- La sentenza del Tar Emilia
- La disciplina normativa del rapporto di lavoro dei Giudici di Pace
- La figura del GdP quale giudice "semiprofessionale" nella giurisprudenza
- Fonti comunitarie per valutare [il]legittimità normativa nazionale
- L'accertamento della negazione ai G.d.P. di qualsiasi forma di tutela
- La questione sottoposta alla Corte di Giustizia UE
La sentenza del Tar Emilia
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Il T.A.R. per l'Emilia-Romagna, Sez. I, con ordinanza del 1° giugno 2020, n. 363 (Pres. Migliozzi, Est. Amovilli) ha sottoposto al vaglio della Corte di Giustizia UE la disciplina nazionale sul rapporto di lavoro dei giudici onorari (Giudici di Pace), i quali - a differenza dei giudici togati - risultano "completamente esclusi da ogni forma di tutela assistenziale e previdenziale garantita al lavoratore subordinato pubblico" e sono inoltre assoggettati ad un regime di proroga sistematica del loro incarico a tempo determinato senza previsione, in alternativa alla trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, di alcuna sanzione effettiva e dissuasiva.
La disciplina normativa del rapporto di lavoro dei Giudici di Pace
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Come noto, la disciplina del rapporto di lavoro dei Giudici di Pace è contenuta nella Legge n. 374 del 1991 e nel D. Lgs. n. 92 del 2016.
In particolare, la figura del Giudice di Pace è stata istituita con la Legge 21 novembre 1991 n. 374, la quale aveva individuato nel termine di otto anni (pari a due mandati da quattro anni) la durata massima della carica.
Tale previsione normativa, tuttavia, è stata sistematicamente disattesa, con continue e discutibili proroghe.
Per quanto concerne l'inquadramento dei G.d.P., è stato rilevato che:
a) il giudice di pace è un giudice ordinario (art. 1 dell'ordinamento giudiziario) che appartiene all'ordine giudiziario (art. 1, comma 2, della Legge n. 374 del 1991);
b) al pari del magistrato di carriera "esercita la giurisdizione in materia civile e penale e la funzione conciliativa in materia civile" (articolo 1, comma 1, della legge n. 374 del 1991), è immesso in un ruolo organico ed è assegnato agli uffici territoriali secondo piante organiche predeterminate per legge (art. 3 della legge n. 374 del 1991), ed è inoltre tenuto all'osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari (articolo 10, comma 1, della medesima legge);
c) il giudice di pace è tenuto all'osservanza dei provvedimenti organizzativi speciali e generali del CSM, su parere del Consiglio giudiziario (articoli 10, comma 1, e 15, comma 1, lett. e, del d.lgs. n. 25 del 2006), ed è sottoposto, in caso di inosservanza dei suoi doveri deontologici e d'ufficio, al potere disciplinare del CSM (il quale, con delibera del 14 settembre 2011, vi ha esteso l'applicabilità dell'art. 1 del d.lgs. n. 109 del 2006, inerente la responsabilità disciplinare del magistrato di carriera);
d) la nomina e l'esercizio della funzione di giudice di pace è incompatibile, in via assoluta, con lo svolgimento di qualsiasi altra attività lavorativa subordinata o parasubordinata, pubblica o privata (articolo 5, comma 1, lettera g, della legge n. 374 del 1991), nonché con qualsiasi incarico di natura politica (art. 8 della stessa legge), non essendo ammessa la facoltà (consentita, invece, ai magistrati di carriera) di essere provvisoriamente posti fuori ruolo per incarichi dirigenziali, extragiudiziari o politici (parlamentari, consiglieri ed assessori presso enti territoriali, uffici politici di stretta collaborazione con il Potere Esecutivo, etc..), con la conseguenza che - rimarca il T.a.r. - "al di là della facoltà concessa ai giudici di pace di esercitare la professione di avvocato fuori dal circondario di Tribunale di appartenenza, e nei limiti previsti dall'articolo 8, commi 1-bis e 1-ter, l. 374/1991, sussiste un dovere di esclusività del tutto analogo agli altri dipendenti pubblici";
e) il trattamento economico previsto per l'esercizio della funzione, secondo quanto disposto dall'art. 11 della legge n. 374 del 1991, "consiste nel diritto ad una indennità in misura fissa pari a (soli) 258,23 euro mensili lordi e di una in misura variabile parametrata alle udienze tenute, ai processi assegnati ed agli atti svolti, indennità che non può superare il tetto massimo di 72.000,00 euro lordi annui, dando vita ad un sistema 'a cottimo'" (il T.a.r. richiama, a quest'ultimo proposito, l'ordinanza della Corte costituzionale 13 marzo 2014, n. 48, in Giur. cost., 2014, 1166, con nota di CONDEMI, ed in Giur. it., 2014, 1893, con nota di TEDOLDI);
f) quanto alla durata dell'incarico, il decreto-legge n. 115 del 2005, convertito in legge n. 168 del 2005, ha ampliato l'originario termine di otto anni (quattro più quattro), prevedendo un ulteriore mandato di quattro anni; successivamente, numerosi provvedimenti legislativi hanno via via prorogato tale ultima scadenza, così giungendosi, da ultimo, al d.lgs. n. 116 del 2017 (recante "Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57") il cui art. 29 ha previsto la possibilità di confermare i magistrati onorari in servizio per altri tre successivi quadrienni;
g) la legge-delega sulla riforma organica della magistratura onoraria (legge n. 57 del 2016) - poi attuata dal Governo con i decreti legislativi n. 96 del 2016 e n. 116 del 2017 - ha previsto, tra le altre cose, l'istituzione di "un regime previdenziale e assistenziale compatibile con la natura onoraria dell'incarico, senza oneri per la finanza pubblica, prevedendo l'acquisizione delle risorse necessarie mediante misure incidenti sull'indennità" (art. 2, comma 13, lett. l, regime che risulta essere stato istituito dagli artt. 23 ss. del D. Lgs. n. 116 del 2017).
