di Annamaria Villafrate - La Cassazione n. 13156/2020 (sotto allegata) chiarisce che non integra il reato di minaccia a pubblico ufficiale previsto dall'art. 336 c.p. richiedere con toni risentiti un atto non dovuto, "minacciando" d'intraprendere una denuncia per danni.
- Reato di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale
- Prospettazione di denuncia non costituisce minaccia
- Minacciare un pubblico ufficiale di denunciarlo per danni non integra reato
Reato di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale
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La Corte d'Appello riforma la sentenza assolutoria di primo grado e condanna l'imputato per il reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale. All'imputato si contesta di avere minacciato ripetutamente un veterinario della Asl di sporgere una denuncia per danni, per ottenere un certificato d'idoneità all'alimentazione umana di un bovino, macellato senza rispettare le norme di legge in materia.
Prospettazione di denuncia non costituisce minaccia
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L'imputato ricorre in sede di legittimità, lamentando con il primo motivo il ribaltamento della pronuncia assolutoria, senza rinnovare le prove dichiarative, in violazione dell'art. 603 bis c.p.p.
Con il secondo invece contesta l'aver ritenuto integrato il reato di minaccia di pubblico ufficiale in quanto la giurisprudenza di legittimità ritiene che "la prospettazione di una denuncia all'autorità giudiziaria non costituisca in sé minaccia od oltraggio tanto più quando si accompagni alla specificazione dell'oggetto e sia espressa in termini civili benché risentiti."
Minacciare un pubblico ufficiale di denunciarlo per danni non integra reato
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La Cassazione, accogliendo il ricorso ritiene in effetti che la condotta dell'imputato non integri il delitto di minaccia a pubblico ufficiale.
"L'idoneità della minaccia deve essere valutata ex ante, tenendo conto delle circostanze oggettive e soggettive del fatto e dovendosi avere riguardo alla potenzialità costrittiva del male ingiusto prospettato; a nulla rileva, invece, che, in concreto, i destinatari non siano stati intimiditi, né che il male minacciato non si sia realizzato o non sia realizzabile, a meno che, in quest'ultima ipotesi, ciò valga a privare la minaccia di qualsiasi parvenza di serietà."
Nel caso di specie pare dubbia l'idoneità costrittiva sul pubblico ufficiale, poiché l'imputato si è limitato a "denunciarlo per danni", ossia a intraprendere nei suoi confronti un'azione risarcitoria civile. La consapevolezza dell'illegalità dell'atto richiesto al veterinario da parte dell'imputato, su cui la Corte d'Appello ha fondato la sua decisione di colpevolezza, non riveste, per le modalità con cui si sono svolti i fatti "alcuna capacità costrittiva della libertà di determinazione e di azione dell'agente pubblico (...)". La sentenza quindi deve essere annullata senza rinvio.
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Scarica sentenza Cassazione n. 13156/2020• Foto: 123rf.com