- Confisca sacramentario detenuto dalla biblioteca di New York
- Confisca non opera nei confronti del terzo in buona fede?
- Da confiscare il bene culturale perché si presume di proprietà statale
Confisca sacramentario detenuto dalla biblioteca di New York
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Il Gip del Tribunale, in veste di giudice dell'esecuzione emette un'ordinanza, su opposizione del Procuratore della Repubblica, al provvedimento di rigetto adottato con contestuale decreto di archiviazione per i reati di cui agli artt. 624 (furto), 625 (circostanze aggravanti), 648 c.p (ricettazione) e art. 174 (uscita o esportazione illecita) del dlgs. n. 42/2004 commesso da ignoti, con cui dispone la confisca di un codice medievale, il Sacramento di San Domenico Loricato, detenuto dalla Biblioteca di New York.
Confisca non opera nei confronti del terzo in buona fede?
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La biblioteca ricorre in Cassazione avverso l'ordinanza del Gip, sollevando ben 6 motivi di doglianza. Con il primo lamenta l'inosservanza e l'erronea applicazione di diverse norme perché la confisca non opera nel momento in cui il bene appartiene a un terzo estraneo al reato. Con il secondo lamenta la nullità dell'ordinanza impugnata in relazione alla prova diabolica gravante sul terzo. Con il terzo deduce l'illogicità dell'ordinanza perché la malafede della biblioteca detentrice è stata dedotta in assenza di documentazione attestante l'acquisto dell'opera.
Con il quarto deduce la nullità dell'ordinanza per violazione del diritto di difesa contemplato dall'art. 24 della Costituzione
e per la richiesta alla detentrice di un'inammissibile prova diabolica sulle proprietà regresse all'infinito per dimostrare la propria buona fede ed estraneità all'acquisto del codice. La biblioteca fa presente che la confisca non opera nei confronti del terzo che dimostra di aver acquistato in buona fede la res, ignorandone la provenienza illecita, esattamente come verificatosi nel caso di specie, avendo ricevuto l'opera in donazione, senza che da questo gesto potessero in alcun modo desumersi elementi di sospetto. Con il quinto deduce la nullità dell'ordinanza nel punto in cui ha disposto la confisca dell'opera, in assenza di una pronuncia di condanna e in ogni caso del necessario accertamento dell'integrazione del reato. Con il sesto infine eccepisce la nullità dell'ordinanza per error in procedendo, per contrasto con il precedente decreto di rigetto della confisca. L'ordinanza infatti ha mutato decisione anche se il quadro storico probatorio è rimasto immutato.Da confiscare il bene culturale perché si presume di proprietà statale
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La Cassazione, con sentenza n. 11269/2020 rigetta il ricorso, dichiarando prima di tutto inammissibili il quinto e il sesto motivo del ricorso, pregiudiziali ai restanti. Per quanto riguarda il quinto la Corte precisa che quanto sostenuto dalla ricorrente, secondo la quale la confisca disposta è illegittima perché operata senza una pronuncia di condanna, contrasta con la giurisprudenza della Corte di legittimità che ha riconosciuto la possibilità di disporre la confisca obbligatoria anche con il decreto di archiviazione disposto per cause che, come nel caso di specie, non hanno a che fare con la sussistenza del fatto ed al rapporto con l'autore dello stesso, tanto più in quanto, in caso di illecito trasferimento all'estero di cose di interesse storico o artistico, la confisca prevista dall'art. 174 del dlgs n. 42 del 2004, deve essere obbligatoriamente disposta, salvo che la cosa appartenga a persona estranea al reato, anche se il privato non è responsabile dell'illecito o comunque non ha riportato condanna perché trattasi di misura recuperatoria amministrativa la cui applicazione è rimessa al giudice penale, a prescindere dall'accertamento di una responsabilità penale.
Infondata poi la tesi difensiva contenuta nel sesto motivo del ricorso secondo cui l'oggetto del giudizio di opposizione risulta immutato rispetto a quello che si è concluso con il rigetto della richiesta di confisca, ragion per cui nessuna valutazione diversa sarebbe consentita al giudice, pena la violazione del ne bis in idem. Una tale pretesa condurrebbe a negare la ragione dell'esistenza dei mezzi di gravame. Il ne bis in idem infatti non vieta di poter addivenire a risultati diversi per gli stessi fatti, ma che una volta esperiti tutti i gradi del giudizio se ne possa iniziare uno nuovo e diverso su cui ci si è già pronunciati in modo definitivo. Per quanto riguarda i restanti motivi, la Corte dichiara il primo inammissibile perché si fonda sulla pretesa astratta affermazione secondo cui i beni culturali non possano appartenere a dei soggetti privati, mentre a rilevare e ad essere dirimente per escludere la confisca, è piuttosto il fatto che i beni culturali appartengano a un terzo estraneo al reato.
Il secondo, il terzo e il quarto motivo infine, anch'essi infondati, vengono esaminati congiuntamente perché connessi. La Corte precisa prima di tutto che il bene di cui è causa è indubbiamente un bene culturale, rispetto al quale esiste una presunzione di proprietà statale. Detto questo non può considerarsi estraneo al reato chi ha posto in essere un contributo di partecipazione o di concorso e chi ha tratto vantaggi o utilità dalla commissione dello stesso, ferma restando la buona fede del terzo da intendersi come "non conoscibilità, con l'uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, del rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dal reato commesso." Da qui l'onere del terzo di provare i fatti costitutivi della pretesa fatta valere sulla cosa confiscata, concorrenti a integrare sia la condizione di appartenenza che di estraneità del reato, da cui dipende il limite di operatività della confisca da parte dello Stato. Onere di dimostrare l'affidamento incolpevole "ingenerato da una situazione di apparenza che rendeva scusabile l'ignoranza o il difetto di diligenza."
Corretta quindi la motivazione dell'ordinanza visto che il codice, grazie a una donazione, e dopo tutta una serie di passaggi, è giunto alla Biblioteca di New York, la cui buona fede è basata solo sulla reputazione del soggetto donante e non su elementi dai quali risulta una pregressa e legittima acquisizione. Mancano infatti documenti in grado di dimostrare tutti i passaggi intermedi del bene così come solo riferiti nelle memorie. Del resto la natura del bene, contrariamente a quanto sostenuto dalla Biblioteca, impone verifiche particolarmente vessatorie per ritenere opponibile la buona fede dell'acquisizione allo Stato italiano.
Scarica pdf sentenza Cassazione n. 11269-2020• Foto: 123rf.com