La figura del GdP quale giudice "semiprofessionale" nella giurisprudenza
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La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha qualificato il G.d.P. come giudice "semiprofessionale" (cfr. Cass. civ., sez. un., ordinanza 19 ottobre 2011, n. 21582), escludendone l'inquadrabilità nel rapporto di pubblico impiego, oltre che nella stessa parasubordinazione di cui all'art. 409 c.p.c., n. 3.
Sul punto, il T.A.R. Emilia Romagna ricorda che:
a) la categoria dei funzionari onorari (in cui è compresa la figura del giudice di pace: art. 1, comma 2, della legge n. 374 del 1991) ricorre quando esiste un rapporto di servizio volontario, con attribuzione di funzioni pubbliche, ma senza la presenza degli elementi che caratterizzano l'impiego pubblico (sono qui richiamati alcuni precedenti delle Sezioni unite: n. 27 del 1975; n. 5129 del 7 ottobre 1982; n. 2033 del 20 marzo 1985; n. 363 del 14 gennaio 1992; n. 1556 del 17 febbraio 1994;
b) sempre secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione (il T.a.r., qui, richiama: Cass. civ., sez. lav., 4 gennaio 2018, n. 99; Cass. civ., sez. lav., 9 settembre 2016, n. 17862; Cass. civ., sez. VI, 4 novembre 2015, n. 22569, in Giust. civ. Mass., 2015, 772; Cass. civ., sez. II, 3 maggio 2005, n. 9155; Cass. civ., sez. un., 9 novembre 1998, n. 11272), i tratti distintivi tra rapporto di lavoro pubblico e svolgimento onorario di funzioni pubbliche sono i seguenti: 1) la scelta del funzionario, che nell'impiego pubblico viene effettuata mediante procedure concorsuali ed è, quindi, di carattere tecnico-amministrativo, mentre per le funzioni onorarie è di natura politico-discrezionale; 2) l'inserimento nell'apparato organizzativo della pubblica amministrazione, che è strutturale e professionale per il pubblico impiegato e meramente funzionale per il funzionario onorario; 3) lo svolgimento del rapporto, che nel pubblico impiego è regolato da un apposito statuto, mentre nell'esercizio di funzioni onorarie è privo di una specifica disciplina, quest'ultima potendo essere individuata unicamente nell'atto di conferimento dell'incarico e nella natura di tale incarico; 4) il compenso, che consiste in una vera e propria retribuzione, inerente al rapporto sinallagmatico costituito fra le parti, con riferimento al pubblico impiegato e che invece, riguardo al funzionario onorario, ha carattere meramente indennitario e, in senso lato, di ristoro degli oneri sostenuti; 5) la durata del rapporto che, di norma, è a tempo indeterminato nel pubblico impiego e a termine (anche se vi è la possibilità del rinnovo dell'incarico) quanto al funzionario onorario;
c) con specifico riferimento ai magistrati c.d. togati (ordinari, amministrativi e contabili), essi sono titolari di un rapporto di lavoro in regime di diritto pubblico, ai sensi dell'art. 3 del d.lgs. n. 165 del 2001, e sono dunque lavoratori dipendenti, seppur muniti di particolare status in ragione delle funzioni giurisdizionali esercitate e delle guarentigie costituzionalmente previste (artt. 101-110 Cost.), i quali godono delle tutele previdenziali e assistenziali oltre che, al pari di qualsiasi lavoratore, del diritto alle ferie (art. 36 Cost.).
