di Annamaria Villafrate - La Cassazione n. 12976/2020 (sotto allegata) annulla e rinvia la sentenza impugnata da una madre, ritenuta responsabile del reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, per non adempiuto alla decisione del Presidente del Tribunale dei Minori che aveva fissato incontri protetti della figlia con il padre. La donna è stata accusata di non aver portato la figlia, per diversi mesi, agli incontri con il padre, sospesi in realtà su richiesta dei servizi sociali a causa degli atteggiamenti aggressivi dell'uomo nei confronti della ex e della minore. L'inadempimento della donna non integra la condotta elusiva richiesta dalla norma, che richiede una malafede. La stessa si è infatti solo attenuta alle decisioni dei servizi sociali, che la Corte d'Appello ha erroneamente ignorato, ritenendola solo non punibile per tenuità del fatto.
- Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice
- Difficoltà di tenere incontri tra padre e figlia
- Niente reato per la madre che non porta la figlia agli incontri col padre aggressivo
Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice
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La Corte d'Appello riforma in parte la sentenza di primo grado, che ha condannato una madre alla pena di due mesi di reclusione e al risarcimento danni della persona offesa per la mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, dichiarandola però non punibile per tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131 bis c.p. L'imputata secondo la Corte d'Appello, non ha rispettato i provvedimenti del Presidente del Tribunale dei Minori, rifiutandosi di portare la figlia agli incontri protetti con il padre presso i servizi sociali.
Difficoltà di tenere incontri tra padre e figlia
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L'imputata ricorre in Cassazione a mezzo difensore, sollevando in particolare, con il terzo motivo del ricorso violazione di legge e vizi di motivazione della sentenza sulla penale responsabilità della donna. La Corte non ha infatti esaminato le ragioni che hanno spinto l'imputata a non rispettare la decisione del Presidente del Tribunale dei minori. La donna infatti ha rifiutato di portare la figlia agli incontri perché per diversi messi gli stessi erano stati sospesi per volere dei servizi sociali. Un'assistente sociale si era infatti rivolta al Tribunale dei minori presentando una relazione in cui illustrava le difficoltà di tenere detti incontri a causa dell'aggressività dell'uomo nei confronti dell'imputata e della figlia.
La difesa lamenta la mancata acquisizione delle istanze istruttorie richieste con urgenza riferite ai fatti sopra riportati e con il quarto motivo solleva analoghe violazioni, come la mancata acquisizione del verbale di s.i.t e il mancato ascolto di un'assistente sociale.
Niente reato per la madre che non porta la figlia agli incontri col padre aggressivo
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La Cassazione con la sentenza n. 12976/2020 annulla con rinvio il provvedimento impugnato. Il giudice, nella piena libertà del relativo apprezzamento di merito, dovrà attenersi ai principi sanciti nella motivazione, così come si va ad illustrare.
Gli Ermellini ritengono infatti fondate le doglianze esposte dal difensore dell'imputata, precisando che, affinché si configuri il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, di cui all'art. 388 c.p, il concetto di elusione non è equiparabile a quello di inadempimento. Affinché ci sia elusione è necessario infatti "che il genitore affidatario sottragga, con atti fraudolenti o simulati, all'adempimento del suo obbligo di consentire le visite del genitore non affidatario, ostacolandone, appunto, attraverso comportamenti implicanti un inadempimento in mala fede e non riconducibile ad una mera inosservanza dell'obbligo."
Sulla condotta dell'imputata la Corte non ha tenuto conto degli elementi a discarico della donna risultanti dalle prove documentali e orali esposte dalla difesa, come le dichiarazioni testimoniali dell'assistente sociale e della psicologa del consultorio, le relazioni delle stesse e la sentenza irrevocabile di condanna emessa dal Tribunale nei confronti del padre per i reati di minaccia e ingiuria commessi in danno della donna.
Ha quindi errato la Corte nell'ignorare le richieste della difesa per dimostrare l'inesistenza degli elementi costitutivi del reato. La stessa avrebbe infatti dovuto accertare "ogni circostanza del caso concreto al fine di verificare se l'alternativa spiegazione ivi prospettata dall'odierna ricorrente fosse o meno fondata."
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