Per la Corte Costituzionale la ristrutturazione edilizia è "ammissibile purché siano rispettati i volumi e l'area di sedime del fabbricato preesistente"

Evoluzione del concetto di ristrutturazione edilizia

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Il Dpr 380 del 2001 (Testo unico in materia di edilizia), all'art. 3, contiene le definizioni degli interventi edilizi e, alla lettera d), contempla quella della ristrutturazione che può essere di due distinti tipi:
- quella "conservativa" che comprende "il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti";
- quella "ricostruttiva" che comprende anche gli interventi consistenti "nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quella preesistente".
Tali tipologie di ristrutturazione sono identiche quanto alla finale realizzazione di un "organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente" ma differiscono per la presenza (o meno) della demolizione (anche parziale) del fabbricato preesistente.
Va notato come il legislatore statale abbia progressivamente allargato nel tempo l'ambito degli interventi di ristrutturazione ricostruttiva.
A tale riguardo, si ricorda come, in origine, l'art. 3, comma 1, lettera d), del T.U. Edilizia (DPR 380 del 2001) disponesse che, in caso di demolizione, la ricostruzione per essere tale e non essere considerata una nuova "costruzione" doveva concludersi con la «fedele ricostruzione di un fabbricato identico», comportando, dunque, identità di sagoma, volume, area di sedime e caratteristiche dei materiali.
Il successivo decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 301 ha, poi, modificato la definizione di "ricostruzione", eliminando sia lo specifico riferimento alla identità dell'area di sedime e alle caratteristiche dei materiali, sia il concetto di "fedele ricostruzione".
Nel 2013, il cosiddetto "decreto del fare" ha quindi eliminato anche il riferimento alla sagoma, con il risultato che, per gli immobili non vincolati, l'unico parametro di riferimento è quello della volumetria.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 70 del 24 aprile 2020

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La Corte Costituzionale, con la recente sentenza n. 70 del 2020 ha vagliato la legittimità costituzionale di due disposizioni della Regione Puglia le quali avevano previsto che «gli interventi edilizi di […] ricostruzione da effettuare a seguito della demolizione di uno o più edifici a destinazione residenziale o non residenziale, possono essere realizzati anche con una diversa sistemazione plano-volumetrica, ovvero con diverse dislocazioni del volume massimo consentito all'interno dell'area di pertinenza".
La Corte richiamando l'evoluzione del concetto di ristrutturazione ha osservato che la tendenza ad un suo ampliamento si è arrestata nel 2019 con l'art. 5, comma 1, lettera b), del d.l. n. 32 del 2019 (cosiddetto decreto "sblocca cantieri") che ha inserito il comma 1-ter all'art. 2-bis del DPR 380/2001.
Tale disposizione stabilisce che "in ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest'ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo".
Allo stato attuale, sottolinea la Corte - quindi, la ristrutturazione ricostruttiva, autorizzabile mediante segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), "è ammissibile purché siano rispettati i volumi, l'area di sedime del manufatto originario e, per gli immobili vincolati, la sagoma".
Questa disposizione, osserva sempre il Giudice delle Leggi, "detta evidentemente una regola unitaria, valevole sull'intero territorio nazionale, diretta da un lato a favorire la rigenerazione urbana e, dall'altro, a rispettare l'assetto urbanistico impedendo ulteriore consumo di suolo".

Rapporto tra l'art 2 bis e l'art. 3 del DPR 380/2001

In relazione alla sentenza in commento va notato che la Corte Costituzionale non ha però affrontato il rapporto tra il comma 1ter dell'art. 2 bis (che, oltre al volume, richiede la coincidenza dell'area di sedime dell'edificio ricostruito con quello demolito) e l'art. 3 del Testo unico dell'edilizia che, come abbiamo visto, prevede come unico parametro quello volumetrico.
Ora, è da ritenere che se il legislatore avesse voluto reintrodurre, in linea generale, il parametro del sedime, non avrebbe avuto la necessità di inserire una nuova norma, ma si sarebbe potuto limitare a modificare, nuovamente, la definizione di ristrutturazione recata dall'art.3.
Va, inoltre, notato che il citato comma 1 ter è contenuto nell'art. 2 bis che è rubricato "deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati" per cui sarebbe da ritenere che tale disposizione sia limitata ai contesti già edificati laddove la riedificazione potrebbe porre problemi in materia di rispetto della distanza tra fabbricati.

La ristrutturazione ed il rispetto delle distanze preesistenti

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Con l'art 2 bis, infatti, il legislatore ha voluto fare chiarezza su un tema particolarmente acceso: e cioè quello del rispetto delle distanze in caso di demolizione e ricostruzione di un edificio.
Come abbiamo sopra visto, la legislazione che si è succeduta nel tempo ha consentito che si possa avere ristrutturazione anche qualora la ricostruzione a seguito della demolizione avvenga senza rispettare la sagoma e l'area di sedime originarie. Può accadere, infatti, che nel rispetto del volume preesistente, la ricostruzione venga ad occupare aree lasciate libere dalla costruzione preesistente.
In tal caso la giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito (si veda, ad esempio, la sentenza del Consiglio di Stato 14.9.2017, n. 4337) che "nel caso in cui il manufatto che costituisce il risultato di una ristrutturazione edilizia venga comunque ricostruito con coincidenza di area di sedime e di sagoma, esso - proprio perché coincidente per tali profili con il manufatto preesistente - potrà sottrarsi al rispetto delle norme sulle distanze innanzi citate, in quanto sostitutivo di un precedente manufatto che già non rispettava dette distanze (e magari preesisteva anche alla stessa loro previsione normativa)";
"Invece" - continua la sentenza del Consiglio di Stato - "nel caso in cui il manufatto venga ricostruito senza il rispetto della sagoma preesistente e dell'area di sedime, occorrerà comunque il rispetto delle distanze prescritte, proprio perché esso - quanto alla sua collocazione fisica - rappresenta un novum, come tale tenuto a rispettare - indipendentemente dalla sua qualificazione come ristrutturazione o nuova costruzione - le norme sulle distanze".
In sostanza, e tornando all'art. 2 bis del Testo unico in materia edilizia, il legislatore ha cristallizzato in una norma il principio giurisprudenziale secondo cui, in caso di ricostruzione di un edificio, si può fare riferimento alle distanze preesistenti solo se vi è coincidenza di area di sedime e di sagoma con il fabbricato demolito.

De jure condendo

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Con l'introduzione del comma 1-ter dell'art. 2-bis il legislatore non ha voluto porre un limite al concetto di ristrutturazione edilizia ricostruttiva (per la quale, ai sensi dell'art. 3, il solo volume dell'edificio preesistente costituisce ora il parametro di riferimento) ma ha voluto soltanto chiarire che, qualora si modificasse l'area di sedime, si perderà il diritto ad applicare le distanze preesistenti.
Tale aspetto dovrà però essere chiarito dal legislatore e dalla giurisprudenza dato che, qualora si volesse attribuire una portata estensiva alla sentenza della Corte Costituzionale (nel senso di ritenere che l'art. 2 bis si applichi a tutti i casi di ristrutturazione e non solo con riferimento al tema delle distanze, con conseguente necessità del rispetto dell'area di sedime) si porrebbe un'evidente problema di incompatibilità tra l'art. 2 bis e l'art. 3 del DPR 380/2001 che non richiede più il rispetto di tale parametro.


Avv. Andrea Berto

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