Per la Cassazione, la misura dell'assegno di divorzio deve valorizzare età, sacrifici, contributo alla formazione del patrimonio familiare e durata del matrimonio

di Annamaria Villafrate - Con la sentenza n. 6519/2020 (sotto allegata) la Cassazione rigetta il ricorso di un marito obbligato in sede d'appello a versare alla moglie l'assegno mensile di 1600 euro. Come osservato correttamente dal giudice di seconde cure occorre discostarsi dal superato criterio del tenore di vita, come affermato dalla Cassazione n. 11504/2017, senza dimenticare però la funzione perequativa, assistenziale e compensativa dell'assegno di divorzio, il quale non può non considerare l'età del coniuge richiedente, la sua effettiva possibilità di riprendere a lavorare, i sacrifici fatti per la famiglia e il contributo alla formazione del patrimonio famigliare con il lavoro fuori casa e casalingo.

Assegno di divorzio di 1600 euro per l'ex che ha dedicato la vita al partner

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La Corte d'Appello ridetermina l'assegno divorzile in favore della ex moglie in 1600.00 euro mensili. Nel prendere questa decisione la Corte mette da parte il superato criterio del tenore di vita, ma evita anche d'incidere in maniera punitiva. Nel caso di specie infatti il coniuge richiedente è rimasto sposato a lungo, ha dedicato molto tempo alla famiglia e al partner e ha incrementato le risorse economiche familiari con il proprio lavoro in casa e fuori. Decisivi ai fini del decidere la durata del matrimonio e la disparità reddituale tra le parti.

La donna infatti è sicuramente la parte debole del rapporto perché non dispone di risorse proprie da lavoro, non gode di altre disponibilità liquide, oltre a quelle derivanti dalla vendita degli appartamenti paterni divisi a metà con la sorella, vive in affitto ed è comproprietaria di un immobile difficilmente produttivo di reddito. Giusto quindi ridurre l'assegno alla moglie, ma non nella misura indicata dal marito. Stante l'età, la donna difficilmente riuscirà a reperire facilmente un lavoro, andrà incontro a spese future inevitabili e utilizzerà parte dell'assegno per pagare l'affitto.

Per il marito è esagerato l'assegno divorzile di 1600 euro

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Il marito ricorre in Cassazione e lamenta con il primo motivo la mancata produzione in giudizio da parte della moglie delle dichiarazioni di successione del padre e della madre. Con il secondo si duole di come la Corte non abbia preso in considerazione il fatto che la ex moglie avrebbe potuto andare a vivere nella casa paterna, risparmiando così la spesa dell'alloggio. Con il terzo lamenta l'omesso esame dell'accordo secondo cui l'onere dell'affitto sarebbe gravato sul marito sino a quando la moglie non avesse acquistato la libera disponibilità gratuita di un immobile e comunque una volta sopravvenuta la morte del padre.

Con il quarto contesta la ritenuta non redditività del cespite ereditato dalla ex moglie, stante l'assenza di prove al riguardo. Con il quinto lamenta il giudizio della Corte sulla capacità e possibilità effettiva della donna di produrre reddito, stante la mancata produzione di prove sulle iniziative della stessa per raggiungere l'indipendenza economica. Con il sesto contesta l'omesso esame di un fatto decisivo, ossia che la figlia ha deciso di vivere con il padre, ragion per cui la misura dell'assegno pare eccessiva perché destinata a una donna sola.

Con il settimo e l'ottavo motivo contesta l'entità dell'assegno, perché di molto superiore ai possibili parametri d'indipendenza o autosufficienza economica e per il fatto di aver stabilito tale emolumento tenendo conto dei redditi del marito e del divario reddituale tra i due, mentre la Corte avrebbe dovuto prendere in considerazione solo la condizione del richiedente, allontanandosi così dalle indicazioni dettate dalla sentenza n. 11504/2017.

Assegno di divorzio: bisogna valorizzare il contributo del coniuge debole

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La Cassazione con la sentenza n. 6519/2020 rigetta il ricorso, ritenendo tutte le prime sei doglianze sollevate inammissibili perché finalizzate a ottenere un giudizio sostitutivo rispetto a quello di merito, che si è concluso con una motivazione congrua e adeguata, che si sottrae quindi alle critiche del ricorrente.

Per quanto riguarda il settimo e ottavo motivo del ricorso, in cui il ricorrente lamenta il discostamento dai parametri sanciti dalla sentenza n. 11504/2017, che ha abbandonato il tenore di vita nella determinazione dell'assegno di divorzio, la Cassazione fa presente che la successiva SU n. 18287/2018 è intervenuta per dare una diversa lettura all'assegno di divorzio più coerente con il quadro costituzionale.

Da qui l'adozione del parametro perequativo-compensativo che discende dal principio di solidarietà e che deve tenere conto delle condizioni reddituali e patrimoniali di entrambi e del raggiungimento di un livello di reddito adeguato al contributo fornito alla realizzazione della vita familiare, senza ignorare le aspettative professionali sacrificate, in considerazione dell'età del richiedente e della durata del matrimonio.

Da qui l'affermazione, relativa all'art. 5 della legge n. 898/1970, del principio secondo cui "il riconoscimento dell'assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto."

Al richiedente si tenderà a riconoscere, in virtù di detto principio, un importo in grado di garantirgli una vita dignitosa e autonoma, che gli riconosca il sacrificio e quanto fatto durante il matrimonio. Proprio da questa logica si è mossa la decisione della Corte d'Appello. Essa ha abbandonato il criterio del tenore di vita, stante l'intolleranza di rendite parassitarie in presenza della giovane età del richiedente e della sua acclarata capacità lavorativa, per abbracciare un indirizzo che evita di punire il coniuge più debole economicamente, che è stato sposato per lungo tempo, che ha dedicato il proprio tempo alla famiglia, aumentandone le risorse economiche comuni con il lavoro dentro e fuori casa. Una valutazione di questo tipo è sicuramente la più aderente alla realtà del caso concreto.

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Carica pdf sentenza Cassazione n. 6519-2020

Foto: 123rf.com
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