Talché, qui, in questa puntata n. 15 di «Frammenti», si parlerà di qualche storiella minima.
Minima sì, ma per palati forti.
Le Short Stories di Studio Cataldi - puntata n. 15
- In portineria con Josiane Balasko nel capolavoro di Mona Achache
- L'arte del riordino dei libri con Hermann Hesse, Jesus Marchamalo e Marie Kondo
- Piano di lavoro per una tesi con Umberto Eco
In portineria con Josiane Balasko nel capolavoro di Mona Achache
Vivere con i libri, immerso nel mio forziere di carta, è il mio sogno alla Paperon de' Paperoni.
L'unico bene materiale al quale sono veramente legato, come mi conferma questo periodo di segregazione da COVID-19.
Emozionante il personaggio della portiera parigina Renée Michelle del film della giovane, bravissima regista Mona Achache, «Il Riccio», girato nel 2009; l'attrice è Josiane Balasko, figlia di immigrati slavi.
Il film è altamente consigliabile: dolcissimo, raffinato come solo i francesi li sanno fare e di acceso lirismo; si tratta della trasposizione (non senza strascichi polemici tra proprietà letteraria e produzione cinematografica) del romanzo di Muriel Barbery, «L'eleganza del riccio».
Nel sontuoso palazzo di cinque piani, con un ascensore che sovente si rompe, abitato dalla migliore borghesia di Parigi, la 54enne portiera Renée, inizialmente trasandata, vive con un gatto, un pesciolino ciprinide, estratto ancora vivo - come una fiaba - dal w.c., e...
Un segreto! Il suo straordinario amore per i libri e per la lettura.
Al punto che la portineria di Renée diverrà la tana preferita, il luogo sospeso, in cui si rifugia la ragazzina Paloma, voce narrante del film, che assiste con partecipe complicità all'approccio di amorosi sensi del gentiluomo nipponico, Kakuro Ozu, interpretato da Togo Igawa, affascinato dalla concergie.
Peccato per l'epilogo cruento: mentre cerca di salvare dai pericolo della strada un tipo strambo che viveva sulla via da clochard, la colta portiera viene travolta dal furgoncino della lavanderia e muore sul colpo.
L'arte del riordino dei libri con Hermann Hesse, Jesus Marchamalo e Marie Kondo
L'impietosità di Marie Kondo, giapponese esperta nell'arte del riordino, si rispecchia nella desolante intitolazione di pag. 122: «Organizzare le carte: la regola d'oro è buttare via tutto».
Il sontuoso libro è «Il magico potere del riordino», ed. Vallardi, 2014, e contiene l'onesta e vagamente autolesionistica affermazione «anche questo che state leggendo ora non fa eccezione. Se maneggiandolo non vi dirà nulla, voglio che lo buttiate via senza remore».
Vado alla campana della carta?
Il mio problema è che - di libri - ne ho una quantità immensa; durante l'ondata sismica dell'ottobre 2016, messe in salvo le persone sulla costa dell'Adriatico, il timore era di perderli.
Qualcuno del nutrito gruppo riportò delle significative fratture, altri semplici lesioni.
Costituirono un pavimento di libri sparsi a terra: una visione al contempo terrificante e meravigliosa.
Vennero, poi, da me amorevolmente soccorsi non appena si poté fare rientro in sicurezza.
Hermann Hesse ad un certo punto della sua esistenza prese «la decisione drammatica di tenere in casa solo un certo numero di libri e non di più: ogni nuovo libro che entrava nella sua biblioteca forzava un altro ad uscirne».
Lo ricorda Jesus Marchamalo in «Toccare i libri», ed. Ponte alle Grazie, 2010; si tratta di un giornalista radiotelevisivo madrileno nato nel 1960.
Una tesi ch'è cinismo puro e mi fa accapponare la pelle al solo pensiero.
«Per rendere più sopportabile quella pratica, Hesse ideò quattro domande che gli permettessero di decidere senza troppi rimorsi, in maniera scientifica, quali fossero i libri imprescindibili e quali no».
Vediamo un po', già mi sento male al pensiero.
«Hai bisogno di questo libro? Lo vuoi? Sei sicuro che lo leggerai ancora? Ti dispiacerebbe molto perderlo?».
La soluzione è, quindi: «Una sola risposta affermativa bastava a garantire la salvezza, altrimenti la condanna si abbatteva inesorabile».
Piano di lavoro per una tesi di laurea con Umberto Eco
Dalla tesi cinica di Marie Kondo alla tesi universitaria concepita come una partita a scacchi: le prime mosse sono titolo, indice e introduzione.
Proprio come (casualmente?) avviene in questa Rivista telematica, in un leggendario saggio il grande vate alessandrino Umberto Eco si interroga: «ma chi ha detto che l'indice vada alla fine? In certi libri è all'inizio, in modo che il lettore possa farsi subito un'idea di quel che troverà leggendo».
All'obiezione che, cammin facendo, vale a dire proseguendo nel lavoro di elaborazione della tesi l'indice «sarà costretto a ristrutturarsi più volte e magari ad assumere una forma del tutto diversa», la replica di Eco è secca e categorica.
«Vuol dire che - per serissime ragioni - avrete cambiato tragitto a metà viaggio. Ma è quel tragitto che avete modificato, non nessun tragitto».
Formidabile la parte in cui Eco spiega la struttura ad albero dell'indice, che procede per diramazioni varie, proprio come i rami.
E, poi, il grande Maestro spiega come va indicata la bibliografia, come vanno segnalati gli autori per nome e cognome e quella enorme cretinata di specificare solo il luogo di pubblicazione e non l'editore: "è odioso dire dove un libro è stato pubblicato e non dire da chi". Milano, 1975, Paris, 1976, ma di quale editore è, "dove andate a scrivere?".
Per questa e per tantissime altre ragioni se non avete mai letto «Come si fa una tesi di laurea», ed. Bompiani, 1977/2012, è questo il momento opportuno perché merita di entrare subito a far parte del vostro patrimonio di libri, da non disperdere mai, come curiosamente sostiene anche il Talmud.