 prevede scatti la sanzione della nullità per quelle pattuizioni dirette a limitare la durata legale del contratto di locazione, ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello dovuto e a riconoscergli, infine, altri, non legittimi vantaggi in contrasto con le disposizioni delle norme sull'equo canone.
In più occasioni, la Cassazione ha affermato che tale sanzione, avendo lo scopo di impedire che il conduttore, pur di assicurarsi il godimento dell'immobile, sia indotto ad accettare condizioni lesive dei suoi diritti, vada applicata con riferimento a qualsivoglia clausola contenuta nel contratto di locazione, ma non anche estesa agli accordi transattivi conclusi dal conduttore medesimo (e già immesso nel possesso del bene) onde regolare, convenzionalmente, gli effetti di vicende verificatesi in corso di rapporto e che, perciò, incidono su situazioni giuridiche patrimoniali già sorte e disponibili (v. Cass. n. 6124/2018).
Le Sezioni Unite, in particolare, ritengono nullo il patto con il quale le parti di un contratto di locazione di immobili a uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullità "vitiatur sed non vitiat", con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall'avvenuta registrazione (cfr. Cass., SS.UU. n. 23601/2017).
Infine, per gli Ermellini, la sanzione di nullità sancita dall'art. 79 della L. n. 392 /1978, tradizionalmente intesa come volta a colpire le sole maggiorazioni del canone previste "in itinere" e diverse da quelle consentite "ex lege", deve, invece, essere letta nel senso che il patto di maggiorazione del canone è nullo anche se la sua previsione attiene al momento genetico, e non soltanto funzionale, del rapporto.
Canone a scaletta: quando è legittimo?
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Recentemente (sent. n. n. 23986/2019), i giudici di Piazza Cavour si sono pronunciati sulla legittimità del c.d. canone a scaletta, ovvero della clausola in cui venga pattuita l'iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto.
Tale clausola, alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati a uso non abitativo, deve ritenersi legittima. Scatta la nullità della clausola, invece, se risulta, dal testo del contratto o da elementi extratestuali (della cui allegazione è onerata la parte che invoca la nullità della clausola), che le parti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall'art. 32 della legge n. 392 del 1978 (nella formulazione originaria e in quella novellata dall'art. 1, comma 9-sexies, D.L. 12/1985, conv. con modif. dalla L. n. 118/1985).
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