Il risarcimento per l' ingiusta detenzione patita? Non si riduce se chi ha subito la carcerazione illegittima ha un nome, per cosi' dire, 'malfamato'. Parola della Corte di Cassazione, che ha annullato la decisione presa dalla Corte d'appello di Milano nei confronti di un giovane che si era visto liquidare una somma molto piu' bassa rispetto a quella rivendicata (58 mila euro a fronte dei 200 mila richiesti) come riparazione per l'ingiusta detenzione sofferta dal gennaio del '98 al luglio del '99 per il reato di violenza sessuale. Secondo i giudici di merito, l'imputato, avendo un cognome materno portato da diversi pregiudicati, aveva diritto ad un risarcimento minore visto che, proprio per il nome, non aveva subito un grave 'discredito sociale'. Ragionamento bocciato dalla Suprema Corte che, nella sentenza 38005, ha sottolineato come questo tipo di ragionamento non sia 'logico perche' attribuisce alla persona una tutela del suo decoro non in base alla sua personale situazione, ma in base all'appartenenza familiare o sociale'. Rinviando il caso alla Corte d'Appello di Milano, la Cassazione ricorda che il giudice di merito doveva 'invece considerare se proprio in considerazione all'appartenenza familiare il discredito conseguente alla misura custodiale non aggravasse il coinvolgimento della personalita' dell'istante nel pubblico disdoro riservato ad altri membri della sua famiglia'.
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