La sanzione disciplinare
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Un'Amministrazione militare infligge al suo dipendente una sanzione disciplinare: si tratta della consegna di giorni cinque per un illecito consistente nell'utilizzo di WhatsApp.
In pratica viene registrato un file audio, successivamente diffuso su scala nazionale, nel quale il militare esprime in modo colorito giudizi lesivi della dignità degli Ufficiali.
Ora, vista dall'esterno sembra di certo una condotta caratterizzata da un suo disvalore, per mezzo della quale il militare pare non abbia saputo mantenere un contegno consono al grado rivestito, abbandonandosi a facili commenti, per di più allontanati dalla sua sfera di controllo e giunti nella disponibilità di una serie indeterminata di persone, attraverso il servizio di messaggistica in questione.
Tuttavia, pur a fronte dei dubbi che tale condotta può legittimamente ingenerare, in realtà occorre pur sempre verificare l'origine, la portata e gli effetti della stessa, proprio per stabilire se questa è stata realmente idonea a ledere l'immagine dell'Amministrazione militare, in particolare degli Ufficiali.
La sentenza del Tar Milano
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Un tema particolare e delicato, ultimamente esaminato e risolto dalla Terza Sezione del Tar per la Lombardia, con la sentenza n. 1945/2020 pubblicata il 16.10.2020.
Il Collegio premette che in materia di sanzioni disciplinari in ambito militare, l'Amministrazione procedente è dotata di ampia discrezionalità nella valutazione della gravità dei fatti addebitati, valutazione che di regola non è sindacabile dal giudice: a meno che la stessa risulti viziata da eccesso di potere perchè illogica, non ragionevole, sproporzionata, oppure perché travisa i fatti.
Ciò detto, nel caso concreto la P.A. ha individuato il disvalore della condotta tenuta dal Maresciallo non tanto nel giudizio espresso, ma nel fatto che questo giudizio ha avuto diffusione a livello nazionale ed ha così gettato discredito sulla categoria degli Ufficiali.
Tuttavia, in quel caso la diffusione del messaggio non è avvenuta per volontà del militare incolpato; il messaggio risulta contenuto in un file audio inoltrato in un gruppo WhatsApp che, seppur numeroso è formato da soggetti determinati.
La soluzione del caso
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Da tanto il Tar ne ha fatto discendere la conseguenza che non si può ritenere il militare in questione come colui che ha realmente voluto la diffusione indiscriminata di tale messaggio.
Neppure si può ritenere che la circolazione del messaggio al di fuori della stretta cerchia dei destinatari presenti nel gruppo possa essere a lui imputabile, dal momento che la diffusione probabilmente è avvenuta proprio a causa del comportamento tenuto da uno dei destinatari che, non si sa se volontariamente o consapevolmente, lo ha inoltrato a terze persone, avviando così quel meccanismo diffusivo certamente al di fuori della sfera di controllo dell'autore originario.
In buona sostanza: l'autore del messaggio, indirizzato ad uno o più soggetti determinati, non può essere ritenuto responsabile dell'uso che di esso ne fanno i destinatari.
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