Scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose: come le associazioni criminali riescono ad infiltrarsi all'interno degli apparati statali

Scioglimento amministrazioni locali

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Il 1991 è stato definito un anno importantissimo, perché, in seguito alle stragi verificatesi, a partire da quella di Taurianova del 3 maggio, lo Stato decise di intervenire creando una normativa che permettesse lo scioglimento delle amministrazioni locali contaminate dalla mafia. È così che fu sottoscritto il D.l.n.164/1991. Lo scioglimento di un ente comunale si può ottenere solo se dalle indagini emergano non semplici elementi generici, ma concreti, univoci e soprattutto rilevanti, che facciano emergere collegamenti di natura sia diretta che indiretta con le associazioni mafiose, da parte degli amministratori degli enti locali.

La nascita della procedura di scioglimento

Lo scioglimento delle amministrazioni locali collegato al fenomeno delle infiltrazioni mafiose, fu introdotto nel nostro ordinamento nel lontano 1991, con il D.l. n.164/1991, durante un particolare momento storico, in cui lo Stato italiano si trovava a lottare contro la minaccia della criminalità organizzata.

Nel corso degli anni, la legge sopra menzionata è stata soggetta a numerose modifiche. Attualmente lo scioglimento è disciplinato dagli articoli dal 143 al 146 del T.U.E.L., con collegato D.lgs. n. 267/2000.

Secondo quanto riportato all'interno dell'art. 143 del T.U.E.L., lo scioglimento dei consigli comunali può essere disposto nell'ipotesi in cui

"emergano" concreti, univoci e rilevanti elementi sia su collegamenti diretti che indiretti con la criminalità organizzata di stampo mafioso degli amministratori che lavorano presso l'ente locale (sindaci, presidenti delle province o comunità montane), ovvero su forme di condizionamento degli stessi.

Questi condizionamenti devono essere tali da andare a generare un'alterazione del procedimento di formazione della volontà sia degli organi elettivi, che amministrativi e devono risultare talmente gravi da andare a compromettere il buon andamento o l'imparzialità delle amministrazioni comunali, nonché il regolare funzionamento dei servizi che ad esse sono affidati, ovvero risultare tali da andare ad arrecare un grave e perdurante pregiudizio per lo stato dell'ordine pubblico.

Secondo la giurisprudenza, lo scioglimento dell'organo elettivo non mira ad avere finalità repressive nei confronti dei singoli. Esso ha, invece, il preciso scopo di salvaguardare l'amministrazione pubblica (C. Stato, VI 13 maggio 2010 n.2957), e si connota come misura avente un carattere straordinario che ha il preciso scopo di fronteggiare un'emergenza straordinaria (Corte Cost., 19 marzo 1992, n.103; C. Stato, VI 10 marzo 2011, n.1547).

Affinché venga sciolto un consiglio comunale, devono essere posti in essere degli elementi tali da rendere plausibile il "condizionamento degli amministratori".

Bisogna specificare che il compimento, da parte dell'amministrazione comunale, di atti illegittimi, non è sufficiente a determinare lo scioglimento dell'ente, in quanto è necessario un quid pluris, che deve consistere in una condotta attiva od omissiva, condizionata dall'ombra della criminalità organizzata anche se subita.

Per aversi lo scioglimento di un ente comunale, è necessario che, dalle indagini, emergano non elementi generici, ma concreti, univoci e soprattutto rilevanti, su collegamenti di natura sia diretta che indiretta con le consorterie criminali, da parte egli amministratori degli enti locali.

Condizioni e procedura dello scioglimento dei consigli comunali

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In base all'art. 143 T.U.E.L. lo scioglimento è disposto mediante la firma del Presidente della Repubblica (e viene nell'immediato comunicato al Parlamento e pubblicato in Gazzetta Ufficiale), su proposta del Ministro dell'Interno, previa delibera del Consiglio dei Ministri. Il tutto avviene al termine di un complesso procedimento di accertamento che viene effettuato ad opera del Prefetto (competente per territorio), mediante un'apposita commissione di indagine. Il passaggio sopra descritto non risulta necessario nel caso in cui emergano elementi certi nel corso delle indagini, svolte dall'autorità giudiziaria.

La condizione dello scioglimento consiste nell'esistenza di determinati elementi che devono essere: concreti, univoci e soprattutto rilevanti su collegamenti (diretti ed indiretti) con la malavita organizzata degli amministratori locali, che hanno subito forme di condizionamento da parte degli stessi.

Questi condizionamenti devono essere tali da andare a generare un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi amministrativi, e da andare a compromettere l'imparzialità delle amministrazioni, sia comunali che provinciali, incidendo su di esse in modo negativo.

La l. n. 94/2000, all'art. 2, comma 30, ha apportato alcune modifiche. Attualmente sono richieste condizioni più stringenti per decretare lo scioglimento di un ente locale rispetto al passato. Originariamente, la disposizione era molto più generica, perché faceva riferimento a "elementi" espressione di "collegamenti" di natura diretta o indiretta degli amministratori alla mafia.

L'art. 143, comma 11 T.U.E.L., prevede che si possa procedere allo scioglimento per infiltrazione ad opera della criminalità organizzata anche se si verifica in caso di precedente decreto di scioglimento per le fattispecie che troviamo all'interno dell' art.141.

L'atto sopra citato viene definito come un atto di natura amministrativa, caratterizzato da un'ampia discrezionalità. Per giungere all'atto di scioglimento, non è necessario che siano stati commessi i reati perseguibili penalmente; è sufficiente che, dalle indagini svolte, emergano possibili soggezioni degli amministratori locali verso la criminalità organizzata.

La Commissione che va ad indagare deve meticolosamente documentare passo dopo passo tutte le incongruenze e le alterazioni rinvenute che fanno emergere in modo concreto e al di là di ogni confutabile dubbio che vi sia realmente una collusione tra soggetti appartenenti ad una Pubblica Amministrazione e le consorterie criminali.

Altra figura rilevante è quella del Commissario Straordinario, che viene nominato mediante un decreto in cui gli vengono conferiti tutti i poteri degli Organi di governo locali (Sindaco, Consiglio e Giunta), fino al rinnovo delle consultazioni che verranno svolte nel primo turno elettorale

Lo scioglimento oggetto del nostro studio è quello dei Consigli comunali, previsto dall'art.143 T.U.E.L., che serve come strumento di prevenzione dei fenomeni di infiltrazione della criminalità organizzata all'interno del tessuto politico-amministrativo e sociale dell'Ente Locale che viene colpito.

Rispetto al passato, attualmente sono richieste condizioni più stringenti per decretare lo scioglimento di un Ente Locale.

In origine, la disposizione era molto più generica, perché faceva riferimento soltanto a "elementi" che erano espressione di "collegamenti" di natura diretta od indiretta degli amministratori, i quali intrattenevano rapporti con la malavita organizzata.

Col tempo, e man mano che nei vari comuni italiani si scoprivano i vari giochi di potere operati dalla mafia, si è arrivati ad ampliare e a rendere la normativa sugli scioglimenti più specifica e mirata.

