- Praticante avvocato chiede i danni dopo intervento laser
- Inadeguato il risarcimento da perdita della capacità lavorativa specifica
- Criterio del triplo della pensione sociale
Praticante avvocato chiede i danni dopo intervento laser
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Interessante la sentenza n. 17690/2020 (sotto allegata) della Cassazione, che enuncia un importante principio per il risarcimento di una praticante avvocato, rimasta danneggiata agli occhi dopo un intervento laser. Per gli Ermellini in casi come questo, in cui non si riesce a fornire una prova rigorosa del danno, trova applicazione il criterio del triplo della pensione sociale per liquidare il danno patrimoniale futuro da perdita della capacità lavorativa specifica.
La vicenda ha inizio quando la praticante avvocato si sottopone a un intervento laser agli occhi, riportando all'occhio sinistro postumi invalidanti. Decide così di fare causa all'oculista e alla Asl e in causa viene chiamata l'assicurazione per la responsabilità civile del medico. Il Tribunale le riconosce un risarcimento del danno di 70.000 euro per l'invalidità permanente, 4.780 euro per la temporanea, 35.000 euro per il danno non patrimoniale, 20.000 euro per la perdita della capacità lavorativa, 220 euro a titolo di rimborso delle spese mediche, oltre interessi e spese di lite.
La giovane praticante però propone appello soprattutto per contestare la quantificazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica in relazione alla prospettiva di svolgere l'attività di avvocato e per la mancata applicazione al suo caso del criterio del triplo della pensione sociale. Contesta inoltre la quantificazione del danno non patrimoniale e delle spese di lite.
Il gravame però viene rigettato dalla Corte d'Appello, che sulla questione dell'incapacità lavorativa specifica ritiene non sussistere la prova di un reddito continuo, anche ridotto, derivante dall'attività professionale, in quanto parte attrice, che all'epoca dei fatti era praticante, non è riuscita a dimostrare il proprio reddito. Per cui ha ritenuto non applicabile il criterio del triplo della pensione sociale.
Inadeguato il risarcimento da perdita della capacità lavorativa specifica
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Innanzi alla Corte di legittimità la giovane praticante solleva diversi motivi di doglianza.
I primi sette in particolare sono incentrati sulla quantificazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica. Per la ricorrente dovrebbe spettarle una somma forfettaria corrispondente almeno al 20% (coincidente con la perdita della capacità lavorativa) del reddito che presumibilmente conseguirebbe un avvocato, ossia 50.000 euro annui per almeno 40 anni di esercizio della professione o, in via subordinata di una somma pari almeno al triplo della pensione sociale per i suddetti 40 anni di attività. Passando ai singoli motivi del ricorso la ricorrente ne solleva ben nove.- Con il primo motivo contesta il fatto che la corte non abbia ritenuto provato il fatto che la stessa svolgesse attività professionale.
- Con il secondo rileva la contraddizione tra il mancato riconoscimento del danno da incapacità lavorativa specifica e la mancata contestazione sul punto da parte degli appellati.
- Con il terzo fa presente di aver dimostrato il conseguimento di un reddito producendo in giudizio tre contratti d'opera professionale.
- Con il quarto lamenta la mancata o insufficiente motivazione sulla presunta mancata allegazione di essere disoccupata, rilevando come, fin dall'atto di citazione, la stessa aveva fatto presente che al momento del sinistro non era titolare di un reddito.
- Con il quinto evidenzia la possibilità di dimostrare la perdita di reddito futuro tramite presunzioni stante l'accertata riduzione della sua capacità lavorativa specifica.
- Con il sesto contesta l'omessa o insufficiente motivazione sulla possibilità di provare l'assenza di un reddito o lo svolgimento saltuario dell'attività per presunzioni.
- Con il settimo lamenta insufficiente ed erronea motivazione sulla possibilità di considerare il criterio della tripla pensione sociale come soglia minima di risarcimento garantita.
- Con l'ottavo motivo evidenzia la mancata personalizzazione del danno, visto che non si è tenuto conto del doppio intervento, dell'attesa delusa da un esito infausto e della compromissione delle attività ludiche.
- Con il nono infine contesta l'entità delle spese legali.
Criterio del triplo della pensione sociale
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La Cassazione con la sentenza n. 17690/2020 accoglie solo il settimo e l'ultimo motivo di ricorso.
Respinge tutti quelli con cui la ricorrente contesta l'assenza o l'insufficienza della motivazione, la possibilità di dimostrare i fatti per presunzioni e la violazione dell'art. 2697 c.c. perché con questa critica giudica l'apprezzamento delle prove da parte del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità.
Fondato invece il settimo motivo. La Cassazione fa presente che la giurisprudenza della stessa ha riconosciuto al giudice il potere di ricorrere, in sede di liquidazione equitativa del danno, al criterio del triplo della pensione sociale anche quando l'invalidità permanente non è conseguenza di un sinistro stradale, come nel caso di specie, precisando che la liquidazione del danno è affidata a un apprezzamento discrezionale del giudice.
Detto questo la Cassazione evidenzia che "un professionista all'inizio del suo, auspicabilmente felice - percorso lavorativo realizza di norma guadagni sporadici" pertanto "risulta possibile equiparare una simile condizione, se non altro ai fini della normativa in esame e per identità di ratio, a quella di un disoccupato, esonerato dalla prova rigorosa del proprio preciso guadagno. Di conseguenza (…) il criterio della pensione sociale può bene trovare applicazione proprio ai fini della liquidazione equitativa del danno patrimoniale derivato, sotto forma di riduzione della potenzialità di guadagno in relazione alla minorata capacità psicofisica concretatasi nei postumi invalidanti permanenti: nella specie, particolarmente evidente per l'intuitiva incidenza negativa di una minorata disponibilità dell'organo della vista per una professione intellettuale come quella dell'avvocato."
Alla luce di tali considerazioni la Cassazione enuncia il seguente principio di diritto "quale parametro di riferimento per la liquidazione equitativa del danno patrimoniale futuro da incapacità lavorativa, anche se patito in conseguenza di errata prestazione sanitaria da soggetto già percettore di reddito da lavoro, può applicarsi, anche in difetto di prova rigorosa del reddito effettivamente perduto dalla vittima, il criterio del triplo della pensione sociale pure nel caso in cui sia accertato che la vittima, come nell'ipotesi di un libero professionista prima o immediatamente dopo all'inizio della sua attività, al momento del sinistro percepiva un reddito così sporadico o modesto da renderla in sostanza equiparabile a un disoccupato."
Sul motivo relativo alla personalizzazione del danno invece la Cassazione ritiene corrette le valutazioni dei giudici di merito in quanto lo standard risarcitorio per il danno non patrimoniale può essere incrementato solo in presenza di conseguenze particolari e anomale, allegate e provate in modo tempestivo dal danneggiato. Ipotesi che nel caso di specie non si è verificata in quanto la giovane donna ha riportato "conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età."
Fondata in ultimo la doglianza sulle spese perché sia il giudice di primo che di secondo grado hanno in effetti violato i minimi tariffari relativamente al corretto scaglione da applicare. Cassa quindi la sentenza in relazione alle accolte censure e rinvia alla Corte d'Appello in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Scarica pdf Cassazione n. 17690/2020• Foto: 123rf.com