di Annamaria Villafrate - Quando un lavoratore lamenta un danno da demansionamento e da dequalificazione, il giudice, nel riconoscere il risarcimento del danno professionale, biologico ed esistenziale, non può prescindere dall'allegazione specifica delle caratteristiche e della natura di questi danni, perché non si producono automaticamente. Questo quanto sancito dalla Cassazione, Sezione Lavoro, nell'ordinanza n. 6941/2020 (sotto allegata).
- Richiesta danni da demansionamento
- Il ricorso in Cassazione
- Il danno da demansionamento non è automatico
Richiesta danni da demansionamento
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Un dipendente conviene in giudizio la sua datrice di lavoro per essere reintegrato nelle mansioni di analista informatico ed essere risarcito per il danno professionale, esistenziale, biologico e morale subiti a causa del demansionamento.
Il lavoratore racconta di essere stato lasciato inoperoso per 56 mesi, durante i quali, per due mesi, gli sono state attribuite mansioni inferiori rispetto al suo livello d'inquadramento, che lo impegnavano per 3-4 giorni al mese. Racconta poi di essere già stato demansionato in passato e che in quell'occasione il Tribunale aveva condannato la datrice a reintegrarlo nelle mansioni originarie e a risarcirgli il relativo danno da demansionamento, ma che di fatto non era più stato assegnato alle funzioni superiori previste.
Il Tribunale di Roma accoglie la domanda risarcitoria, condannando la datrice a riparare i danni professionale e biologico patiti dal lavoratore per il protratto demansionamento. La Corte d'Appello invece, riformando in parte la sentenza, corregge un errore materiale e rigetta la richiesta risarcitoria per danno alla professionalità, mettendo in evidenza la genericità delle allegazioni del lavoratore relativamente alla quantità e qualità dell'esperienza lavorativa maturata e all'esito finale della qualificazione, anche in relazione alle asserite occasioni di lavoro perse durante il periodo oggetto di contestazione.
Il ricorso in Cassazione
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Il lavoratore ricorre quindi in Cassazione lamentando come nella memoria di costituzione di primo grado non vi fosse alcun riferimento alla carenza espositiva, in quanto ci si doleva della mancanza di allegazioni probatorie, non dell'assenza di allegazioni specifiche.
Con il secondo invece lamenta la violazione di diversi articoli del codice civile che prevedono disposizioni specifiche sulla responsabilità del debitore, sul risarcimento del danno e sul contratto di lavoro nell'impresa. Con il terzo infine censura l'omesso esame di un fatto decisivo.
Il danno da demansionamento non è automatico
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La Cassazione con l'ordinanza n. 6941/2020 rigetta il ricorso per le seguenti ragioni.
Per la Corte il primo motivo del ricorso è infondato perché la società ha contestato in realtà la mancata allegazione di fatti utili a dimostrare l'esistenza di un danno alla professionalità, per cui la Corte d'appello ha valutato correttamente il corredo probatorio del lavoratore.
Respinto anche il secondo motivo del ricorso perché il danno da demansionamento non si produce in automatico in caso d'inadempienza del datore di lavoro. Questo tipo di danno infatti può essere dimostrato dal dipendente ai sensi dell'art. 2729 c.c., allegando elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, come la qualità e quantità del lavoro svolto, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa dopo la dequalificazione, dai quali il giudice può desumere in via presuntiva la sua esistenza.
La Corte d'Appello quindi ha correttamente applicato i principi sanciti in materia probatoria. Da respingere anche l'ultimo motivo stante la mancata indicazione nel ricorso del fatto omesso e decisivo che la Corte avrebbe trascurato.
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