Il procedimento di scioglimento e i suoi presupposti

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Un ruolo fondamentale, all'interno della proceduta di scioglimento, è rivestito non solo dal prefetto, ma anche dalla commissione d'indagine, che ha il difficile compito di accertare se effettivamente all'interno del comune oggetto della sua indagine siano stati posti in essere dei comportamenti illeciti che hanno causato lo scorretto funzionamento dell'ente.

Al fine di accertare se effettivamente sussistano tentativi di infiltrazione ad opera della mafia all'interno dell'Ente Locale, l'art. 143 T.U.E.L. va a contemplare un articolato procedimento.

In primis il procedimento prevede la nomina, da parte dell'Ufficio Prefettizio competente, di un'apposita commissione d'indagine per mezzo della quale esercitare sia i poteri di accesso che di accertamento di cui la Commissione è titolare, per mezzo della delega fornitagli dal Ministero dell'Interno ai sensi dell'art.2, comma 2-quater, del d.l.n.345/1991.

La Commissione ha il compito, entro lo scadere del termine di tre mesi (che in alcuni casi possono essere prorogati) dalla data di accesso, di sottoscrivere una relazione conclusiva.

La relazione deve riguardare la sussistenza di particolari elementi, che devono essere idonei, concreti, univoci e soprattutto rilevanti (ai fini dell'indagine), su collegamenti che possono essere, come già abbiamo detto nelle pagine precedenti, diretti o indiretti con le organizzazioni malavitose.

Questi collegamenti devono essere tali da far pensare all'esistenza di tentativi di infiltrazione da parte della mafia, tali da andare a generare una forma d'alterazione del procedimento di formazione della volontà sia degli organi elettivi che amministrativi, e tali da andare a compromettere il buon andamento e l'imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati, ovvero, nello specifico, devono risultare tali da andare ad arrecare un grave e perdurante pregiudizio per lo stato di sicurezza pubblica (che si deve sempre tutelare).

Per poter sciogliere un Consiglio Comunale o Provinciale per infiltrazioni ad opera della criminalità organizzata, gli elementi del condizionamento devono essere supportati da un'apposita documentazione.

La documentazione in questione non può avere caratteristiche generiche, ma precise e concrete, degli avvenimenti (illeciti e non) posti in essere. Dal canto loro, questi ultimi devono risultare univoci nel senso della direzione della loro idoneità alla compromissione del regolare funzionamento dell'Ente Locale.

Entrando nello specifico, la legge dispone che, entro il termine di quarantacinque giorni dall'avvenuto deposito delle conclusioni che sono sottoscritte dalla Commissione d'indagine (la quale, in quell'arco temporale, ha acquisito elementi in ordine alla sussistenza di determinate forme di condizionamento degli organi amministrativi ed elettivi), il Prefetto, una volta sentito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, con la partecipazione del procuratore della Repubblica (competente per territorio), invia al Ministero dell'Interno una relazione.

All'interno della relazione si deve dar conto della possibile sussistenza degli elementi su eventuali collegamenti che gli amministratori abbiano potuto intrattenere con la malavita. Si fa specifico riferimento anche al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti ed anche ai dipendenti dell'ente pubblico.

Specifichiamo che l'infiltrazione mafiosa non va a colpire il solo livello politico e rappresentativo, ma anche e soprattutto quello burocratico.

Molto spesso le consorterie criminali vanno a stabilire proprio con gli apparati burocratici un contatto diretto, in particolar modo nel settore degli appalti pubblici (negli ultimi anni innumerevoli sono state le gare d'appalto, soprattutto nel settore edilizio, oggetto d'interesse della criminalità organizzata) e delle energie rinnovabili.

Anche nelle ipotesi in cui si verifichino casi in cui non sia disposto lo scioglimento, qualora dalla relazione prefettizia emergano degli elementi su collegamenti diretti ed indiretti con la criminalità organizzata, con riferimento in particolare al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o anche ai dipendenti, mediante decreto del Ministero dell'Interno, su proposta del prefetto, viene adottato ogni provvedimento che possa essere utile a far cessare nell'immediato il pregiudizio in corso.

Il tempestivo intervento serve per far ritornare alla normalità la vita amministrativa dell'ente (scopo principale che si vuole raggiungere). Questa spiacevole situazione che si va a verificare all'interno dell'ente, porta alla sospensione dell'impiego del dipendente accusato d'intrattenere rapporti con esponenti della mafia, con conseguente sua destinazione ad altro ufficio o in alcune circostanze addirittura ad altra mansione, con obbligo di avvio del procedimento disciplinare da parte di un'autorità competente.

In alcuni casi (particolari), viene avviato anche un provvedimento di natura penale, in cui il prefetto può richiedere in via preventiva informazioni al procuratore della Repubblica competente, il quale deroga all'art 329 c.p.p.

Inoltre, il procuratore comunica anche tutte le informazioni che, dopo un attento ed accurato esame, non ritiene debbano rimanere segrete per le esigenze del procedimento.

Il prefetto, nel redigere la sua relazione, deve andare ad indicare anche gli appalti, i contratti ed i servizi che sono interessati dai fenomeni di compromissione o interferenza con la criminalità organizzata, o, comunque connotati da forme di condizionamento o da condotte che risultino antigiuridiche.

Per concludere, il Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'Interno e previa deliberazione in senso favorevole del Consiglio Dei Ministri, con proprio decreto, va a disporre lo scioglimento del Consiglio Comunale o Provinciale.

Nello specifico, all'interno della proposta di scioglimento, vengono indicate in modo analitico le anomalie che sono state riscontrate ed i provvedimenti necessari per poter rimuovere in modo tempestivo gli effetti più gravi e pregiudizievoli per l'interesse pubblico.

La proposta citata nelle pagine precedenti va ad indicare anche gli amministratori che sono ritenuti responsabili delle condotte (illecite) che hanno scaturito lo scioglimento.

Cosa comporta concretamente lo scioglimento di un Consiglio Comunale o Provinciale?

Esso comporta la cessazione della carica di consigliere, sindaco, presidente della provincia, di componente delle rispettive giunte e anche di ogni altro incarico.

Il decreto di scioglimento viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, unitamente alla proposta del Ministro dell'Interno ed alla relazione prefettizia, e conserva i suoi effetti per un periodo che parte dai diciotto mesi e può essere prorogato (se sussistono i presupposti), in casi ritenuti eccezionali, fino ad un massimo di ventiquattro mesi.

L'eventuale provvedimento di proroga della durata dello scioglimento viene adottato non oltre il cinquantesimo giorno antecedente alla data di scadenza della durata dello scioglimento stesso.

La disposizione delineata all'art. 143 T.U.E.L. si applica anche agli altri Enti Locali di cui all'art.2, comma 1, T.U.E.L.[1], cioè alle città metropolitane, comunità montane, comunità isolane ed anche unioni di comuni, ecc.

Da tutto ciò si evince una notevole estensione dei soggetti che possono essere colpiti da questo procedimento.

