- Spaccio durante il lockdown: niente aggravamento automatico
- Quando si configura lo spaccio di lieve entità
- Spaccio durante il lockdown: nessuna aggravante
Spaccio durante il lockdown: niente aggravamento automatico
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L'ipotesi più lieve di "piccolo spaccio" di cui all'art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti, si manifesta per una complessiva minore portata dell'attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonché di guadagni limitati. Tale ipotesi ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, tuttavia, non dovrà essere superiore a dosi conteggiate a decine, tenendo conto del valore e della tipologia della sostanza stupefacente.
I menzionati indici vanno valutati esclusivamente alla luce dei parametri stabiliti dal comma 5 dell'art. 73 cit. e non sono suscettibili di diversa valutazione solo perché l'attività illecita si è svolta durante il periodo di emergenza sanitaria. In sostanza, non è possibile riconoscere una maggiore rilevanza penale allo spaccio solo perchè l'azione è stata commessa durante il lockdown.
In generale, i provvedimenti emanati dal Governo hanno stabilito apposite sanzioni, amministrative e penali, in caso di violazione delle misure di contenimento per limitare la diffusione del contagio e tali previsioni esauriscono il quadro della risposta sanzionatoria dell'ordinamento, assieme alle previsioni generali in tema di epidemia dolosa e colposa. E nessuno di questi provvedimenti ha previsto una forma di aggravamento qualora fossero commessi reati durante il periodo di confinamento e restrizione.
È quanto precisato dalla Corte di Cassazione, sesta sezione penale, nella sentenza n. 25012/2020 (qui sotto allegata) che si è pronunciata sul ricorso di un ragazzo imputato per detenzione a fini di cessione, di sostanze stupefacenti e in particolare di cocaina ed eroina suddivise in numerosi (118) involucri termosaldati per un peso complessivo pari a oltre 27 grammi.
Quando si configura lo spaccio di lieve entità
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In Cassazione, il ricorrente contesta la mancata applicazione dell'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 che punisce la meno grave ipotesi di reato del c.d. "piccolo spaccio", che si verifica quando "per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze" lo spaccio deve ritenersi "di lieve entità".
Il Collegio, invece, reputa corretta la decisione del Tribunale. Gli Ermellini rammentano come tra gli elementi ostativi alla configurabilità dell'autonomo titolo di reato di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 (cfr. da ultimo Cass., sent. n. 20326/2020) vi sia anche quello della quantità delle sostanze stupefacenti che vengono in rilievo.
Nel caso di specie non risulta per nulla illogico che il Tribunale abbia valorizzato, oltre ad altri indici parimenti preclusivi, il dato ponderale che eccede largamente il limite "delle dosi conteggiate a decine", dovendosene nella specie conteggiare, infatti, almeno undici.
Il ricorso del giovane viene dunque respinto, ma la Cassazione ritiene di dover fornire una precisazione su una parte della decisione del Tribunale: secondo il giudice di merito, la configurabilità del meno grave reato di cui all'art. 73, comma 5, cit. sarebbe stata preclusa dalla circostanza che la condotta era stata attuata durante il "lockdown", ovvero nel periodo di restrizione della circolazione dovuta all'emergenza sanitaria Covid-19.
Spaccio durante il lockdown: nessuna aggravante
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L'ipotesi di piccolo spaccio, spiega la Corte, si manifesta per una "complessiva minore portata dell'attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonché di guadagni limitati e che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia superiore, tenendo conto del valore e della tipologia della sostanza stupefacente, a dosi conteggiate a decine" (cfr. Cass. n. 15642/2015).
Come si legge in sentenza, tali indici, che si palesano in maniera oggettiva, vanno valutati esclusivamente alla luce dei parametri stabiliti dall'art. 73 comma 5 d.P.R. cit. e non sono, pertanto, suscettibili di diversa valutazione solo perché l'attività illecita si svolga in periodo di emergenza sanitaria.
D'altronde, "i provvedimenti normativi emanati dal Governo e convertiti in legge dal Parlamento a causa dell'attuale emergenza sanitaria da Covid-19 hanno stabilito sanzioni amministrative e anche penali in caso di violazione delle misure di contenimento sociale e di comportamento individuale dettate per limitare la diffusione del contagio". Per la Cassazione deve ritenersi che tali previsioni esauriscano il quadro della risposta sanzionatoria dell'ordinamento in sinergia con le previsioni generali codicistiche in tema di epidemia dolosa (art. 438 c.p.) e colposa (art. 452 c.p.).
In conclusione, poiché "quei provvedimenti non hanno, invece, previsto alcuna forma di aggravamento in caso di commissione di altri reati al tempo del confinamento e/o delle restrizioni comportamentali e di conseguenza, non è possibile attribuire a tale specifica evenienza rilevanza penale diversa da quella ivi stabilita".
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