- Bracciante contesta l'isolamento e la quarantena Covid19
- I motivi di appello al Consiglio di Stato
- La salute pubblica prevale sul diritto al lavoro nel campi
Bracciante contesta l'isolamento e la quarantena Covid19
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Un bracciante si rivolge al Consiglio di Stato per chiedere la riforma del provvedimento del Tar relativo all'ordine di quarantena obbligatoria con sorveglianza sanitaria e isolamento presso la propria residenza. All'appellante, bracciante agricolo, è stato infatti notificato dal Sindaco del Comune l'ordine di quarantena con isolamento domiciliare fino al 3 aprile 2020 "per violazione dell'ordinanza n. 12/2020 del Presidente della Regione Calabria."
I motivi di appello al Consiglio di Stato
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Il bracciante censura il provvedimento perché:
- non è positivo al virus;
- non ha avuto contatti recenti con persone contagiate; - non opera in un settore rientrante tra quelli preclusi dai provvedimenti in vigore;
- lamenta il rischio del licenziamento;
- si duole per l'impossibilità di compiere le attività di stretta necessità quotidiana;
- e dichiara di non essere a conoscenza delle ragioni per le quali gli sia stato imposto l'obbligo di quarantena domiciliare, mancando il documento che lo dispone.
La salute pubblica prevale sul diritto al lavoro nel campi
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Il Consiglio di Stato con decreto n. 1553/2020 dichiara l'appello ammissibile, ma respinge l'istanza cautelare. L'appello infatti, per il Consiglio di Stato, è ammissibile ogni qualvolta il provvedimento del Tar produca la definitiva e irreversibile perdita del bene della vita preteso, che deve corrispondere a un interesse costituzionalmente garantito. Con l'appello il ricorrente lamenta l'impossibilità, per il tempo ormai residuo di 4 giorni del decreto, di recarsi al lavoro per evitare il licenziamento
e di poter uscire per l'acquisito dei beni di prima necessità. Indubbio quindi che la pretesa vada ad incidere su diritti costituzionalmente garantiti, ragione per cui l'appello è ammissibile. Per accogliere l'istanza cautelare però occorre verificare la consistenza del fumus bonis iuris, (ovvero il possibile riconoscimento della fondatezza della pretesa anche nelle successive fasi del giudizio) e che il danno lamentato sia grave e irreparabile. Proprio in ordine a quest'ultimo punto il Consiglio di Stato ne rileva l'inesistenza in quanto:- il provvedimento del Sindaco e del Presidente della Regione sono stati adottati nel rispetto di criteri e disposizioni legislative nazionali e delle diverse situazioni di contagio delle Regioni;
- dette disposizioni normative sono state assunte a causa del pericolo grave e imminente di un trasferimento massivo di persone e di contagi dalle Regioni più colpite a quelle del mezzogiorno, che hanno reso necessario adottare provvedimenti ancora più restrittivi.
- La compressione di diritti fondamentali come quello al movimento, al lavoro e alla privacy sono stati imposti per tutelare un bene primario di rango costituzionale, ovvero la salute pubblica di tutti i cittadini, messa in pericolo da comportamenti individuali potenzialmente idonei a diffondere il contagio.
- La gravità del danno individuale in questo caso non può derogare alla normativa prevista per tutelare la salute dell'intera collettività.
- Il Consiglio di Stato rileva che in ogni caso le conseguenze dannose per l'appellante non sono irreversibili, visto che ci saranno nuovi provvedimenti per fronteggiare il "dopo pandenmia", per non parlare delle misure intraprese nel frattempo per tutelare il lavoro, come la cassa integrazione e le quelle adottate dai comuni per fare fronte ai bisogni alimentari e a quelli di prima necessità.
- Si rileva infine che il periodo di quarantena per l'appellante avrà fine tra 4 giorni e in sede di merito si potrà valutate la fondatezza di un'eventuale richiesta risarcitoria per la mancata retribuzione, a meno che tale pregiudizio non venga riparato da apposita normativa.
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Vedi allegato• Foto: 123rf.com