L'art.143 T.U.E.L., al suo interno, prevede anche un rigido comma 11. Esso, nello specifico, prevede che, fatta salva l'applicazione di ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori ritenuti responsabili delle condotte che hanno causato lo scioglimento del Consiglio Comunale o Provinciale, non possano accedere alla candidatura alle elezioni regionali, provinciali e comunali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l'Ente che è interessato dello scioglimento.

Ovviamente, questa imposizione ha un carattere non definitivo, ma temporaneo. Infatti, il responsabile è precluso soltanto al primo turno elettorale, successivo allo scioglimento dell'Ente interessato.

Va a dichiarare l'incandidabilità il Ministero dell'Interno, il quale, senza alcun ritardo, deve inviare la proposta di scioglimento di cui al comma 4 al Tribunale competente per territorio, che deve andare a valutare la sussistenza o meno degli elementi di cui al comma 1 dell'art.143 T.U.E.L., con riferimento agli amministratori che sono indicati all'interno della proposta stessa.

Quando ricorrono motivi di urgente necessità, il prefetto, in attesa del decreto che va a dichiarare lo scioglimento, va a sospendere nell'immediato gli organi dalla carica ricoperta, nonché da ogni altro incarico ad essa riconducibile.

Il prefetto, inoltre, deve assicurare la provvisoria amministrazione dell'ente mediante l'invio di commissari (che temporaneamente gestiranno l'Ente, per assicurarne la continuità). La sospensione non può eccedere il termine di sessanta giorni, che decorrono dalla data del provvedimento di sospensione.

L'intenzione del legislatore nell'andare ad utilizzare l'art.143 T.U.E.L., è quella di cercare, per quanto possibile, di arginare il verificarsi del fenomeno dell'infiltrazione della criminalità organizzata all'interno dell'apparato amministrativo degli Enti Locali.

Si vuole fermare il fenomeno delle infiltrazioni mafiose mediante l'introduzione di un peculiare procedimento.

Esso è volto a verificare l'esistenza di possibili collegamenti tra i consiglieri comunali o provinciali, ovvero tra i singoli amministratori o dipendenti che lavorano all'interno dell'Amministrazione, e le associazioni di stampo mafioso (o similari), ed è caratterizzato da una forte accelerazione temporale ed anche da un'ampia discrezionalità nell'andare a valutare gli elementi indiziari.

Per poter svolgere l'indagine circa la sussistenza di condizionamenti o collegamenti degli amministratori comunali o provinciali con le consorterie criminali, questa deve essere condotta sulla base di determinate circostanze.

Tali circostanze devono presentare un grado di significatività e di concludenza di livello inferiore rispetto a quelle che vanno a legittimare l'esercizio dell'azione penale o, in alcune situazioni, l'adozione di misure di sicurezza che vengono poste nei confronti degli indiziati di appartenenza ad associazione di tipo criminale.

La natura del provvedimento di scioglimento del Consiglio Comunale per infiltrazione non è sanzionatoria, ma preventiva.

Il giudizio di rilevanza per casi d'infiltrazione può essere formulato anche sulla base in cui ricorra un insieme di più episodi sintomatici, i quali, analizzati separatamente, potrebbero anche risultare non incisivi, ma che, considerati nel complesso, possono acquistare rilevanza.

Il legislatore ha enucleato una terminologia che ha definito elastica, generica ed indeterminata nell'andare a determinare l'individuazione dei presupposti per il ricorso alla misura di carattere straordinario dello scioglimento del Consiglio Comunale.

Egli vuole consentire un'indagine sulla ricostruzione dell'effettiva sussistenza di un rapporto che si va ad instaurare tra gli amministratori e le organizzazioni criminali. Proprio per la sua natura preventiva, il provvedimento di scioglimento del Consiglio Comunale chiarisce che, per la sua adozione, è sufficiente la sola presenza di elementi su collegamenti o anche su forme di condizionamento che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto fra gli amministratori e le associazioni criminali.

Rapporto che non deve necessariamente concretizzarsi in situazioni di accertata volontà degli amministratori di andare ad assecondare gli interessi della criminalità organizzata, né sotto forma di responsabilità personale (anche dal lato penale) degli amministratori, ma deve essere tale da rendere plausibile l'ipotesi di una possibile soggezione, di coloro che rivestono la carica di amministratori, all'associazione criminale, come i legami di parentela o di affinità, i rapporti di amicizia o anche di affari.

I criteri che sono stati elaborati dal legislatore ai fini della sussistenza o meno di possibili collegamenti degli amministratori con la criminalità organizzata, possono essere classificati in criteri di tipo sia soggettivo che oggettivo.

Rientrano nella tipologia di rapporti soggettivi, gli elementi che si devono dimostrare seguendo il criterio della concretezza (la sussistenza del collegamento o del condizionamento).

Per quanto riguarda quelli di tipo oggettivo, devono verificarsi in base ai criteri della rilevanza ed univocità, come ad esempio il risultato del collegamento o quello del condizionamento, e cioè l' alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi, e la conseguente compromissione del buon andamento e dell'imparzialità dell'amministrazione ed anche del regolare funzionamento dei servizi (che possono minare la sicurezza pubblica).

Agli organi ministeriali viene anche affidata la valutazione in merito alla sussistenza di episodi che vadano a decretare un collegamento sia diretto che indiretto con la malavita organizzata, ovvero un condizionamento dell'attività che viene posta in essere dall'Ente, nell'esercizio delle sue funzioni da parte delle associazioni mafiose, connotata da un'ampia discrezionalità.

In molte occasioni, il Consiglio di Stato ha tenuto a puntualizzare che l'art.143 T.U.E.L. va a conferire alle massime autorità istituzionali competenti l'adozione del provvedimento di scioglimento dei Consigli Comunali, giustificato dallo spettro del pericolo di infiltrazioni mafiose, un potere molto ampio, e potremmo dire anche discrezionale.

Questo potere non necessita di alcun accertamento di quei presupposti di fatto che, per aver prova in modo certo dell'effettiva sussistenza della responsabilità dei singoli amministratori, richiedono lo svolgimento di procedimenti che possono essere giurisdizionali o assimilati.

Ne consegue che i presupposti per poter esercitare questo potere, devono essere valutati non tenendo conto dei singoli episodi isolati, ma nel loro insieme e per la idoneità ad esprimere un reale e manifesto pericolo di infiltrazione mafiosa all'interno delle amministrazioni locali.

Concludendo, bisogna ricordare che la qualificazione di concretezza, di univocità e di rilevanza dei fatti accertati, deve essere riferita non ad ogni singolo elemento analizzato, ma ad una valutazione complessiva del quadro di tutti gli elementi che vengono sommati tra di loro.

L'ampiezza dei poteri di valutazione che sono attribuiti dal legislatore agli organi ministeriali va a trovare la propria giustificazione causale non solo nell'andare a garantire il rispetto dei canoni di legalità da parte dell'apparato dell'Ente Locale interessato, ma anche nella tutela della effettiva partecipazione democratica della comunità nell'autogoverno dell'Ente Locale.

