"Il risarcimento del danno non patrimoniale subito dai soggetti esposti ad inquinamento ambientale per il turbamento psichico connesso a tale pericolosa esposizione, anche in mancanza di una lesione all'integrità psico-fisica, richiede innanzitutto la prova della rilevante gravità dell'evento, in secondo luogo la prova di un effettivo turbamento psichico del soggetto e in terzo luogo la prova del nesso causale tra tale turbamento e l'evento danno". È quanto ha di recente stabilito la Corte di Cassazione (Sent. n. 23642/2006) respingendo il ricorso promosso da alcuni lavoratori i quali, impiegati in un cantiere ove erano esposti all'inalazione di polveri di amianto, deducevano che il loro patema d'animo, causato dalla consapevolezza della seria e concreta esposizione ultratrentennale all'agente inquinante, non potendo essere oggetto di accertamento o di riscontro medico legale, poteva essere desunto dai dati di comune esperienza. La Corte ha altresì chiarito che "la situazione di turbamento psichico, se non può formare oggetto di prova diretta, alla pari di qualsiasi altro stato psichico interiore del soggetto, può essere tuttavia desunta da altre circostanze di fatto esterne, quali ad esempio la presenza di malattie psico-somatiche, insonnia, inappetenza, disturbi del comportamento o altro. Pertanto il lavoratore che chiede il risarcimento dei danni per l'esposizione ad agenti patogeni, pur non avendo contratto alcuna malattia, non è liberato dalla prova di aver subito un effettivo turbamento psichico e questa prospettata situazione di sofferenza e disagio non può essere desunta dalla mera prestazione lavorativa in ambiente inquinato".
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