di Lucia Izzo - Se il minore girovaga per luoghi pubblici chiedendo l'elemosina, ne risponderà penalmente il genitore esercente la potestà poiché, essendo investito di una posizione di garanzia in ordine al corretto comportamento dei figli minori, è lui che ha l'obbligo di impedire che costoro compiano atti di accattonaggio. Lo ha chiarito il Tribunale di Frosinone nella sentenza n. 1109/2019 (sotto allegata).
- Chiedere l'elemosina è reato?
- Reato di impiego di minori nell'accattonaggio
- Impiego minori nell'accattonaggio
- Penalmente responsabile il genitore che permette l'accattonaggio al figlio
Chiedere l'elemosina è reato?
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Nel nostro ordinamento chiedere l'elemosina non è reato in via generale, ma solo in presenza di condotte connotate da determinate caratteristiche. L'accattonaggio molesto, ad esempio, è punito dall'art. 669-bis c.p. a seguito dell'intervento operato dal D.L. Sicurezza (decreto-legge 113/2018 conv. in legge n. 132/2018) che ha altresì novellato l'art. 600-octies c.p. ora denominato "Impiego di minori nell'accattonaggio. Organizzazione dell'accattonaggio" aggiungendovi un ulteriore comma.
Tale norma punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque si avvale per mendicare di un persona minore degli anni quattordici, o comunque non imputabile, ovvero permette che tale persona, ove sottoposta alla sua autorità o affidata alla sua custodia o vigilanza, mendichi, o che altri se ne avvalga per mendicare.
La pena è quella della reclusione fino a tre anni. La disposizione in esame trova fondamento nella scelta operata dal legislatore di rimuovere il disposto dell'art. 671 c.p., concernente l'impiego di minori nell'accattonaggio, mutandone la qualifica da contravvenzione a delitto.
Il secondo comma dell'art. 671 c.p., introdotto dal Decreto Sicurezza, punisce invece con la reclusione da uno a tre anni chiunque organizzi l'altrui accattonaggio, se ne avvalga o comunque lo favorisca a fini di profitto è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Impiego di minori nell'accattonaggio: la vicenda
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La vicenda esaminata dal Tribunale di Frosinone riguarda la condotta di una donna rumena, genitore esercente la potestà genitoriale su un bambino di dieci anni. A seguito della segnalazione di diversi automobilisti, gli agenti di polizia giungevano presso l'incrocio stradale dove il minore veniva effettivamente trovato a chiedere l'elemosina.
Sul posto giungeva, in seguito, anche la madre che dopo essere stata identificata veniva imputata per il reato di cui all'art. 600-octies del codice penale e, secondo il Tribunale, non vi è dubbio in ordine alla penale responsabilità in capo alla donna per il reato di impiego di minori nell'accattonaggio.
Reato di impiego di minori nell'accattonaggio
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Il delitto di cui all'art. 600-octies c.p., si legge in sentenza, può consistere, oltre che nel valersi per mendicare di un minore di anni quattordici o di altra persona non imputabile sottoposta all'autorità, alla custodia o alla vigilanza dell'agente, nonché nel permettere che detta persona chieda l'elemosina.
La "ratio" di tali incriminazioni è quella di impedire che i minori vengano impiegati in attività che li sottraggono all'istruzione e all'educazione, avviandoli all'ozio ed esponendoli al pericolo di cadere nel vizio e nella delinquenza (cfr. Cass. 13.11.1997 - 27.02.1998 n. 2597).
Il genitore esercente la potestà sui figli minori è investito di una posizione di garanzia in ordine al corretto comportamento della prole, pertanto, è lui ad avere l'obbligo di impedire che compiano atti di accattonaggio.
In conclusione, risponderà penalmente, ex art. 600-octies c.p., il genitore convivente con figli minori che consente agli stessi di girovagare in luoghi pubblici tra i passanti, in violazione dell'obbligo di frequenza degli istituti d'istruzione. L'abbandono del minore sulla strada, da solo, integra il reato in esame poiché permette allo stesso l'accattonaggio.
Penalmente responsabile il genitore che permette l'accattonaggio al figlio
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Nel caso in esame, l'odierna imputata era presente sul luogo dei fatti e osservava il figlio a distanza, tanto da essersi subito avvicinata al momento del controllo operato; pertanto, la donna doveva ritenersi pienamente consapevole dell'attività cui era dedito il figlio minore.
Tanto premesso, il giudice ritiene di non accogliere la richiesta di proscioglimento formulata ai sensi dell'art. 131 bis c.p. in quanto non ricorrono né particolari modalità della condotta tenuta dall'imputata (anzi caratterizzata dall'accorgimento di tenersi a distanza per osservare l'operato del minore) né una particolare esiguità dell'offesa, dal momento che il teste ha riferito in ordine a plurime segnalazioni di passanti ed automobilisti in ordine all'accattonaggio posto in essere.
Per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, le precarie condizioni di vita della donna consentono il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche: valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p., il giudice stima equa la pena di quattro mesi di reclusione (pena base mesi sei di reclusione, ridotta di 1/3 ex art. 62 bis c.p.). Ricorrono le condizioni legislativamente previste per concedere all'imputata i benefici di legge, trattandosi di soggetto incensurato.
Scarica pdf Tribunale di Frosinone, sentenza n. 1109/2019