Il provvedimento che va a decretare lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale costituisce una misura di carattere straordinario e preventivo. Il provvedimento è volto ad andare a salvaguardare la Pubblica Amministrazione di fronte alle pressioni che sono esercitate dalla criminalità organizzata, al fine non soltanto di garantire l'espressione della volontà popolare, ma anche a tutela dei principi di libertà, di uguaglianza e d'imparzialità nell'andare a svolgere l'attività amministrativa

La misura dello scioglimento ha un carattere straordinario, perché esige l'immediatezza dell'intervento amministrativo; discende da ciò l'attenzione delle tipiche garanzie partecipative del relativo procedimento.

Il provvedimento, che comporta lo scioglimento del Consiglio comunale per causa dovuta al verificarsi del condizionamento posto in essere dalla criminalità organizzata, non deve necessariamente essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, in quanto si tratta di attività che hanno una natura preventiva e cautelare, per la quale non è necessaria la partecipazione, anche per il tipo d'interesse coinvolto.

Nello specifico, chiamiamo in causa soggetti che svolgono il ruolo di rappresentanti all'interno dell'Ente Locale, che, per le loro relazioni con la mafia, mettono in grave pericolo gli interessi dell'interna collettività comunale.

Il carattere straordinario della misura, sta nel fatto che essa viene posta in essere in modo rapito e deciso (anche se, come vedremo nelle pagine che seguiranno, l'intervento arriva quando il comune è già compromesso).

Il Consiglio di Stato fornisce anche la possibilità di scioglimento per mafia di un Comune già sciolto per dimissioni. Viene analizzato il particolare caso in cui le dimissioni fossero state rassegnate dopo la nomina, da parte del Prefetto, di una Commissione di accesso, che ha il compito di andare a verificare se effettivamente, all'interno del Comune, si siano verificati casi d'infiltrazione nella gestione amministrativa. In molti hanno notato che le dimissioni altro non rappresenterebbero che un mero trucco volto a paralizzare l'indagine svolta dal Prefetto, con la precisa finalità di consentire agli stessi candidati (sospettati di intrattenere relazioni con la mafia) di potersi ripresentare nuovamente alle elezioni.

La procedura di scioglimento nasce come misura cautelativa e preventiva, volta a salvaguardare i vari Enti Locali che possono essere oggetto d'attenzione da parte della mafia. In realtà, come abbiamo visto in queste pagine, molte volte l'intervento del Prefetto arriva in ritardo, quando ormai gli Enti sono già fortemente compromessi dalla presenza di personale colluso con la criminalità.

La natura giuridica dello scioglimento secondo la Corte Costituzionale

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L'art.134 T.U.E.L. si differenzia dagli artt. 141 e 142, perché è molto più specifico e dettagliato nell'andare a spiegare le varie fasi che portano al procedimento di scioglimento.

Le norme relative allo scioglimento dei Consigli comunali a seguito di infiltrazioni mafiose e condizionamenti operati dalle consorterie criminali, hanno un carattere di "specialità" rispetto alle norme che vanno a disciplinare i casi ordinari che sono previsti all'interno dell'art.141 T.U.E.L.

A differenza dell'art.141 e 142, l'art.143, al suo interno, è molto più dettagliato ed articolato, a partire dall'effetto di ampia portata per finire con la durata dello scioglimento, entrambi giustificati dall'esigenza di evitare il verificarsi di fenomeni d'infiltrazione e condizionamento.

Nella Sentenza N.103/93, la Corte Costituzionale ha affermato che: il protrarsi degli effetti dello scioglimento può consentire di poter intervenire sul terreno del ripristino della legalità e anche della creazione di condizioni nuove che permettano la ripresa della normale vita dell'amministrazione coinvolta. L'obiettivo principale è anche quello di salvaguardare l'Amministrazione dai condizionamenti che in precedenza ha subito, che sono stati la causa del suo scioglimento.

Questo tipo di procedimento è definito particolare perché viene esteso anche ai consorzi, comuni e province, agli organi delle aziende sanitarie ed ospedaliere, alle aziende speciali dei comuni, delle province e dei consigli circoscrizionali.

Questo carattere speciale è in risalto anche quando sussiste l'ipotesi della concorrenza delle misure previse dagli artt.141-143. Come sottolineato nell'ultimo comma dell'art.143, nel caso in cui ricorrano i presupposti per applicare entrambe, il Prefetto ha il compito di andare ad applicare quella che risulta più incisiva.

Per molti anni ci sono state innumerevoli discussioni tra la dottrina e la giurisprudenza per quanto riguarda la natura preventiva o sanzionatoria del decreto di scioglimento.

La Corte Costituzionale è andata a formulare la Sentenza. N.103/93. La sentenza andava a delineare la misura come provvedimento avente natura sanzionatoria, da applicarsi nei confronti dell'organo elettivo, che veniva considerato nel suo complesso ed anche in ragione della sua inidoneità ad amministrare l'Ente Locale.

La Corte affermava che si è in presenza di una "misura di carattere sanzionatorio", la quale, entrando nello specifico, ha come diretti destinatari gli organi elettivi, anche se è caratterizzata da rilevanti aspetti di prevenzione sociale per la sua ricaduta sulle comunità locali, che la legge, dal canto suo, intende sottrarre, nel loro complesso, all'influenza delle associazioni criminali[12].

La giurisprudenza successiva si è fortemente distaccata dalle idee poste in essere dalla Corte Costituzionale, affermando la natura preventiva. Lo scopo principale era quello di andare ad eliminare le situazioni in cui un Ente Locale sia assoggettato ad interferenze che ne comportino l'alterazione e la capacità di conformare la propria azione ai canoni fondamentali della legalità e della trasparenza (di cui attualmente si deve dare conto).

Se si va ad attribuire una natura di carattere sanzionatorio al decreto di scioglimento, significherebbe andare a coinvolgere, in maniera punitiva, anche gli amministratori non collusi, che con i traffici della malavita non c'entrano nulla.

Invece, come emerge dalla sentenza del Consiglio di Stato n.5225/00, il provvedimento viene indirizzato ai componenti del Consiglio non individualmente, ma nel suo complesso, anche dove, da indagini svolte, emerga "l'intenzione degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata".

Sempre nello stesso Consiglio di Stato, in un'altra Sentenza, la n.4467/04, troviamo disposto che tale provvedimento ha una natura preventiva-cautelare ed anche di ripristino delle condizioni che devono essere indispensabili per poter avere una corretta convivenza sociale.

Un'ulteriore discussione si è avuta in merito alla considerazione di tale atto, nel senso che ci si è posti una precisa domanda: tale atto va considerato sotto l'aspetto politico o di altra amministrazione?

Per poter meglio chiarire questo aspetto, bisogna fare riferimento sempre alla Sentenza n.103/1993 sempre emanata dalla Corte Costituzionale, la quale ha escluso che tale atto possa avere una natura politica.

Nel corso degli anni ci sono state molte discussioni, tra la dottrina e la giurisprudenza, sulla configurazione giuridica del procedimento di scioglimento.

Inizialmente lo si faceva ricadere sotto una fattispecie penalistica (sent. n. 103/1993), definendo l'istituto come avente carattere di natura sanzionatoria.

