L'art. 96 c.p.c.
L'art. 96 c.p.c. rubricato "responsabilità aggravata" prevede che se la parte vittoriosa dimostra che il soccombente ha agito o resistito in giudizio, con dolo o colpa grave, può chiedere al giudice la condanna per il risarcimento del danno subito.
Il terzo comma prevede che, quando si pronuncia sulle spese, il giudice, anche d'ufficio, può condannare la parte soccombente (che ha agito o resistito in giudizio con dolo o colpa grave) al versamento alla controparte di una somma equitativamente determinata.
In tal senso si parla di lite temeraria, quale ipotesi rientrante nel fenomeno del cd. abuso del processo.
Peraltro un' ipotesi simile al comma terzo si rinviene nell'art. 26 c.p.a (D.lgs. 104/2010) che aggiunge l'obbligo del giudice di attenersi, nella liquidazione, nell'ambito di una fascia che oscilla tra un minimo di una somma pari al doppio del contributo unificato ed un massimo pari al quintuplo del contributo unificato.
La ratio della norma è facilmente intuibile: evitare facili azioni legali intentate per ottenere un "bene della vita", che in effetti l'attore sa non di meritare.
L'eccessiva mole dei contenziosi civili, e le non poche azioni intraprese in questo senso, hanno spinto il legislatore ad introdurre una norma specifica che regolasse la questione.
Ebbene se il primo comma è un evidente ipotesi speciale di risarcimento del danno di cui all'art 2043 c.c., il problema interpretativo ruota attorno al comma terzo, introdotto con la legge n. 69/2009, che secondo alcuni era autonomo dal comma primo e quindi un risarcimento punitivo; secondo altri era connesso al comma primo, e quindi un integrazione di esso.
La lite temeraria nella giurisprudenza
La giurisprudenza non ha esitato a qualificare il comma terzo quale disposizione contenente un vero e proprio risarcimento punitivo: così Corte Cost. 152/2016, Cass. 17902/2010, Trib. Piacenza 7 dicembre 2010, Trib. Piacenza 22 novembre 2010, Trib. Milano 4 marzo 2011, Trib. Varese 23 gennaio 2011, Trib. Varese 16 dicembre 2011, Trib. Varese 30 ottobre 2009, Trib. Rovigo 7 dicembre 2010, Trib. Prato 6 novembre 2009, Trib. Pordenone 18 marzo 2011 etc.
Chi sosteneva l'autonomia del comma terzo sottolineava che il legislatore ha introdotto un comma autonomo rispetto al risarcimento del danno, già previsto al comma primo, ma sopratutto che al comma terzo é previsto una condanna al pagamento di una somma, in favore della controparte, a prescindere dalla presenza del danno.
Ciò imponeva un ripensamento del comma terzo dell'art 96 oltre le dimensioni aquiliane e quindi oltre il risarcimento riparatorio.
Si trattava quindi di una ipotesi di danni punitivi, peraltro particolarmente importante in quanto costituisce un deterrente al fenomeno di abuso del processo civile, testé menzionato.
Il fondamento diverso della condanna di cui al comma terzo permetteva di arguire che potesse cumularsi con quella ai sensi del comma primo.
In diverso senso invece si è detto che la lettura come risarcimento punitivo era incostituzionale, perchè mancavano limiti quantitativi. Quindi si sottolineava la necessità di una lettura costituzionalmente orientata, in forza della quale il comma terzo era connesso al comma primo e cioè costituiva un integrazione di esso: se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, il giudice può liquidarlo con una valutazione equitativa; in sostanza un rafforzamento dell'art. 2056 cc.
Alcuni importanti autori hanno invece sostenuto che dalla sua collocazione si deduce che si tratta di una sanzione processuale, mostrando una visione che va al di là della questione del risarcimento e della responsabilità civile in senso stretto.
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