di Annamaria Villafrate - La Cassazione con la sentenza n. 7748/2020 (sotto allegata) chiarisce che il danno morale sofferto dal prossimo congiunto di una persona lesa in modo non lieve a causa di un sinistro stradale, può essere provato a mezzo presunzioni. Presunzioni tra le quali assume un rilievo primario proprio il rapporto di parentela stretta tra i congiunti e la vittima. Errato parlare per i congiunti di un danno riflesso. Trattasi infatti di un danno diretto e in quanto tale non si può chiedere una prova più rigorosa del danno patito chiedendo loro di dimostrare uno "sconvolgimento delle abitudini di vita."
- Sinistro stradale e danni del terzo trasportato e dei congiunti
- Mancato riconoscimento del danno non patrimoniale
- Per provare il danno dei congiunti bastano le presunzioni
Sinistro stradale e danni del terzo trasportato e dei congiunti
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Nel corso di un sinistro stradale perde la vita il conducente di un motociclo, causato anche da un altro veicolo. Al momento dello scontro sul motociclo è presente un terzo trasportato, che riporta a causa dello sconto lesioni gravi.
Il Giudice di primo grado attribuisce il 70% di responsabilità al conducente del veicolo e il 30% a quello del motoveicolo. Al terzo trasportato viene riconosciuta una responsabilità del 10% per i danni riportati e una somma a titolo risarcitorio, così come ai suoi congiunti per danni riflessi.
La sentenza viene impugnata con atti autonomi dalla compagnia assicurativa del veicolo, dal terzo e dai suoi congiunti. Il giudice dell'impugnazione però nega il risarcimento ai congiunti del terzo e al trasportato stesso, rimasto gravemente ferito, perché ritiene non provato il danno alla capacità lavorativa, dichiarando quello morale compreso nel biologico.
Mancato riconoscimento del danno non patrimoniale
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Ricorrono in sede di legittimità con ricorso principale il terzo trasportato e i suoi congiunti e con ricorso incidentale gli eredi del defunto. Nel ricorso principale i ricorrenti sollevano tre diversi motivi di ricorso.
- Con il primo lamentano il mancato riconoscimento del danno non patrimoniale in capo ai congiunti per le lesioni subite dalla vittima, terzo trasportato. La corte d'appello lo ha negato perché nel caso di specie, l'evento non ha provocato il totale sconvolgimento delle abitudini di vita del nucleo familiare.
- Con il secondo la vittima primaria lamenta il mancato riconoscimento del danno morale e della capacità lavorativa, lamentando un'erronea interpretazione della norma che disciplina l'onere probatorio richiesto per queste voci.
- Con il terzo si lamenta la contraddittorietà e insufficienza della motivazione sull'accertamento che ha portato ad attribuire al trasportato una responsabilità del 10% per i danni riportati, secondo la Corte d'Appello, evitabili se avesse indossato il casco.
Tralasciando il ricorso incidentale, vediamo che cosa hanno deciso gli Ermellini sui punti sollevati dal terzo trasportato e dai suoi congiunti.
Per provare il danno dei congiunti bastano le presunzioni
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La Corte di Cassazione accoglie solo il primo motivo del ricorso principale, ritenendo inammissibili gli altri due. Gli Ermellini ribadiscono infatti che: "Il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall'altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva ed in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta."
Erra quindi la Corte d'Appello nella premessa, perché ai fini del riconoscimento del danno morale ai congiunti non occorre che essi subiscano il "totale sconvolgimento delle abitudini di vita". Da una lesione subita dalla vittima principale i congiunti possono riportare sia un danno morale, senza che questo richieda alcun sconvolgimento delle abitudini di vita, che un danno biologico, ovvero una malattia, senza che, anche in questo caso, si debba esigere un'alterazione della vita di tutti i giorni.
La Corte evidenzia come il danno invocato dai congiunti è iure proprio e quindi diretto. Improprio parlare di danno riflesso, più corretto definire il fatto come plurioffensivo. Ne consegue che non si può richiedere a questi soggetti una prova più rigorosa del danno, bastando quella presuntiva, tra le quali assume rilievo il rapporto di stretta parentela (nella fattispecie, genitori e fratelli) tra la vittima in primis, per cosi dire, e i suoi congiunti. Il rapporto di stretta parentela esistente fa presumere, secondo un criterio di normalità sociale (ossia ciò che solitamente accade) che genitori e fratelli soffrano per le gravissime permanenti lesioni riportate dal congiunto prossimo.
Non è necessario che chi lamenta il danno morale per le lesioni non lievi del congiunto debba provare uno sconvolgimento delle abitudini di vita. Si tratta infatti di effetti estranei al danno morale, che si identifica piuttosto con il patema, la perturbazione dello stato d'animo e la sofferenza interiore.
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