Nel corso degli anni il Consiglio di Stato (con la sent. n. 5225/00) ha affermato che in realtà la configurazione dell'istituto non ha un carattere sanzionatorio, ma preventivo-cautelare.

Scopo della norma è andare a proteggere, per quanto possibile, i vari Enti da possibili infiltrazioni e condizionamenti operati dalla mafia, quindi possiamo affermare che ormai le controversie sulla natura giuridica dello scioglimento siano state definitivamente archiviate.

Elementi sintomatici delle infiltrazioni delle associazioni criminali

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In questi anni, al legislatore è stato più volte rimproverato di non aver dato una precisa nozione di "collegamento" e "condizionamento".

In realtà non si è trattato di una dimenticanza, ma dell'intenzione del legislatore di far ricadere sotto questa nozione un'ampia gamma di ipotesi di infiltrazione.

A supplire alla mancanza di una nozione certa, è intervenuta la giurisprudenza, che ha enucleato alcuni indici indicativi.

Prima della riforma operata dalla l.n.92/2009, art.2 comma 4, una parte della dottrina aveva più volte sottolineato che i presupposti per lo scioglimento non erano ben delineati, anzi poco chiari e molo generici (tanto da creare confusione).

In realtà il legislatore non ha mai tipizzato la nozione di "collegamento" e di "condizionamento", per il semplice scopo di far rientrare all'interno della nozione stessa qualsiasi ipotesi di infiltrazione.

Al contempo, però, la giurisprudenza ha elaborato alcuni indici che possono attestare la presenza di situazioni di contaminazione operata dalla mafia o dalla criminalità in generale. La presenza di rapporti con la malavita si può ravvisare in particolari situazioni.

Tali situazioni si possono verificare quando vi sia l'esistenza (provata) di rapporti di parentela di coloro che rivestono la carica di amministratori con soggetti esponenti della mafia, la costante, ripetuta ed assidua frequentazione di malavitosi, l'esistenza di precedenti penali in conseguenza a gravi fatti di corruzione in capo agli amministratori locali, ecc. (ci siamo limitati a citare solo le ipotesi oggetto del nostro studio).

A tal proposito, nel lontano 1993 si è espressa la Corte Costituzionale, dove sono state fatte alcune precisazioni cica il potere di scioglimento che è previsto nell'ipotesi in cui sussistano determinate situazioni.

Si fa sempre riferimento alle ipotesi in cui vi siano collegamenti diretti ed indiretti dei soggetti che rivestono il ruolo di Amministratori con la malavita organizzata, alle forme di condizionamento degli amministratori che vadano a compromettere la libera determinazione degli organi elettivi ed anche il buon andamento delle Amministrazioni sia comunali che provinciali.

Si fa anche un ulteriore riferimento al regolare funzionamento dei servizi a loro affidati, ovvero quando nello specifico il collegamento o le forme di condizionamento risultino tali da arrecare un grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.

La norma esige una stringente consequenzialità tra l'emersione da un lato di una delle due situazioni ampiamente descritte in precedenza, e dall'altro lato di una delle due evenienze come la compromissione della libertà di determinazione e del buon andamento amministrativo.

Come ben sappiamo, la norma più volte menzionata, se da una parte fissa delle situazioni sintomatiche a cui bisogna attenersi, dall'altra impone tassativamente che gli elementi acquisiti debbano essere concreti, univoci e rilevanti; tutto ciò che ha il carattere della genericità non viene preso in considerazione.

Mediante queste ipotesi, il legislatore ha inteso "conformare" il potere discrezionale dell'Autorità statale, andando ad imporre una rigida delimitazione del giudizio di apprezzamento.

Da ciò emerge che bisogna tassativamente attenersi ai criteri che sono stati forniti dal legislatore, ma la cosa più importante che bisogna sempre tenere presente quando si parla di infiltrazione e condizionamento è che queste due fattispecie devono essere poste in essere da appartenenti ad un'associazione mafiosa.

Per qualificare un soggetto come appartenente alla mafia, si devono avere necessariamente le caratteristiche sia strutturali che funzionali proprie delle associazioni mafiose o similari, che troviamo all'interno dell'art.416-bis c.p. (come possiamo notare, molte volte l'ambito penale si va ad intrecciare con quello amministrativo).

La giurisprudenza in più occasioni ha precisato che la norma è "preordinata alla difesa preventiva di un fenomeno criminale peculiare, invasivo delle articolazioni della vita economica e sociale, che non richiede per la sua applicazione né che i fatti considerati si traducano necessariamente in fattispecie delittuose, né che, in ordine ad essi, sia raggiunta la certezza probatoria.

È sufficiente che, da un lato, gli elementi raccolti siano significativi di un condizionamento dell'attività degli organi dell' amministrazione, dall' altro che tale condizionamento si ricolleghi all'influenza di gruppi di criminalità mafiosa o camorristica".

Se da un lato abbiamo più volte detto che gli elementi che sono presi in considerazione non devono necessariamente avere una rilevanza penale, dall'altra lato non basta la semplice presenza della mafia o organizzazioni similari sul territorio. L'effettivo accertamento dell'esistenza di forme di collegamento o di condizionamento deve avvenire nei confronti degli amministratori locali, che devono essere individuati ai sensi dell'art.77 del T.U.E.L.

Per amministratori locali si intendono: i Sindaci, Presidenti delle Province, i Consiglieri dei Comuni anche metropolitani e provinciali, i Consiglieri e Assessori delle Comunità montane, i componenti degli organi delle Unioni di Comuni e di consorzi fra Enti Locali, e, per finire anche i componenti degli organi di decentramento.

Secondo l'art.143, comma 2, gli elementi concreti, univoci e rilevanti su collegamenti di natura diretta o indiretta su forme di condizionamento, devono essere accertati anche con riferimento alle figure del Segretario comunale o anche provinciale, del direttore generale, dei dirigenti ed anche dei dipendenti dell'ente locale.

Per quanto riguarda le conseguenze dello scioglimento sugli incarichi, il problema viene affrontato sempre dall'art. 143 T.U.E.L., al comma 6, che prevede che, a partire dalla decorrenza della pubblicazione del decreto di scioglimento, debbano essere risolti di diritto gli incarichi a contratto, per i quali, però, resta ferma la speciale disciplina che troviamo all'interno dell'art.110.

L'art.146 T.U.E.L. ha una portata molto ampia, perché, in realtà, i provvedimenti di scioglimento non vengono accreditati solo ai Consigli comunali e provinciali, ma anche ad altri enti, come le Città metropolitane, le Comunità montane, le Comunità isolane e le Unioni di Comuni, Consorzi, ecc. Da ciò possiamo dedurre che la criminalità organizzata ha esteso il suo raggio d'azione non soltanto verso gli organi elettivi locali, ma anche attraverso il controllo degli altri soggetti che a vario titolo si occupano della gestione del lato amministrativo sul territorio.

Come abbiamo visto, quasi profeticamente il legislatore non ha scritto una nozione certa, perché, come abbiamo potuto appurare, gli interessi delle consorterie criminali non si fermano soltanto agli apparati comunali, ma anche ad altri enti della Pubblica Amministrazione. Alla mafia non interessa l'Ente in sé, ma i vantaggi economici che da esso può trarre.

