- Lo studente lavoratore fuori corso non ha diritto ai permessi retribuiti per studio
- La norma sui permessi non distingue tra studenti in corso e fuori corso
- Il diritto ai permessi per studio va contemperato con quello del datore
Lo studente lavoratore fuori corso non ha diritto ai permessi retribuiti per studio
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Con la sentenza n. 19610/2020 (sotto allegata) la Cassazione nega il diritto ai permessi retribuiti per motivi di studio allo studente lavoratore fuori corso perché occorre anche garantire il diritto del datore alla prestazione lavorativa. Questa in sostanza la conclusione degli Ermellini sulla vicenda processuale in cui sia il giudice di primo che secondo grado hanno respinto la domanda di un lavoratore finalizzata a ottenere il riconoscimento dei permessi straordinari e retribuiti per ragioni di studio, oltre il periodo di durata del corso.
La Corte d'Appello, in accordo con il giudice di primo grado, ha escluso che l'art 28 del CCNl Federcasa riconosca permessi retribuiti agli studenti "fuori corso", in quanto fa riferimento al primo e penultimo anno di corso, riferimento inutile se non facesse riferimento alla durata fisiologica del corso. Detta interpretazione per la Corte è conforme alla lettera della norma e razionale perché è improbabile che il legislatore abbia riconosciuto al lavoratore il diritto di chiedere permessi illimitati per motivi di studio.
La norma sui permessi non distingue tra studenti in corso e fuori corso
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Lo studente lavoratore non si perde d'animo e ricorre in Cassazione sollevando un unico motivo di doglianza. Per lo studente la lettura corretta dell'art. 28 del CCNL Federcasa induce a ritenere che la disciplina sullo studio prevista sia applicabile anche agli studenti "fuori corso", perché la norma non fa distinzioni e prevede che "i permessi sono concessi per la frequenza di corsi finalizzati al conseguimento dei titoli di studio universitari, oltre che per la preparazione degli esami e la partecipazione agli stessi costituirebbero attività didattica consentita dallo status di studente universitario a prescindere dall'essere in corso o fuori corso, poiché ritenere diversamente aggiungerebbe un limite ulteriore a quelli previsti dalla norma".
Il diritto ai permessi per studio va contemperato con quello del datore
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La Corte di Cassazione con la sentenza n. 19610/2020 però rigetta il ricorso, chiarendo che l'art. 26 del CCNL applicato allo studente lavoratore ricorrente è una specificazione del diritto contemplato dall'art. 10 comma 2 della legge n. 300/1970 il quale prevede che "I lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere prove di esame, hanno diritto a fruire di permessi giornalieri retribuiti."
La norma contrattuale migliora senza dubbio il contenuto della norma contenuta nello Statuto del Lavoratori, perché attribuisce il diritto ai permessi anche per frequentare i corsi, non solo per sostenere gli esami. Essa però prevede dei limiti: 150 ore di permessi all'anno e limite del 3% dei lavoratori in servizio che ogni anno possono avvalersi di questi permessi, con criteri di scelta se le le richieste superano detta percentuale.
Per la Cassazione la Corte d'Appello ha correttamente valorizzato il riferimento della norma alla "frequenza" dei corsi di studio universitari, attività che è riservata chiaramente solo agli anni che coincidono con quelli del corso legale. Tale interpretazione che riconduce la norma a limiti ragionevoli, stante la necessità di non comprimere eccessivamente anche il diritto del datore alla prestazione, è in linea con la giurisprudenza della Corte di legittimità, che ha già introdotto in passato alcuni temperamenti. La Cassazione n. 10344/2008 ad esempio ha sancito che "i permessi straordinari retribuiti possono essere concessi soltanto per frequentare i corsi indicati dalla clausola in orari coincidenti con quelli di servizio, non per le necessità connesse all'esigenza di preparazione degli esami, ovvero per altre attività complementari, come ad esempio, i colloqui con i docenti o il disbrigo di pratiche di segreteria."
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Scarica pdf Cassazione n. 19610/2020