- Sanzioni disciplinari: i criteri ricordati dalla magistratura
- Il venir meno dell'interesse alla sanzione
- Il sindacato giurisdizionale
Sanzioni disciplinari: i criteri ricordati dalla magistratura
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Secondo il Tar Salerno (sentenza n. 1148/15 del 07.05.2015, confermata in appello dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 1134/2020 pubblicata il 13.02.2020, in un giudizio avente ad oggetto un ricorso per annullamento di una determina della Guardia di Finanza che aveva disposto a carico di un maresciallo la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, oltre all'annullamento degli atti correlati come il verbale con il quale la Commissione di disciplina aveva dichiarato il militare non meritevole di conservare il grado), l'amministrazione per fare questo è chiamata a valutare non tanto l'astratta natura del reato commesso, ma:
1) l'obiettiva gravita del reato,
2) l'allarme sociale provocato dal fatto,
3) gli indizi di pericolosità che lo hanno caratterizzato,
4) le pene accessorie,
5) le misure di sicurezza eventualmente adottate,
6) la loro entità,
7) la complessiva personalità del militare,
8) la successiva condotta del reo,
9) il suo recupero morale,
10) il tempo trascorso dalla commissione del reato.
Il venir meno dell'interesse alla sanzione
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Se è vero, prosegue la sentenza 1148/15 del Tar Salerno, che il procedimento disciplinare non può essere attivato prima della conclusione di quello penale, d'altra parte il lungo tempo trascorso determina il venir meno dell'interesse sociale (e di quello dell'amministrazione) alla sanzione.
Il sindacato giurisdizionale
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In tutto questo, Tar e Consiglio di Stato possono certamente intervenire e sindacare la proporzionalità della sanzione adottata, dal momento che la proporzionalità in materia sanzionatoria è un principio generale di giustizia sostanziale, in quanto deve sempre sussistere una proporzione tra fatto contestato e misura della sanzione inflitta.
La necessità di operare un'attenta graduazione sanzionatoria, assumendo a parametro di riferimento la gravità del fatto ma anche la complessiva personalità del militare, quale si evince anche dal comportamento tenuto successivamente al fatto contestato, è stata confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4232/14.
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