Il lavoro della commissione d'accesso

Un ruolo fondamentale viene rivestito anche dalla Commissione d'Accesso di nomina prefettizia, che, fin dalle prime fasi, deve svolgere una vera e propria indagine sull'ente che è stato segnalato come colluso con la mafia.

Iniziamo ad entrare nel vivo del procedimento di scioglimento. Come ben sappiamo, il potere d'iniziativa è devoluto al Prefetto competente per territorio, il quale, una volta appresa la notizia dalla magistratura o dagli organi di polizia di sospette infiltrazioni all'interno di un ente locale, dispone nell'immediato la procedura di accesso agli atti.

Tale procedura viene qualificata come una vera e propria indagine, condotta da un'apposita commissione che viene nominata dal prefetto, la quale deve andare ad indagare sull'operato dell'amministrazione locale di cui si sospetta.

La commissione d'indagine si compone di tre funzionari della Pubblica Amministrazione. La scelta dei soggetti che andranno a svolgere questo delicato ruolo deve garantire la presenza di una pluralità di professionalità che ha lo scopo di garantire un'indagine ad ampia portata dei differenti settori che vanno a caratterizzare l'agire di un Ente locale.

In passato non era stabilito un numero ben preciso di soggetti che potessero far parte della Commissione e, conseguentemente, il Prefetto aveva il potere di nominare rappresentati sia appartenenti all'arma (Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia) sia funzionari amministrativi-contabili.

Attualmente le modalità di nomina sono ben diverse dal passato. Spetta sempre al Prefetto scegliere i componenti della Commissione. I membri sono scelti tra i magistrati della giurisdizione ordinaria o amministrativa in quiescenza (art.144 T.U.E.L.) Nella pratica, i commissari sono funzionari dello Stato che possono essere ancora in servizio o in pensione.

Nello specifico, la nomina della Commissione d'Accesso avviene mediante decreto prefettizio, che in allegato deve esporre nero su bianco anche le ragioni a fondamento dell'accertamento che si vuole andare a svolgere. Il Prefetto deve anche dare conto dell'avvenuto conferimento della delega dei poteri da parte del Ministero dell'Interno.

Per evitare che i termini del procedimento diventassero troppo lunghi, la riforma del 2009 ha espressamente stabilito un termine di tre mesi, che può, in casi eccezionali, essere rinnovato per un periodo massimo di altri tre mesi, entro il quale la Commissione di accesso deve necessariamente concludere la sua attività d'indagine e, in combinata delega, sottoscrivere anche le proprie conclusioni da inoltrare al Prefetto.

Una volta insediatasi, la Commissione farà riferimento nella prima fase alla figura del Segretario comunale o provinciale, che deve collaborare con la Commissione per constatate se effettivamente all'interno dell'ente presso cui stanno svolgendo le indagini, vi siano delle irregolarità dovute ad infiltrazioni o condizionamenti con la mafia.

L'ente locale, oltre a collaborare con la Commissione, dovrà fornire anche dei locali idonei alla consultazione di documentazioni ai fini dell'indagine. La Commissione, una volta insediatasi all'interno dell'Amministrazione, dovrà procedere con l'acquisizione non solo della documentazione, ma anche delle notizie necessarie all'espletamento dell'attività d'indagine che è stata chiamata a compiere, nei riguardi dei vari settori della gestione amministrativa dell'Ente, per verificare l'eventuale esistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti ed indiretti degli Amministratori con personalità mafiose.

Quando parliamo dell'indagine svolta dalla Commissione, dobbiamo precisare che essa non ha natura penalistica, ma amministrativa, finalizzata alla ricerca di possibili anomalie ed illeciti, che non necessariamente si devono tradurre in reato.

Il lavoro della Commissione d'accesso si conclude mediante la stesura di una dettagliata relazione, che viene consegnata al Prefetto, il quale, a sua volta, ricevuta la documentazione, fa nell'immediato rapporto al Ministro dell'Interno, per verificare se in concreto vi siano i presupposi per arrivare ad una procedura di scioglimento.

Siccome ci troviamo di fronte ad un provvedimento molto delicato (non è facile dichiarare che, all'interno di un apparato Amministrativo, vi sano soggetti che fanno affari con la criminalità organizzata), la procedura prevede che, durante le decisioni, siano formalmente coinvolti il Consiglio Dei Ministri ed anche lo stesso Presidente della Repubblica, e che le Camere siano tempestivamente informate sulla decisone che verrà presa.

È da dire che è molto difficile che si verifichino ipotesi in cui un Ministro dell'Interno si opponga alla richiesta inoltrata del Prefetto, che ha condotto un'apposita istruttoria, di sciogliere un ente locale. Un motivo principale al sostegno del fatto che di solito nessun Ministro dell'Interno non accetti la richiesta del prefetto, è che solo quest'ultimo sia a conoscenza della situazione dell'ente in esame.

Come abbiamo visto, l'attività della commissione in linee generali si limita esclusivamente alla gestione dei soli affari ordinari. Si cerca sempre di non far prendere decisioni incisive.

La relazione prefettizia

Il Prefetto viene visto come il protagonista dell'intera procedura di scioglimento. Egli, dopo un'attenta analisi e valutazione, assistito dalla Commissione d'Accesso, dovrà valutare se effettivamente, all'interno dell'Amministrazione su cui ha indagato, vi siano delle irregolarità dovute a rapporti degli amministratori locali intrattenuti con esponenti della criminalità organizzata.

L'attività istruttoria si chiude con una relazione sottoscritta dal Prefetto (la relazione viene stilata anche nell'ipotesi in cui non vi siano riscontri su condizionamenti ed infiltrazioni).

La riforma del 2009 più volte citata in precedenza, non si è limitata a disciplinare il procedimento volto all'adozione della relazione prefettizia, ma ha individuato in modo molto dettagliato anche il contenuto di tale atto. Se si legge attentamente il terzo comma, esso prevede che la relazione sottoscritta dal prefetto, debba andare ad indicare gli elementi che sono posti a fondamento della proposta di scioglimento.

Inoltre, bisogna verificare la sussistenza di possibili ed eventuali collegamenti dei soggetti che lavorano all'interno dell'ente. I soggetti indicati possono essere: il segretario comunale o provinciale, il direttore generale, i dirigenti ed anche i dipendenti dell'ente, che possono eventualmente intrattenere stretti e fitti rapporti con la criminalità organizzata. Nella relazione prefettizia devono essere indicati anche in modo espresso gli appalti, i contratti ed i servizi che sono interessati dai fenomeni d'infiltrazione e di condizionamento operati dalle consorterie criminali.

Inoltre, la relazione deve contenere al suo interno l'indicazione analitica degli amministratori che sono ritenuti responsabili delle condotte illecite che hanno portato allo scioglimento dell'Ente Locale. È compito del prefetto competente per territorio indicare secondo lui i possibili provvedimenti che tempestivamente possono andare a rimuovere gli effetti delle infiltrazioni mafiose che sono considerati più gravi e pregiudizievoli per l'interesse pubblico.