Fonti comunitarie per valutazione [il]legittimità normativa nazionale
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Dopo un breve inquadramento, normativo e giurisprudenziale, della figura dei G.d.P., il Giudice Amministrativo passa, quindi, ad indicare la rilevante normativa euro-unitaria in materia di rapporto di lavoro, menzionando le seguenti fonti:
a) la direttiva n. 1999/70/CE, che ha recepito l'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, con particolare riguardo alla clausola 2 (che definisce il suo campo di applicazione), alla clausola 4 (principio di non discriminazione, rispetto alla situazione complessiva dei lavoratori a tempo indeterminato) ed alla clausola 5 (misure di prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato);
b) la direttiva n. 1997/81/CE, che ha recepito l'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, con particolare riguardo al principio di non discriminazione rispetto al lavoro a tempo pieno;
c) la direttiva n. 2003/88/CE, sull'orario di lavoro, con riferimento all'art. 7 (diritto al godimento di ferie annuali);
d) la direttiva n. 2000/78/CE, sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, il cui art. 2 fornisce la nozione di discriminazione;
e) viene, infine, menzionata anche la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea ("che, ai sensi dell'art. 6 TFUE, ha lo stesso valore giuridico dei Trattati"), con riferimento agli artt. 20 (uguaglianza davanti alla legge), 21 (non discriminazione), 31 (condizioni di lavoro giuste ed eque), 33 (vita familiare e vita professionale) e 34 (sicurezza sociale e assistenza sociale).
L'accertamento della negazione ai G.d.P. di qualsiasi forma di tutela
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Fatte le suesposte premesse, il T.A.R. Emilia Romagna ha evidenziato come, pur volendo ritenere sussistenti delle "ragioni obiettive" tali da giustificare una discriminazione fra giudici di carriera e giudici di pace: "tale differenziazione potrebbe solo consentire di escludere il diritto alla piena assimilazione e quindi l'applicabilità ai giudici di pace dello stesso trattamento economico e previdenziale dei giudici di carriera", ma non potrebbe di certo legittimare la negazione di qualsiasi diritto "in presenza di un'acclarata attività continuativa ed a tempo pieno in regime di subordinazione", né potrebbe consentire "la negazione della stessa sussistenza di un rapporto di lavoro di fatto ai sensi e nei limiti di cui all'art. 2126 c.c. […] e di tutti i diritti ad esso correlati, sia alla luce della normativa costituzionale e legislativa interna, sia alla luce della richiamata normativa e giurisprudenza comunitaria": ne conseguirebbe l'affermazione del diritto ad un'equa retribuzione, del diritto alla pensione, alla tutela della salute e della maternità, nonché del diritto alla continuità del rapporto di lavoro in caso di abusiva reiterazione del rapporto a tempo determinato.
In definitiva - precisa il T.a.r. - la questione pregiudiziale investe la conformità della normativa nazionale "ai richiamati principi euro-unitari in tema di tutela del lavoratore subordinato a tempo determinato e a tempo parziale, di lotta alla discriminazione e di abusivo utilizzo dei contratti a termine, venendo altrimenti meno l'effetto utile delle richiamate direttive oltre che della stessa Carta dei diritti fondamentali dell'Unione".
La questione sottoposta alla Corte di Giustizia UE
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Alla luce del breve excursus, normativo e giurisprudenziale, il T.A.R. Emilia Romagna, con la succitata ordinanza, ha ritenuto di dover sottoporre alla Corte di giustizia UE i seguenti quesiti interpretativi:
a) se gli artt. 20, 21, 31, 33 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, le direttive n. 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato (clausole 2 e 4), n. 1997/81/CE sul lavoro a tempo parziale (clausola 4), n. 2003/88/CE sull'orario di lavoro (art. 7), e n. 2000/78/CE (artt. 1 e 2, comma 2, lett. a), in tema di parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, ostino all'applicazione di una normativa nazionale, quale quella italiana di cui alla legge n. 374 del 1991 ed al d.lgs. n. 92 del 2016, come costantemente interpretata dalla giurisprudenza, secondo cui i giudici di pace, quali giudici onorari, risultano - oltre che non assimilati, quanto a trattamento economico, assistenziale e previdenziale, ai giudici togati - completamente esclusi da ogni forma di tutela assistenziale e previdenziale garantita al lavoratore subordinato pubblico;
b) se i principi comunitari in tema autonomia e indipendenza della funzione giurisdizionale, e segnatamente l'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, ostino all'applicazione di una normativa nazionale, quale quella italiana, secondo cui i giudici di pace, quali giudici onorari, risultano - oltre che non assimilati, quanto a trattamento economico assistenziale e previdenziale, ai giudici togati - completamente esclusi da ogni forma di tutela assistenziale e previdenziale garantita al lavoratore subordinato pubblico;
c) se la clausola 5 dell'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva n. 1999/70/CE, osti all'applicazione di una normativa nazionale, quale quella italiana, secondo cui l'incarico a tempo determinato dei giudici di pace quali giudici onorari, originariamente fissato in 8 anni (quattro più quattro), possa essere sistematicamente prorogato di ulteriori 4 anni senza la previsione, in alternativa alla trasformazione in rapporto a tempo indeterminato, di alcuna sanzione effettiva e dissuasiva.
Avv. Claudio Roseto
Specializzato in diritto amministrativo
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