La sentenza della Cassazione
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La sentenza citata è la n. 26647 del 18.10.2019, Sezione civile.
In estrema sintesi e per semplicità, il deciso può essere così schematizzato. Nel caso di uccisione di un lavoratore, l'Inail corrisponde ai congiunti che posseggano i requisiti di legge una rendita. Questa è parametrata al reddito del de cuius, non può superare il 100% della retribuzione del defunto quale che sia il numero degli aventi diritto. Cessa se il coniuge superstite contrae nuove nozze, inoltre cessa quando il figlio beneficiario raggiunge il ventunesimo anno di età, ovvero il ventiseiesimo se studente universitario.
Queste caratteristiche, dice la Suprema Corte, mostrano che la rendita di cui parliamo ha solo uno scopo solidaristico, cioè quello di sollevare i congiunti del defunto dallo stato di bisogno che la legge presume: in sostanza si ipotizza, astrattamente, che la conseguenza diretta dell'incidente mortale sia la perdita del contributo economico che il lavoratore apportava alla propria famiglia.
Lo scopo della rendita
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In questi termini, la rendita serve solo ad indennizzare un pregiudizio patrimoniale, non altro.
Dunque, non ha come fine specifico quello di pagare il danno non patrimoniale.
La conseguenza diretta di questa impostazione è che le somme erogate dall'Inail, per il suddetto titolo, non possono essere defalcate dal credito risarcitorio spettante ai congiunti del lavoratore deceduto a titolo di ristoro del danno non patrimoniale, patito sotto qualsiasi forma ed in conseguenza dell'infortunio stradale.
La compensatio lucri cum danno
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In buona sostanza, quella che è conosciuta come compensatio lucri cum danno non opera quando il vantaggio economico avuto dalla vittima, dopo il fatto illecito, sia destinato a ripagare pregiudizi ulteriori e diversi da quello di chi ha chiesto il risarcimento.
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