All'interno dell'art.143 T.U.E.L. non vi è scritto in modo chiaro quale condotta debba tenere il prefetto, nell'ipotesi in cui, a seguito delle conclusioni della commissione di accesso e delle proprie indagini, ritenga che non sussistano elementi tali da far presupporre che, all'interno di un ente, vi siano irregolarità che possano portare allo scioglimento, però, al comma cinque, viene stabilito in modo espresso che il ministro, anche quando non sussistano i presupposti per lo scioglimento o per l'adozione di altri provvedimenti (interdittivi), entro un lasso di tempo di tre mesi dalla trasmissione della relazione scritta dal prefetto, deve comunque emanare un decreto di conclusione del procedimento.

All'interno di questo decreto si deve dare conto degli esiti dell'attività di accertamento che è stata posta in essere.

Il decreto ministeriale del 4 novembre del 2009è andato a disciplinare le modalità di pubblicazione sul sito del Ministero degli Interni.

La pubblicazione viene prevista nel termine di cinque giorni dalla sua adozione. La consultazione può avvenire soltanto cliccando sull'apposita sezione, per un periodo di sei mesi. Decorso il termine di sei mesi, il decreto viene spostato nella sezione "storica" (ugualmente consultabile da chi ne ha interesse).

L'art.145 del T.U.E.L., come abbiamo già anticipato, non fornisce delle vere e proprie indicazioni sulla condotta che il prefetto deve tenere nell'ipotesi in cui non emergano elementi forti da far sospettare che, all'interno dell'ente, vi siano infiltrazioni e condizionamenti.

Questa mancanza viene vista dal mondo giuridico come una lacuna, che in parte viene colmata dal comma cinque del medesimo articolo.

Gli effetti dello scioglimento

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Lo scioglimento di un consiglio comunale viene visto come un evento "traumatico" non solo perché quella pubblica amministrazione va a perdere credibilità agli occhi dei cittadini, ma anche perché va a compromettere chi all'interno di quell'ente lavora.

Gli effetti dello scioglimento si rinvengono all'interno dell'art. 145, comma 4, del T.U.E.L., comma non modificato dalla nuova formulazione dell'articolo.

La nuova formulazione dell'art. 145 non è andata, infatti, a modificare la parte riguardante gli effetti del decreto di scioglimento e la sorte dei soggetti che rivestono le cariche elettive o di nomina politica all'interno dell'ente (corrotto).

È il comma 4 dell'art.145 a fornire le indicazioni circa gli effetti del decreto di scioglimento degli organi dell'ente locale. Nella precedente legislatura erano state formulate svariate proposte, che si limitavano a parlare soltanto della responsabilità degli amministratori dell'ente (colluso).

Attualmente, invece, lo scioglimento del consiglio comunale e provinciale comporta la cessazione dalla carica di consigliere, di sindaco, di presidente della Provincia, di componete delle rispettive giunte e anche di ogni altro incarico che deve essere comunque connesso alle cariche ricoperte.

Per quanto riguarda gli incarichi svolti da personale esterno all'ente (revisore dei conti e di consulenza e collaborazione continuata e continuativa), se tali incarichi non vengono rinnovati dalla Commissione straordinaria entro un lasso di tempo di quarantacinque giorni dal suo insediamento, vengono risolti di diritto dalla data di pubblicazione che va a decretare lo scioglimento dell'ente.

Di conseguenza, la conferma o meno del mantenimento delle cariche esterne rientra nella discrezionalità della Commissione straordinaria, che deve valutare se mantenere o meno il personale. In merito agli incarichi svolti da personale esterno, sono stati in passato sollevati alcuni dubbi e perplessità.

Queste titubanze sono state ampiamente risolte focalizzando l'attenzione sul fatto che, venuto meno il soggetto che ha conferito loro l'incarico, in quanto decaduto per aver intrattenuto fitti legami con le associazioni criminali, vengono meno anche i suoi collaboratori.

È interessante notare che gli effetti dello scioglimento, quindi, non si protraggono solo verso i soggetti appartenenti all'ente, ma anche verso i collaboratori esterni, che si vedono licenziati per il solo fatto di essere stati assunti da funzionari amministrativi collusi.

Forse il loro decadimento dalle cariche è dovuto al fatto che il legislatore tema che possano continuare la gestione di affari illeciti per conto del soggetto che li ha assunti, perciò il loro licenziamento può essere inteso come un'altra misura preventiva-cautelativa, visto che il Prefetto e la Commissione, quando si vanno ad insediare all'interno di un ente di cui si sospettino attività illecite, non sanno mai fin dove l'infiltrazione ed il condizionamento ad opera della mafia si siano ramificati.

La durata degli effetti dello scioglimento (e le nuove elezioni)

L'art.143 T.U.E.L., al comma dieci, ci va a disciplinare il periodo di durata dello scioglimento degli Enti Locali, periodo che rimane invariato anche dopo la riforma del 2009. Lo scopo principale dell'art.143 è quello di evitare un'eccessiva dilatazione dei termini della durata dello scioglimento.

In base alla legislatura vigente, la durata degli effetti dello scioglimento è di un minimo di 12 mesi fino ad un massimo di 18, che può essere prorogato, se sussistono particolari casi, fino a 24 mesi.

Benché vi sia stata la riforma del 2009, il periodo non è stato soggetto a variazioni. Oggetto d'interesse della riforma è stata la data entro la quale può essere disposta l'elezione. Lo scopo principale è stato quello di cercare di contenere la durata dello scioglimento (si vuole evitare di prorogare troppo i termini), che molto spesso, in casi pratici di comuni sciolti per mafia, supera il termine massimo imposto dalla legge. Secondo la normativa attualmente vigente, la proroga poteva essere disposta entro e non oltre il cinquantesimo giorno antecedente alla data delle nuove elezioni per il rinnovo del consiglio sciolto.

La nuova formulazione dell'art.143 ha il principale scopo di evitare che la gestione commissariale possa prolungarsi oltre i termini previsti dal decreto di scioglimento, va rigidamente a stabilire che la durata della gestione commissariale dell'ente locale possa essere prorogata mediante un provvedimento che deve essere adottato non oltre il cinquantesimo giorno dalla scadenza dello scioglimento. Viene prevista anche una disciplina speciale per lo svolgimento delle elezioni per il rinnovo degli organi che sono stati sciolti, che in modo inevitabile si va a riflettere anche sulla durata del gestione commissariale (temporanea).

L'iter procedimentale delle lezioni è il seguente: le elezioni si dovranno svolgere in occasione del turno annuale ordinario che rinveniamo all'art.1 della l.n.182/1991. Le elezioni si dovranno svolgere in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno. Nell'ipotesi in cui la scadenza della durata dello scioglimento cada nel secondo semestre dell'anno, le elezioni verranno svolte in un turno straordinario, che si dovrà tenere in una domenica che deve essere compresa tra il 15 ottobre ed il 15 dicembre. Per quanto riguarda le elezioni, la loro data viene fissata sempre mediate decreto del Prefetto, accordatosi con il Presidente della Corte d'Appello. Le elezioni si dovranno svolgere nella prima domenica utile successiva alla cessazione dell'efficacia del decreto di scioglimento.

I termini per la durata dello scioglimento e per le successive elezioni sono stati irrigiditi proprio per evitare che la situazione di stallo dovuta ad una gestione temporanea possa persistere nel tempo. È come se da una parte il legislatore volesse da una parte correggere l'ente, e, dall'altra, riportarlo nel quasi immediato normale suo funzionamento.

La temporanea incandidabilità degli amministratori responsabili

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Come abbiamo già riportato nelle pagine precedenti, il decreto di scioglimento con validità dai 12 ai 18 mesi prorogabili fino a 24, va a determinare in primis la cessazione di tutti i soggetti appartenenti alla Pubblica Amministrazione.

Per quanto riguarda le "prime elezioni" che si tengono dopo la proceduta di scioglimento nella regione nel cui territorio si trova l'ente contaminato, non possono presentarsi come candidati gli amministratori che hanno causato lo scioglimento (perché, nell'ipotesi in cu venissero rieletti, si potrebbe ricadere nuovamente nella condotta illecita).

Il testo elaborato dalla I Commissione va ad introdurre un'importante misura preventiva, la quale viene applicata nei confronti degli amministratori locali che, mediante le loro condotte illecite, in seguito a rapporti con esponenti della mala, hanno determinato lo scioglimento dell'ente locale.

Il provvedimento che ritroviamo al comma 3 dell'art.143, prevede che tali soggetti non possano presentarsi alle elezioni nel primo turno elettorale successivo allo scioglimento nelle elezioni regionali in cui si trova l'ente che è stato sciolto.

L'incandidabilità deve essere dichiarata mediante un provvedimento definitivo di carattere giurisdizionale. Ai fini di tale dichiarazione, il Ministro dell'Interno deve trasmettere la proposta di scioglimento al Tribunale competente, che deve applicare il divieto agli amministratori corrotti.

Tale divieto è stato confermato anche da alcune recenti sentenze del Consiglio di Stato.

Un caso particolare si è verificato presso un comune della Provincia di Bari, dove alcuni soggetti che rivestivano le cariche di amministratori presso l'ente locale, erano stati coinvolti in un'indagine che prendeva il nome di "Domino", nel 2010, contro il clan Parisi. Il prefetto di Bari, previa delega del Ministro dell'Interno, aveva disposto un accesso agli atti sul comune barese, perché al suo interno vi erano innumerevoli soggetti che intrattenevano fitte relazioni con il Clan. Ai sensi dell'ormai citatissimo art.143, il Ministro dell'Interno, mediante decreto del 7 maggio 2010, aveva disposto la cessazione dell'incarico ricoperto da un dipendete ed il suo cambio di mansione.

Abbiamo citato questo caso per la sua particolarità. Esso è ancora oggi oggetto di studio, perché, nonostante l'impiegato sia stato pienamente prosciolto dalle accuse per insussistenza del caso, si è comunque trovato privato del proprio lavoro.

In questo particolare caso il Ministro ha ritenuto che, indipendentemente dall'esito penale dell'indagine svolta, l'impiegato avrebbe dovuto presentare ricorso contro il decreto, chiedendone l'immediata revoca con successivo reintegro della sua effettiva mansione.

La riservatezza nel procedimento di scioglimento

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Ci troviamo di fronte a due articoli che entrano in contrapposizione tra di loro: l'art.7 della l.241/1990 e l'art.143 del T.U.E.L.

Se l'art.7 della l.241/1990 esige che sia data comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti "nei confronti dei quali il provvedimento è destinato a produrre effetti diretti", l'art.143 T.U.E.L. a riguardo non stabilisce nulla in relazione alle garanzie partecipative.

Ci troviamo di fronte ad un contrasto tra due esigenze che sono le seguenti: un livello minimo di tutela dei soggetti che sono destinatari del provvedimento e il tentativo di evitare che la conoscenza del procedimento di scioglimento da parte dei soggetti interessati possa andare a danneggiare la celerità ed efficacia dello stesso.

L'incertezza tra i due articoli sopra menzionati è stata risolta dalla Corte Costituzionale con la Sent.n.103/19.3, che ha escluso l'applicazione dell'art.7 l.241/1990. In particolare, la Corte Costituzionale ha tenuto a mettere nero su bianco che il soggetto destinatario diretto del provvedimento di scioglimento è l'organo collegiale e non invece i suoi singoli componenti.

In merito, si è espresso anche il Consiglio di Stato. Esso ha affermato che si tratta del principio del giusto procedimento, in ragione del quale si vuole dare parola anche ai soggetti privati, i quali dovrebbero essere posti in una condizione tale da poter esporre le proprie ragioni, prima che nei loro confronti vengano adottati dei provvedimenti limitativi dei loro diritti.

La disciplina del procedimento di natura amministrativa deve intendersi rimessa alla discrezionalità del legislatore, il quale, nell'andare a fare le sue scelte, incontra i limiti sia della ragionevolezza che del rispetto dei principi costituzionali (che non possono essere violati).

La stessa Corte costituzionale ha anche dichiarato in più occasioni di non dubitare della disciplina riportata all'interno dell'art.15-bis, in quanto serve a fronteggiare con misure urgenti l'emergenza straordinaria che è rappresentata dalle infiltrazioni della criminalità organizzata all'interno dei vari apparati comunali, ma anche le possibili collusioni che si possono riscontrare in particolari aree geografiche tra gli apparati mafiosi ed organi elettivi. Si parla anche di semplici condizionamenti che la malavita è in grado di porre in essere sull'attività delle Pubbliche Amministrazioni.

Anche il Supremo consenso amministrativo ha voluto avere voce in capitolo, dichiarando l'infondatezza riguardante la censura con la quale si poneva il problema dell'omessa comunicazione dell'avvio del procedimento che si andava a concludere con l'impugnazione del provvedimento di scioglimento.

Si è affermato che l'"attività in questione è oggetto di una specifica disciplina che è caratterizzata dall'esigenza di interventi che devono essere rapidi e decisi per far fronte ad una situazione di attentato all'ordine e alla sicurezza pubblica; pertanto, non può trovare applicazione l'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento".

In merito, il Consiglio di Stato si è pronunciato anche una seconda volta con la Sentenza n.6657/2009, in cui in modo esplicito è stato rilevato che: "non si vede quale utilità avrebbe potuto avere la partecipazione al procedimento degli interessati", visto che l'intera fase istruttoria "rientra tra le categorie di documenti inaccessibili".

Anche nella fase successiva all'adozione del provvedimento di scioglimento, la conoscibilità degli atti del procedimento riguardante lo scioglimento viene fatta in modo parziale. Vengono esclusi gli atti e la documentazione che sono utilizzati ai fini della predisposizione della relazione stilata dal Prefetto.

Bisogna specificare che l'accesso agli atti, anche quando è ammissibile, potrà aversi solo dopo che il provvedimento sia stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale e non prima.


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